Malcolm McDowell è un ottimo attore? Gli appassionati di cinema si ricordano di lui solamente per la sua interpretazione di Alex in “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick, di ciò che ha fatto prima e dopo vi sono poche tracce. Quindi potrebbe essere un fenomeno della recitazione, non lo sapremo mai, dato che la nostra memoria è legata a lui con una sola e unica parte, per quanto importante, che sembra averlo in qualche modo fagocitato.
Matteo Salvini rischia di diventare un po’ il Malcolm McDowell della politica Italiana. Grande saltimbanco della propaganda in campagna elettorale, attività nella quale è un virtuoso, non ha dato prove altrettanto convincenti come ministro della Repubblica. Anzi, potremmo dire che la sua attività di ministro è stata un’appendice di quella del propagandista, Sembra quasi che il “capitano”, come un attore rimasto prigioniero di un suo carattere, fatichi a uscire dal ruolo di demagogo capopolo. Particolare degno di nota: rimanere identificati con un’unica opera è un rischio che gli intrattenitori corrono assai spesso. “Tommy became bigger than The Who”, ebbe a dire John Entwistle ragionando sull’enorme successo che ebbe il loro celebre concept album.
La recente campagna elettorale in Emilia Romagna è una prova diretta di quanto abbiamo appena detto. Salvini la ha affrontata in maniera completamente decontestualizzata, reiterando ossessivamente in una coazione a ripetere i mantra della sua macchina propagandistica, senza alcun aggancio con la realtà del territorio, che è stata la grande assente dai suoi temi elettorali. La stessa scelta di una candidata come Lucia Borgonzoni, la cui evanescenza era tale da attirarsi le ironie della rete, era funzionale a questa strategia mirata a far risaltare solamente il leader supremo del partito.
Scelte che alla fine si sono rivelate controproducenti, ma che in qualche modo erano obbligate per il leader leghista, il quale paradossalmente pare essere ostaggio del successo che fino a oggi ha avuto la sua macchina di propaganda, la “Bestia” alla cui guida sta Luca Morisi, il nerd dal taglio di capelli improbabile a cui si ascrive molto del merito dell’ascesa dei consensi per la Lega.
(Leggi| Vice: Quando Morisi sosteneva Berlusconi)
La “Bestia” in realtà non è un meccanismo particolarmente sofisticato. I profili social di Salvini sembrano una via di mezzo tra quello di un food influencer specializzato in tipicità regionali e un sito di fake news. Messaggi banali, reiterati in maniera compulsiva e concentrati su pochi temi (quello principale: l’insicurezza derivante dall’immigrazione), che vengono poi riverberati attraverso migliaia di profili fake che ne amplificano il rumore. Un format mirato a mobilitare i consensi di un ben determinato elettorato, a bassa scolarizzazione e privo di qualsiasi capacità di analisi critica, ovverosia la maggioranza della popolazione. Del resto, il 30% dei consensi non si fa con i voti degli Accademici della Crusca. A ciò si unisce una totale spregiudicatezza nel lanciare (volutamente) messaggi controversi o disturbanti, ben sapendo che i media mainstream, riprendendoli, faranno inconsapevolmente da cassa di risonanza. Ne sono un fulgido esempio, le citazioni di Mussolini o gli hashtag della campagna elettorale sotto un post in memoria di Kobe Bryant.
Una strategia che non sempre ha portato bene al guru di Salvini, il quale decise di abbandonare la professione di ricercatore presso l’università di Verona, dopo le pesantissime polemiche a causa di un Tweet sessista che prese di mira la candidata del PD alle elezioni regionali del 2015 in Veneto. (Leggi: Il rettore: «Il post sessista di Morisi fa danno all’ateneo»)
Questa macchina pare aver funzionato così tanto bene fino ad ora, che il “Capitano” ne è rimasto assuefatto, per quanto la reiterazione dei medesimi temi indipendentemente dal contesto, sia stato uno dei motivi della sconfitta della Lega in Emilia Romagna, i cui cittadini si sono sentiti invasi da un esercito alieno che non si curava minimamente delle peculiarità locali.
La “Bestia” è diventata più grande del Capitano? Oppure la “Bestia” ha mangiato il Capitano?
Da questa prima battuta d’arresto è presto per dirlo, ma quel che è certo è che la macchina propagandistica leghista ha creato un loop nel circuito della comunicazione mediatica del movimento di Salvini.
Ha incrementato fortemente i consensi con una strategia comunicativa basata su messaggi banali, populisti e completamente avulsi dal reale, perdendo contemporaneamente il contatto con il reale.
Al punto tale che nel momento in cui deve confrontarsi con i problemi pratici di una campagna elettorale amministrativa, manca clamorosamente l’obiettivo. Rimarrà antologico lo sketch ( perché di quello si tratta ) della citofonata al presunto spacciatore del Pilastro, volta a enfatizzare la narrazione dell’extracomunitario che delinque, ma totalmente indifferente all’evento criminale più grave che sia mai accaduto nel quartiere, il massacro dei tre carabinieri da parte della “Banda della Uno Bianca”. Composta da poliziotti con tendenze di estrema destra.
La “Bestia”, evidentemente, non voleva toccare qualche nervo scoperto della retorica salviniana.