FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

I titoli del debito pubblico italiano sono meglio di una Fiat Duna usata?

Questa inserzione e il laconico commento scritto a mano sull’avviso stesso fecero il giro del mondo qualche anno fa.

Un capolavoro di comunicazione e di satira degno della rivista “Cuore” dei tempi migliori. Qualcosa che ha fatto sbellicare di risate milioni di persone e che rischia di somigliare molto ad una vicenda che al contrario, pur mantenendo in se forti contenuti comici, sempre più sta assumendo toni drammatici.

E’ di queste ore la notizia che la Banca Centrale Europea nel mese di dicembre di quest’anno cesserà il programma Quantitative Easing, meglio noto come QE. In pochi conoscono i contenuti di un meccanismo che in questi anni ha permesso alla BCE di acquistare ben 2.600 miliardi di euro di titoli di molti paesi europei.

Era il l marzo 2015 quando Mario Draghi dette il via a questo programma. Di questi oltre 350 sono serviti per comprare Bot e Btp, i bond del Tesoro italiano. Dallo scorso ottobre, la Bce ha ridotto gradualmente gli acquisti da 30 a 15 miliardi al mese, anche se nel periodo del programma si sono arrivati ad acquistare fino a 80 miliardi al mese.

Dal prossimo mese di gennaio cesseranno gli acquisti netti e finirà sostanzialmente il Qe.

«Quando cesserà subiremo un contraccolpo come gli altri, con la differenza che da noi la crescita è meno forte», ha dichiarato nei mesi a Repubblica il ministro Giovanni Tria.

Il rischio concreto che correremo nei prossimi mesi, dopo la chiusura di quello che da più parti è stato definito “ l’ombrello della BCE”, è quello di una vera e propria ecatombe sulle disastrate finanze dello stato ( alle prese peraltro con diversi problemi di credibilità sui mercati internazionali).

Da più parti Draghi viene indicato come colui che ha salvato la parte più povera del sistema economico Europeo e ci sono buoni motivi per crederlo. Solo nella solita sgangherata Italia, dove solerti opinionisti economici da osteria non perdono giorno per attaccarlo, questo  non è unanimemente riconosciuto. E la fine del suo piano di protezione potrebbe coincidere con l’inizio del disastro. Ma per rendere calzante la metafora della Duna in premessa bisogna valutare alcun i indizi chiarissimi di patologia prossima ad essere conclamata.

La Banca di Francoforte in questi anni è stata la principale protagonista alle aste dei titoli pubblici. Creando di fatto le condizioni per una situazione di mercato stabile e duratura che ha prodotto risultati tangibili sul fronte del contenimento della spesa per interessi sul debito dei singoli stati. E con un debito come il nostro è facile capire con quale impatto sulla finanza pubblica.

Ma fra pochi giorni non ci sarà più. Ciononostante la Bce continuerà a reinvestire «per tutto il tempo necessario per mantenere condizioni di liquidità favorevoli» e parrebbe perlomeno fino alla fine del mandato di Draghi, nell’ autunno 2019. Unico modo per evitare il tracollo a casa nostra. Ma quando finirà il mandato del tanto criticato Draghi cosa potrà succedere?

Di sicuro segnali ne sono arrivati diversi negli ultimi mesi. Già in agosto c’era stata un’asta per i Bot annuali, con scadenza ad agosto 2019, dedicata agli investitori specialistici, ossia alle banche.

Bene, quest’asta è andata deserta: nessuno ha voluto comprare i nostri titoli di stato. Potrebbe essere un caso ma senza il QE i titoli nostrani somigliano alla Duna sempre più.

Resta il fatto che sempre nello stesso periodo pare che i tecnici di Jp Morgan, una delle più importanti banche d’affari al mondo, abbiamo consigliato ai propri investitori di “chiudere tutte le strategie più propense al rischio prima che riprendano i collocamenti di titoli e il dibattito sulla legge di Bilancio italiana raggiunga il punto critico”.

Sarà il solito caso da complottisti o la cosa comincia a prendere davvero una brutta piega?

Se a questo sommiamo alcuni viaggi della speranza fatti dalle massime autorità italiche alla ricerca di nuovi acquirenti (come accaduto in occasione della missione del povero ministro Tria in Cina, pare alla ricerca di nuovi fondi disposti a comprare quello che altri non vogliono più,) il gioco è fatto.

Lo schema sembra identico a quello della Duna e il rischio è che d’ora in poi non si trovi nemmeno qualche buontempone disposto a riderci sopra.

Ministro Tria, se va avanti così non saranno in molti a disturbarla, nemmeno ore pasti. Mangi tranquillo! A preoccuparsi semmai dovrebbero essere molti altri.

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Imprenditore, classe 1968. Per 25 anni impegnato a vari livelli in politica sempre nelle fila della Lega Nord. Dal 1993 al 2002 è sindaco di Pomponesco (Mantova), nel 1996 entra a far parte del Direttivo regionale dell’Anci Lombardia. Nel biennio 1996-1997 Fava è presidente del Consorzio per la depurazione idrica casalasco-viadanese. Per molti anni e’ stato membro elettivo di Upl (Unione provincie lombarde). Dal 2002 al 2007 consigliere comunale a Pomponesco e dal 2009 al 2014 consigliere comunale a Sabbioneta. Dal 2015 al 2018 è stato consigliere comunale a Viadana (città dove attualmente vive). Dal 1997 al 2012 è stato consigliere della Provincia di Mantova e deputato al Parlamento in tre Legislature. Nella XV Legislatura è stato membro della Commissione Attività produttive; nella XVI è stato membro delle Commissioni Difesa, Attività produttive, Politiche dell’Unione europea, Affari sociali e della Commissione Bicamerale d’Inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, nonchè Presidente della Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla Contraffazione. Nella XVII eletto di nuovo alla camera dei deputati ha rassegnato le dimissioni nel maggio 2013 per entrare a far parte della giunta regionale della Lombardia con Presidente Roberto Maroni come assessore all'agricoltura. Appassionato di politica, economia e di sport nel novembre 2018 ha scelto di abbandonare le cariche elettive e la politica attiva in campo istituzionale per dedicarsi alla propria attività imprenditoriale a tempo pieno.

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