Fateci caso: non ci sono mai stati tanti esponenti politici “pro sud” come in questo periodo. Ci sono più “sudisti” in Italia oggi di quanti ce ne fossero in tutta la Confederazione durante la “Civil War”. E pure trasversalmente. La maggioranza di governo composta com’è da due movimenti/partiti postcomunisti ha fatto esplicitamente dell’opzione meridionalista il loro principale tema di mobilitazione del consenso. Comprensibilmente, dal punto di vista politico, dato che M5S è il partito che piglia 2/3 dei suoi consensi dalla Toscana in giù e il PD è tradizionalmente il partito di riferimento del pubblico impiego, il quale arruola nel “paese reale” che si estende dal Rubicone in giù le sue reclute. Se il governo “sfonda a sud”, l’opposizione non sta a guardare, ben attenta a non lasciarsi superare nella corsa verso il meridione.
L’opzione nazionalista di Salvini che ha tolto il “Nord” dal nome (e non solo) del movimento che fu di Bossi è un dato di fatto irreversibile. Ormai la lega divenuta “italianista” ha abbandonato di fatto la strada della rappresentanza delle istanze del settentrione e allo slogan “Prima il Nord” è stato sostituito quel “prima gli Italiani” con il quale Salvini va alla conquista dei voti in regioni tradizionalmente sensibili ai temi federalisti. Tipo la Calabria o la Campania. Su “Fratelli d’Italia” c’è veramente poco da dire. Il brand dei nostalgici della destra post missina sta erodendo i consensi della Lega post Papeete e non certo perché si mette in competizione con lei sul terreno del federalismo. Anzi, il partito della Meloni è quello tradizionalmente più tiepido (per non dire altro) rispetto ai referendum per l’autonomia del Veneto e della Lombardia, in ragione del suo retaggio nazional-patriottardo. Pure una Forza Italia in agonia non ha mancato di portare il suo tributo al Sud e così non ci sono state risparmiate le recriminazioni della graziosa deputata di FI Mara Carfagna sulle “famiglie del sud che pagano più tasse e hanno meno servizi di quelle del nord”.
Alla graziosa Mara consigliamo la lettura di un saggio di Ricolfi vecchio di ormai qualche anno, ma ancora attualissimo: “il sacco del Nord”. E di consultare i dati ufficiali relativi all’evasione fiscale nella penisola. Farà la strabiliante sorpresa che il sud è quel magico luogo in cui si scopre che il lavoro irregolare è diffuso quanto la parietaria nel momento in cui un edificio crolla su operaie che cuciono camicie “in nero”. Immagine iconica di questo neomeridionalismo istituzionale è il ministro Provenzano (omen nomen), “l’uomo che sta riportando i soldi al sud” (come se avessero mai smesso di andarci, peraltro), autentica fucina di provvedimenti con il bollino di “Southfriendly”. Vi sono ottime ragioni per pensare che buona parte dei quattrini messi a disposizione dell’Europa per la crisi post covid finiranno non nelle regioni più colpite, tipo la Lombardia, ma in progetti assistenzialistici nel meridione che dall’epidemia di covid è stato a malapena sfiorato. Ironicamente, l’Italia intera è stata messa in Lockdown per tutelare le regioni del sud i cui sistemi sanitari non sarebbero stati in grado di reggere l’urto dell’epidemia, qualora si fosse diffusa ovunque. Così, non solo il nord è stato strangolato per non arrecare danno al sud, ma proprio verso il sud che meno ha sofferto per l’emergenza verranno dirottati la maggior parte dei finanziamenti per la ripartenza. Praticamente “cornuti e mazziati”. La versione aggiornata della teoria del caos dice che una farfalla sbatte le ali in Giappone e in Italia si fa un bonus per il sud.
Insomma, la politica in Italia “Go South”. Urge chiedersi perché la questione settentrionale che fino all’altro ieri dominava l’agenda politica (senza ottenere molti risultati concreti, peraltro) è completamente passata in cavalleria e si è risolta nel suo esatto contrario, ovverosia il violento comeback della “questione meridionale”? la risposta è molto semplice e sta tutta nella virata nazionalista del movimento di Salvini. A dirla in breve, la politica si è convinta che le classi produttive settentrionali un tempo attente alle tematiche ribellistiche, libertarie e antistataliste della Lega Nord abbiano accettato senza colpo ferire la trasformazione del loro movimento di riferimento in un partito nazionalista e statalista. In ragione di ciò il “fronte nord” può essere tranquillamente lasciato scoperto, tanto da li non arriverà nessuna sorpresa. La società del nord accetta passivamente che la Lombardia sia utilizzata come capro espiatorio per l’epidemia di covid mentre il segretario del movimento che fu il suo riferimento politico non si scompone più di tanto, impegnato com’è a farsi video tra gli ulivi di Puglia mentre degusta mozzarelle e “l’olio buono” del meridione. La società produttiva del nord confermerà Zaia governatore del Veneto con un plebiscito in stile Bielorusso, senza che il suo partito di appartenenza sia mai salito sulle barricate per ottenere l’autonomia. Anche perché facendo una vera battaglia per le regioni del nord, si farebbe fatica a vedere a Napoli manifesti elettorali con il motto “prima i napoletani” e il logo della lega Salvini.
Il vero eldorado della politica ora è il sud, terra da conquistare (elettoralmente) a colpi di reddito di cittadinanza, bonus e prebende assistenzialiste varie. Tanto il nord si è talmente adagiato sulla narrazione di Salvini che gli puoi far trangugiare qualsiasi cosa. Pure che si possa avere l’autonomia in Veneto e Lombardia e contemporaneamente pigliare voti a Secondigliano o Reggio Calabria. In tutto questo, paradossalmente, le istanze del settentrione sono portate avanti da esponenti della sinistra, basti pensare a Sala a Milano o Gori a Brescia oppure all’esperienza di Francesca Rubinato la quale proviene dal PD e in Veneto si presenta alla corsa per le regionali con una lista fortemente federalista. Movimenti che matureranno? Staremo a vedere. Nel frattempo, sarà interessante osservare come si evolverà la situazione in Veneto, dove la lista Zaia probabilmente doppierà i voti della lega, in crisi di credibilità al nord. Salvini ne è consapevole ed ha imposto la candidatura nella lista del partito di molti “Big” che altrimenti fosse stato per loro si sarebbero candidati nelle liste del governatore. E’ ragionevole pensare che la maggior parte del consenso che raccoglierà il governatore uscente proverrà dagli ambienti sensibili alle tematiche storiche della Lega nord. E allora, data per scontata l’indisponibilità di Zaia a guidare una fronda “nordista” all’interno Lega, sarà importante capire come la società del nord reagirà alla “disillusione” derivante dalla scoperta, che prima o poi avverrà, che l’autonomismo della Lega di Salvini è nulla più di una tigre di carta. Allora forse risulterà chiaro a tutti che a fare da tappo sul percorso del federalismo è prima di tutto il “Capitano” e il suo movimento nazionalista.