L’argomento principe che pervade le polemiche del leghismo dissidente con gli elettori della nuova Lega, ormai generosamente italiani e fieramente nazionalisti, è la questione voti.
Il leghista salvinista, messo di fronte alla lunga sequenza di rospi che il nuovo corso ha allegramente ingoiato e fatto ingoiare a chi si occupa da 25 anni di autonomia, tira fuori sempre la questione voti.
La vecchia Lega non andò mai oltre l’11% mentre la nuova Lega Salvini si protende verso il 40% .
Il fatto è innegabile, anche se non irreversibile, ma la politica è diversa dalla gastronomia, non perché sia più nobile, piuttosto perché mentre in cucina si può, con un po’ di mestiere, cambiare la ricetta in corsa e modificare in itinere il progetto, in politica non puoi fondare un partito della pastasciutta e poi promuovere la rivoluzione dell’insalata.
Vincere è un requisito importantissimo, fondamentale, ma “vincere per fare che cosa?” è altrettanto importante e determinante per decidere che cosa sia la politica e il perché serve ai cittadini.
Generalmente il neoleghista melodico va a parare sulla mancanza di alternative, sull’ impossibilità di rifondare un grande partito dell’autonomia e farne ripartire le aspirazioni nelle regioni che ispirarono la nascita della Lega Nord per l’indipendenza della Padania.
Ciò che , a mio irrilevante avviso, sfugge ai nuovi militanti felpati, oltre alla memoria che sembra addirittura smagnetizzata dagli esaltanti quanto inutili (almeno al nord) risultati elettorali, è la percezione del perché , molti anni fa , abbiano creduto nel progetto politico che metteva la responsabilizzazione territoriale come primo problema di questa strana nazione.
Questa fondamentale motivazione sembra scomparsa completamente dai loro radar, infatti non si pongono minimamente la questione di una banalissima coerenza di intenti e di cosa voglia fare la nuova Lega della sua storia fondante.
Tutto sfuma in una sbuffata e un’alzata di spallucce, perche, intanto, loro stanno andando verso il 40 percento e con quello si comanda, poi vedremo.
Quello che vedremo, rischia di essere visto troppo tardi per essere cambiato, quello che invece vediamo ora è la completa mancanza della percezione fondamentale della politica: il gusto dell’utopia ideale.
A volte è mille volte meglio perdere ma essere coerentemente fedeli ai propri ideali, che vincere con profluvio di suffragi smarrendo completamente la propria proposta politica e sociale.
Non c’è niente di disonorevole nell’aver provato a convincere gli elettori che non serviva, non serve e non servirà continuare ad assistere mezza nazione sostituendo il voto di scambio contro il comunismo al voto di scambio contro il nordismo.
Certo, si rimane una minoranza, non ti danno i ministeri ma la tua proposta è seria e sempre valida, perche senza responsabilità territoriale la questione meridionale e quella settentrionale non si spostano di un millimetro, e hai voglia a prendertela con Bruxelles.
La vecchia Lega fece molti errori di alleanza e strategia interna, eccessivo folclore e vacuo antimeridionalismo, ma la lega di oggi è il nulla con la protesta intorno, buona per selfy e condivisioni sui social, ma di politico non c’è più nulla, tranne l’ultimo, anacronistico retaggio storico, che evoca una vecchia storia di nove secoli fa: il nome.
Coraggio, un ultimo forzo e abbandonate anche quello, se non per elementare coerenza, almeno per decenza.