“The matter with Marcato”, potrebbe quasi essere il titolo di un serial USA. Invece è solo l’ultimo capitolo del romanzo che racconta il logoramento del brand della Lega ormai non più nord, ma che per il Nord fu un punto di riferimento non solo politico ma soprattutto ideale. Vediamo che è successo.
Roberto Marcato, il pitbull di Zaia ai tempi della scissione di Tosi ora sulla poltrona dell’assessorato Regionale del Veneto alle Attività Produttive, è stato oggetto di attacchi personali, provenienti da ambienti che possiamo definire “nostalgici del ventennio”, a causa di un suo post sui social con il quale commemorava la figura di Gino Strada, fondatore di “Emergency” scomparso in questi giorni. E non certo conservatore, per usare un eufemismo. Tanto è bastato ai i nostalgici del ventennio per prendere di mira l’assessore Marcato con uno striscione appeso sulla recinzione dello stadio di Padova e uno shitstorming sui social.
L’assessore si è subito s-marcato dai contestatori proclamando che nella Lega i “Fascisti” non hanno ragione di essere. Benissimo. Sarebbe però opportuno che lo spiegasse pure al suo collega di partito Durigon, sottosegretario del governo Draghi e uomo forte di Salvini nel Lazio, il quale ha avuto l’incomprensibile trovata di proporre il cambio di intitolazione di un parco comunale a Latina da “Falcone e Borsellino” a “Arnaldo Mussolini” (fratello minore di “LVI”).
Ora, a parte che alzi la mano chi sapeva che il DVCIE avesse un fratello, non si capisce francamente il motivo di una trovata così dadaista se non quello di attirare il voto dei tradizionalmente forti ambienti “nostalgici del fascismo” laziali. Ma la “liaison” tra la lega a trazione sovranista di Salvini e gli ambienti della destra radicale è ormai di antica data e ha generato un’osmosi a tutti i livelli. Dalle cene di Salvini con lo stato maggiore di Casapound alle porte aperte quando non addirittura spalancate del partito agli esponenti della destra radicale.
Qualche esempio? A Verona è da poco entrato in lega il consigliere comunale Andrea Bacciga, molto noto in ambito locale soprattutto per un processo che lo vede imputato per una questione filosofica di angoli di inclinazione e di braccia tese, oltre che per le sue posizioni nostalgiche del ventennio. Il suo trasbordo in Lega è avvenuto con la sponda dell’onorevole Vito Comencini, a suo tempo vicinissimo all’ex ministro Fontana, insieme al quale fa parte di quella “corrente” della Lega che guarda esplicitamente alle esperienze dei governi autoritari e illiberali eurasiatici. Osmosi lega-destra radicale che fanno un po’ sorridere se le si pensa venire incoraggiate da parte di quegli stessi esponenti del partito che ai tempi della scissione tosiana accusavano l’ex sindaco di Verona di aver “portato i fascisti in lega”.
Solo ora taluni si sono risvegliati, come la bella addormentata nel bosco, e hanno realizzato che quello che era un partito a vocazione libertaria, federalista e europeista è diventato un porto sicuro per i pronipotini di ideologie che erano vecchie già 50 anni fa? Dove stavano quando Salvini sui social ammiccava un giorno sì e l’altro pure alla destra sovranista per blandirne i voti con schiere di supporters nostalgici, i quali riempivano la sua timeline di più foto di Mussolini rispetto a quante ce ne fossero appese ai muri di Roma nell’Italia degli anni 30? Non si sa e Marcato non lo spiega. Ma prima o poi lui e molti altri dovranno spiegare all’elettorato del nord che bell’affare sia stato accasare il partito dove prima piantava la tenda la destra più reazionaria e allo stesso tempo non aver raggiunto nessuno di quelli che erano gli obiettivi delle battaglie storiche del movimento.
Primo fra tutti, il federalismo. A proposito, qualcuno dica a Zaia che i veneti stanno ancora aspettando il loro “Natale più bello”. Da diversi anni.