FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

2 giugno 1996, l’alba di un sogno intramontabile: la Padania

Sono passati 24 anni da quel giorno, da quel 2 giugno 1996.
Il 2 giugno del 1996, esattamente 50 anni dopo l’avvento della Repubblica (referendum istituzionale del 2 giugno 1946), io vivevo quello che è stato uno dei giorni più belli, emozionanti ed intensi della mia vita: la mia prima Pontida.

L’edizione 1996 di Pontida fu, per certi versi, storica, irripetibile. A parte essere stata la mia prima esperienza – indimenticabile – sul sacro prato, fu anche la Pontida della svolta secessionista impressa da Umberto Bossi. Si parlò, apertamente, di un nuovo Paese da costruire, di libertà, di autodeterminazione del popolo padano, di indipendenza, di Padania. Nacque lì, in quel momento, la stella polare da seguire, che avrebbe portato a quello che la negoziazione politica tra il centro (Roma) e la Padania (la parte più avanzata economicamente del Paese che da solo produce la metà dal PIL dell’intero Paese) avrebbe generato: o uno Stato federale o la rottura, con la secessione del Nord dal resto del Paese. Se il Nord non fosse stato ascoltato, se ne sarebbe andato per la propria strada, richiamando a supporto di quella scelta, il diritto inalienabile a decidere con chi stare: il diritto di secessione.

Ricordo come fosse adesso l’emozione, la trepidazione dei giorni precedenti a quella domenica, la decisione di vivere quell’appuntamento dal vivo insieme a mio padre, i brividi che provai – letteralmente – sulla mia pelle quando sentii parlare Umberto Bossi. In quel momento io e mio padre eravamo due uomini liberi, davanti a un altro uomo libero che parlava di democrazia, di federalismo, di libertà. Parlava di un sogno.
Fu in quella circostanza che il desiderio di libertà, di ribellione verso tutto ciò che significava annichilire la Padania, la mia terra, si rafforzarono ancora di più nel sentire il discorso del Capo. Il Capo, colui che diede, o meglio, ridiede dignità ad una parte del Paese trattata come un bancomat, come mucca da mungere per far vivere, sulle sue spalle, il Sud, il Mezzogiorno assistito. Come lui stesso disse in un suo passaggio pieno di pathos: “Il Nord che lavora, produce e paga. Il Sud assistito che non riesce a svilupparsi a causa dell’incapacità e del ladrocinio della sua classe politica e che controlla il Nord attraverso il colonialismo della magistratura meridionale nei tribunali del Nord, degli insegnanti meridionali nelle nostre scuole, della polizia meridionale nelle nostre caserme, ecc.”. Il Capo, l’unico della Lega Nord, non ce ne saranno mai altri, mi diede un sogno, un ideale da seguire: quello della libertà della Padania.

Perché, per essere chiari, l’Italia – ed è sbagliato negare una situazione del genere – soffre, endemicamente, di una questione meridionale e di una questione settentrionale. E questo è ancora più vero se riflettiamo sulle differenze – in termini di PIL pro-capite. – che a distanza di 150, anzi quasi 160, anni dall’avvento dell’unificazione nazionale abbiamo ancora davanti ai nostri occhi. Tutto questo portò, 24 anni fa come oggi, Umberto Bossi a reclamare la libertà per il Nord.

A 24 anni di distanza, forse utopisticamente e magari un po’ da romantico, continuo a sognare il federalismo. Continuo a credere al sogno di libertà che proviene dal Nord, dalla Padania. Sogno un sistema federale come la Svizzera, in cui fin dalla nascita i cittadini vivono il federalismo, lo respirano in ogni aspetto della propria vita.
La Lega Nord non esiste più. Il partito che ne ha assunto il nome, ne ha rubato anche la storia e si è appropriata, ipocritamente, del suo patrimonio ideale.

Oggi non si parla più di federalismo, di Padania, di decentralizzazione dei poteri, di libertà, di autogoverno; anzi, è meglio dire che se ne parla a sproposito. Addirittura richiamarsi, oggi, ai princìpi del federalismo è quasi come essere fuori dal mondo.
Eppure al federalismo, alla sua idea, ai suoi princìpi terneremo. La Politica, prima o poi, tornerà a confrontarsi anche e soprattutto su questo tema. Sulla dicotomia tra il centralismo e tutto quello che questa idea si porta dietro, quindi lo statalismo, l’elefantiaco apparato pubblico, il dirigismo economico; contro, dall’altro lato, il federalismo, con annessa la libertà economica e di impresa, la competizione, il mercato, l’autonomia dei territori e degli individui. Perché, come in Svizzera, il federalismo lo si deve vivere, ogni giorno, lo si deve respirare.

Torneremo a parlare di tutto questo, vedrete. Ci torneremo perché la natura federale è insita nella storia d’Italia e perché è – come diceva Carlo Cattaneo – l’unica teorica della libertà. Proprio come ho capito quel 2 giugno del 1996.

Roberto Marraccini
Roberto Marraccini, classe 1974, ha lavorato per 13 anni (dal 2002 al 2015), come funzionario di partito nella Segretaria Politica Federale della Lega Nord, occupandosi sempre di temi legati al federalismo, alle autonomie locali e all’Unione Europea. Oggi è un funzionario pubblico in un ente locale. Continua a sognare un’Italia Federale ed ha come modello di riferimento la Svizzera.

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