Ormai non si parla d’altro. Va riconosciuta a Matteo Salvini una capacità straordinaria. Riesce a far parlare di se a prescindere dalla qualità dei contenuti dei propri interventi. In questa società che mastica e divora tutto con facilità può capitare anche di sentire una solenne sciocchezza applaudita da una massa festante e inconsapevole, seguita da una polemica infinita che occupi tutti gli spazi mediatici (compreso questo). E allora per non sfuggire alla logica dell’attualità sono costretto ad intervenire a malincuore su un tema che conosco bene.

Per anni mi sono battuto per la tutela delle produzioni all’origine e della tipicità dei prodotti, ma mai avrei pensato che un giorno avrei dovuto commentare una presa di posizione tanto corretta formalmente quanto sgangherata nella sostanza. E’ verissimo: uno dei prodotti iconici più celebrati del Made in Italy non è prodotto con materie prime nazionali. La Nutella è un prodotto globale! Quindi? Lo boicottiamo ? Salvini pare proprio abbia pensato di sì. Del resto le orde squirtanti che seguono in adorazione i suoi interventi pare non abbiano avuto dubbi. Hanno come al solito applaudito fragorosamente rispetto ad una questione posta in modo surreale.
Una azienda straordinaria che fattura oltre 10 miliardi di euro portando un prodotto del Nord Italia in giro per il mondo non usa solo materie prime italiane bensì turche! Le nocciole questi maledette! Un caso raccapricciante di violazione dei più elementari principi di sana autarchia per un prodotto volontariamente globale. Insomma una solenne sciocchezza. Un conto infatti è scandalizzarsi e gridare allo scandalo se qualcuno utilizza latte lettone o slovacco per produrre parmigiano reggiano (con un disciplinare rigidissimo sull’alimentazione bovina e sull’uso dei farmaci non applicabile a quelle latitudini) altra cosa è prendersela con le nocciole. Dimostra una scarsa conoscenza del problema che rasenta il paradosso. La cosa oltretutto parrebbe aggravata dal fatto che la maggior parte delle importazioni proviene nientepopodimeno che dalla (da lui) odiata Turchia. Ci sarebbero tutti gli ingredienti dello scandalo se non fosse che quest’ultima produce il il 70% della materia prima destinata al mercato italiano mentre tutta la produzione italiana assorbita dallo stabilimento di Alba non superi il 14%, in un contesto in cui la sola Ferrero consumi il 20% delle nocciole di tutto il mondo.

In pratica non esiste un’alternativa alla produzione se non una scongiurabile decrescita produttiva (più o meno) felice. Peraltro sono testimone oculare del fatto che il gruppo alimentare da anni stia tentando di affrancarsi dal mercato turco cercando di produrre sempre più in patria attraverso progetti di filiera per la produzione di nocciole sovraniste. Lo ha fatto così tanto che in alcuni casi sono addirittura nati comitati che ne contestano lo sviluppo sostenendo che così si ammazza la biodiversità creando aree di produzione tropo omogenea e standardizzata. E in casa Ferrero sanno bene che quanto non sia popolare assorbire di fatto un terzo della produzione mondiale di nocciole. Ma la cosa più grave ahimè non riguarda l’uso delle nocciole.
Io continuo a pensare che (seguendo il ragionamento del mio amico Salvini) che oltre all’uso ridotto di zucchero tricolore addirittura non vi sia traccia dell’utilizzo di cacao italiano. Gravissimo! Inaccettabile! Fino a quando potremo tollerare tutto ciò ? E che dire allora dei maledetti e globalisti “pocket coffee “? Pare non solo non si utilizzi nemmeno un grammo di cacao calabrese o lucano, ma peggio ancora, nemmeno un etto di pregiato caffè sardo? E anche in questo caso questo insulso prodotto anti sovranista non tiene nella benché minima considerazione i prodotti dello stivale. Uno scandalo che va lavato col sangue. Pronti ad una mobilitazione di massa fino alle estreme conseguenze diplomatiche, i nostri nuovi eroi se ne infischiano di alcuni dettagli. Quindi forti sono i sospetti che azioni come quelle poste in essere da Ferrero Hazelnut Company, (il ramo del Gruppo che si occupa della coltivazione e della raccolta delle nocciole) sia tutto un bluff. A nulla ha valso il lancio del progetto “Nocciola Italia” a sostegno della filiera italiana della nocciola che prevede, tra le altre cose, l’impegno al riacquisto della materia prima su lungo periodo, e il sostegno alle filiere agricole grazie a tracciabilità e sostenibilità delle produzioni. Eppure pare che ben sette regioni ci siano cascate fino a qua, da Nord a Sud.

Ma avanti di questo passo rischiamo di dover analogamente imporre la produzione di caffè per i pocket coffee. Magari potremmo cominciare con una piccola produzione in Val d’Aosta. E perché no spingersi fino alla produzione di cocco a Lampedusa. Altrimenti come faranno i Ferrero a garantire idonee quantità di “ Raffaello” per completare gli innumerevoli cesti natalizi per le prossime festività senza minare le malsane basi del Made in Italy alimentare?