Mi ha colpito molto rivedere le immagini di una delle vicende cruciali del secolo scorso silenziata dal regime e si sono subito materializzate sullo sfondo inquietanti analogie.
Sono passati 30 anni da quella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989, quando l’Esercito Popolare sgomberava la piazza simbolo di Pechino, occupata dagli studenti in protesta. Fu un massacro che ancora oggi il governo cinese prova a nascondere. Ma non deve essere stato un massacro inutile, se è vero come è vero che da lì in poi sarebbe cambiata la storia. Da lì in poi lo scenario politico cinese e mondiale sarebbe cambiato in modo tanto radicale quanto repentino.
L’alleanza di Deng Xiaoping ebbe il sopravvento e ai cinesi che protestavano venne assicurata una migliore qualità della vita. Si aprirono di fatto le porte ad una strana forma di capitalismo economico strozzato dal punto di vista democratico. I cinesi cominciarono ad essere più ricchi restando comunque mediamente sempre meno liberi. La libertà di espressione venne soffocata in tutti i modi, così come quella di poter fare politica.
Una cappa assordante e grigia ha coperto tutto. Al punto che venne persino vietata la citazione temporale di quella triste giornata. Nessuno, nemmeno in rete (vigilata è censurata dal regime), poteva citare quell’evento, al punto che per sfuggire ai controlli venne coniato l’hashtag #35maggio dallo scrittore Yu Hua, ancora utilizzato oggi da molti cinesi, per revocare quel 4 giugno i cui non si poteva parlare diversamente.
In poche parole una pagina triste della nostra storia contemporanea che non ha ancora trovato una via d’uscita degna degna di essere considerata, coi canoni occidentali, civile e democratica.
Fatte le debite proporzioni veniamo alla succitata “inquietante analogia”. C’è una data simbolo per molti cittadini veneti e lombardi che ormai rischia di fare la stessa fine: il 22 ottobre. Il 22 ottobre del 2017 infatti milioni di persone hanno scelto di chiedere, in maniera civile e democratica, di ottenere maggiori autonomie dallo stato centrale così come peraltro previsto dalla costituzione vigente. Il risultato è stato netto e inequivocabile.
I cittadini hanno chiesto di poter avere solo ciò che spetta loro per legge: nuove forme di autonomia. La strada sembrava segnata e decisamente in discesa. Il governo dell’epoca di centrosinistra accettò malvolentieri di aprire un negoziato, ma alla fine lo avviò.
Ho partecipato personalmente alle trattative col governo e con le regioni coinvolte, che nel frattempo avevano registrato il tentativo analogo (con modalità differenti dal referendum) dell’ Emilia Romagna per ottenere sostanzialmente lo stesso risultato. Dopo pochi mesi di negoziato alla fine del mese di febbraio dello scorso anno si giunse ad un’intesa. Una mediazione, certo, ma una ottima base di partenza per un processo seriamente autonomista chiesto dai cittadini. Mancava solo l’ultimo passaggio: il voto parlamentare. Una semplice ratifica, peraltro.
Un gioco da ragazzi apparentemente, anche perché nel mese successivo di marzo si tennero le elezioni e la stragrande maggioranza parlamentare andò ai due partiti che in Lombardia e Veneto avevano sostenuto il referendum: la Lega e i 5 Stelle.
Era tutto talmente facile che lo stesso Salvini preso da un eccesso di entusiastico ottimismo ebbe a dichiarare con fare solenne: “Quando saremo al governo in un quarto d’ora vi daremo l’autonomia”.
Qualcuno ha già avuto modo di eccepire scherzosamente come sulla vicenda si sia registrato il quarto d’ora più lungo della storia. Ma il vero problema è che sul tema si è registrato un tentativo far calare il silenzio.
Pare esista un tacito accordo fra tutte le parti politiche per fare in modo che la gente dimentichi. Addirittura partiti storicamente autonomisti stanno in tutti i modi boicottando il dibattito nella speranza che la gente dimentichi il proprio diritto ad ottenere democraticamente quanto richiesto in un referendum.
Ormai non si può più ricordare il 22 ottobre e quello che ha rappresentato. Vuoi vedere che gli emuli nostrani del comitato centrale cinese ci costringeranno a cambiare hashtag?
Ci dobbiamo aspettare davvero di dover lavorare nella clandestinità per dar voce a milioni di cittadini del Nord? Saremo veramente costretti a usare la formula di “viva il 52 di settembre!” #52settembre?
La storia non insegna proprio nulla?