“Signore, dammi la forza di cambiare le cose che si possono cambiare, dammi la pazienza di accettare quelle che non si possono cambiare. E dammi la saggezza di saper distinguere le une dalle altre”.
Così scriveva Tommaso Moro agli inizi del cinquecento e a questo ho pensato leggendo l’ennesima sbalorditiva notizia riportata dalla stampa di un paese a rovescio.
Ebbene sì , il Sole 24 ore ci ha ricordato in questi giorni che “Nelle regioni del Sud gli extracomunitari lavorano più degli italiani”, aggiungendo una drammatica riflessione sul fatto che, se il dato dell’occupazione è un indicatore di inserimento sociale, allora gli extracomunitari che vivono in Italia sono tra quelli meglio posizionati in Europa. Lo dicono i dati raccolti da Eurostat, secondo i quali l’Italia si piazza molto bene nella classifica del tasso di occupazione della popolazione extracomunitaria. Comparata con i paesi di dimensioni simili alla nostra, infatti, siamo dietro Polonia e Regno Unito, ma davanti a Germania e Francia.
Un dato positivo quindi ? Personalmente purtroppo devo dire di no.
Siamo davanti ad un dilemma dalla difficile soluzione. Delle due l’una: o al sud ormai non lavora più nessuno per scelta, oppure in tanti preferiscono lavorare in nero. In ogni caso tutti attendono con ansia il reddito di cittadinanza.
E c’è chi dice che ci salveremo tutti insieme da nord a sud…..io continuo a pensare che serva maggiore autonomia delle regioni del Nord e che queste lascino ad altri la soluzione di un rebus irrisolvibile. Proprio come sosteneva il grande umanista rinascimentale serve la forza di cambiare le cose che si possono cambiare. Per quelle irrimediabilmente compromesse al limite possono essere accettate con pazienza, ma fino ad un certo punto. E in ogni caso vanno distinte nettamente. C’è una parte del paese culturalmente votata al lavoro e allo sviluppo ed un’altra antropologicamente legata all’assistenzialismo ed all’inerzia. In quale altro modo si spiega il fatto che, nonostante siano ancora una minoranza, gli immigrati che lavorano al sud siano più numerosi degli autoctoni? Vuol forse dire semplicemente che a mancare non è il lavoro ma la voglia di lavorare. Vuol dire che esistono alternative che ti permettono di sopravvivere anche senza necessariamente avere un impegno lavorativo assillante, ne tanto meno regolare.
Anche in questo caso risulta poco credibile l’ipotesi che gli imprenditori siano disposti a regolarizzare solo gli immigrati. E’ il sintomo evidente del fatto che si campa comunque senza vincoli di subordinazione formali. Soprattutto se si ha una prospettiva di breve periodo che potrebbe una volta per tutte risolvere l’annosa questione dei disoccupati professionali: il reddito di cittadinanza appunto! L’ennesimo tentativo di uno stato assistenzialista di comprare il consenso di una parte di popolazione che non chiede altro che essere deresponsabilizzata e soprattutto di avere un sacco di tempo libero. Magari per arrotondare lavorando in nero. Di certo per impoverire ulteriormente la struttura sociale di uno stato allo sbando. Allungando sempre più una parte d’Europa dal resto del continente. In molti al Nord cominciano a capire che questo abisso incolmabile col passare del tempo sì dilata sempre più. In molti presto torneranno a rivalutare parecchie delle storiche battaglie dell’autonomismo padano. Servono tempo e pazienza e, per Chi le ha, servono fede e saggezza.
Così almeno sosteneva Tommaso Moro in tempi lontani.