FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

L’invenzione dell’Italia unita

Il 17 marzo 1861, contrariamente a quanto ci è stato insegnato a scuola, non nacque il Regno D’Italia, piuttosto cambiò nome quello di Sardegna. Vittorio Emanuele II° mantenne la numerazione dinastica Sabauda e la legislatura è indicata negli annali come l’VIII°, in continuità con quella piemontese. Inoltre il sovrano sabaudo facendosi fregiare del titolo di “Re d’Italia”, e non “degli italiani”, ristabilì il nesso patrimoniale re – territorio peculiare dell’Ancient Regime, che Napoleone aveva troncato 50 anni prima facendosi incoronare “Imperatore dei Francesi”.

L’Italia nasce guardandosi indietro, partiamo da questo aneddoto solo apparentemente di colore per introdurre ai lettori de “La Voce del Nord” “L’Invenzione dell’Italia unita” di Roberto Martucci, docente universitario di Storia delle Istituzioni Politiche. Il libro apparso per la prima volta nel 1999 si pone nel filone degli studi che hanno cercato di rivisitare criticamente il processo di unificazione politica della penisola, basandosi sulle acquisizioni della ricerca storica novecentesca la quale considera – con buone ragioni – il processo di costruzione dell’identità nazionale il frutto della volontà politica di una minoranza, piuttosto che un processo di necessaria evoluzione storica condiviso da una maggioranza.

Filone che oltre a interessanti e innovativi studi accademici ha prodotto pure una messe di opere divulgative redatte da autori non accademici, in particolare focalizzate sulla campagna dei mille e sul Regno delle due Sicilie. Ci riferiamo alle opere del giornalista Gigi Di Fiore o a quelle di Arrigo Petacco oppure al recente “Garibaldi Corruzione e tradimento” di Alfio Caruso. Il Nord, nel processo di revisione storica della costruzione della nazione italiana se n’è rimasto un poco alla finestra, se si eccettua l’opera del compianto Gilberto Oneto, e testimonianza ne è che i lavori in merito si concentrano appunto sul Meridione. Motivo di più per proporre ai nostri lettori un testo come quello che introduciamo in questo articolo.

Il professor Martucci, che non casualmente è di origini meridionali, nel suo interessantissimo e fruibilissimo testo tratta argomenti assai interessanti. Prima di tutto di come non fosse affatto scontato che l’esito del processo di unificazione della penisola sfociasse in uno stato unitario e accentratore. Intellettuali come Giuseppe Ferrari e Carlo Cattaneo pensavano a una forma federalista, come quella che Bismark aveva messo in pratica per la Germania, il cui processo di unificazione per molti aspetti aveva dei parallelismi con l’italiano. Il grande statista Tedesco, nel prevedere un assetto federale per il Reich volle tener conto della situazione storico-politica della Germania, per secoli suddivisa in una miriade di stati autonomi dei quali era fondamentale salvaguardare le identità.

In Italia il processo di unificazione politica fu più conseguenza delle abili strategie di Cavour che di un’indiscussa egemonia politica e militare del regno di Sardegna, che non a caso per prevalere nelle guerre di annessione degli stati della penisola dovette contare sulle vittorie del Secondo Impero Napoleonico nel 1859 e della Prussia nel 1866. Così, forse per contrappeso alla sua debolezza politico militare, il regno Sabaudo impose un sistema politico accentrato, che non tenne in minimo conto le differenze che esistevano tra gli stati che aveva annesso, alcuni dei quali avevano fino a 14 secoli di storia alle spalle.

Dato da tener bene a mente oggi quando ascoltiamo i componenti del governo giallo rosso proclamare la necessità da parte dello Stato Nazionale di riappropriarsi di quelle (poche, pochissime) competenze che sono state affidate ai territori. Tutto il processo di unificazione durò non più di una ventina di mesi, che Martucci racconta con il piglio dello storico e la piacevolezza di lettura del romanziere. E seguendo il filo del suo racconto scopriamo come l’unificazione della penisola fosse tutto meno che un processo “necessario”.
Corruzione sistematica per comprare le elites dirigenti degli stati italiani, carabinieri – da sempre la guardia bianca del regime nazionale di turno – mandati in borghese a fare gli “agitatori patriottici” negli stati oggetto delle mire annessionistiche piemontesi, plebisciti-farsa indetti per dare una patina di democraticità popolare a delle annessioni eseguite “manu militari” nei quali si doveva andare a votare in seggi presidiati dall’esercito piemontese, questo e molto altro si dipana dalla lettura delle pagine del libro. Il quale smonta anche i dogmi della religione nazionale italica, quali la “volontà comune” di unificazione.

Scopriamo così che mentre nel corso della prima guerra di annessione del 1848 la Lombardia partecipò entusiasta al movimento nazionalista italico, nel 1858 fu piuttosto uno spettatore passivo al limite dell’indifferenza delle operazioni militari dell’esercito franco-sardo. Scopriamo anche che la lealtà all’Austria era molto forte e sentita, tant’è che il XVI° reggimento di fanteria asburgico, composto interamente da soldati veneti, combatté accanitamente a Solferino, guadagnandosi una menzione d’onore assieme al suo comandante. Questo detto con buona pace per coloro che guardano con divertita supponenza i veneti che festeggiano ancor oggi le battaglie di Custoza e Lissa come vittorie, e chi scrive è fra loro. Buona parte del libro è dedicata alle vicende dell’annessione del meridione e del crollo dello stato Borbonico.

Martucci, 20 anni prima del fiorire degli studi di rivisitazione critica dell’impresa di Garibaldi, squarcia il velo steso dall’agiografia storica nazionale su quella che, se fosse avvenuta in qualsiasi altro paese, sarebbe stata classificata come un’azione banditesca. Così, l’annessione dell’antichissimo Regno delle Due Sicilie viene descritta per quel che fu, l’occupazione militare tramite una truppa mercenaria di una nazione con la quale il Piemonte non si trovava nemmeno in stato di guerra. I Comandati borbonici furono sistematicamente corrotti per far si che non opponessero resistenza e diversi di loro fecero poi carriera nell’esercito italiano. La truppa garibaldina dopo lo sbarco fu costantemente rinforzata da soldati piemontesi smobilitati inviati all’uopo che la fecero arrivare al numero di 20.000 effettivi. La Mafia in Sicilia affiancò i garibaldini e a Napoli il ministro dell’interno borbonico Liborio Romano, nella disintegrazione dello stato delle due Sicilie affidò ai “capipanza” della camorra il controllo del territorio, cosicché Garibaldi poté entrare nella capitale meridionale senza sparare un solo colpo di moschetto, accompagnato dal capocosca Tore e’ Crescienzo, la cui sorella fu poi beneficiata con una pensione dalla neonata nazione italiana. Chi si prenda la briga di ricostruire i motivi storici per cui vaste parti del territorio del meridione sfuggano ancor oggi al controllo dello Stato non dovrebbe prescindere dallo studiare come esso fu unita al regno d’Italia.

Il tema del banditismo meridionale poi meriterebbe una trattazione a sé, tanto interessante è questa parte di storia dell’unificazione politica della penisola fino a pochi anni fa negletta. Autentica sollevazione popolare contro un governo occupante, il quale impiegò fino a 105.209 soldati – più di quelli impiegati nelle guerre di annessione degli stati italiani – per averne ragione, oltre a una legge speciale, la famigerata “Legge Pica” che istituiva tribunali militari che emettevano giudizi sommari. Sullo sfondo, uno dei primi misteri tra quelli che costelleranno la storia d’Italia: il misterioso affondamento del piroscafo “Ercole”, il quale portava al nord i rendiconti dell’amministrazione del governo provvisorio i quali provavano le gigantesche malversazioni e ruberie compiute dalle autorità garibaldine, custodite dall’integerrimo Ippolito Nievo il quale scomparve assieme ai segreti che portava. Libro focalizzato sul passato che si deve leggere per comprendere come il presente non sia frutto del caso.

Luca Comper
Architetto, appassionato di troppe cose da poterle riassumere nello spazio di una schermata del PC, ma in particolare di arte, politica e storia. Ha lo stesso rapporto con il giornalismo di quello che ha uno scafista con la marineria. Indipendentista to the core, il suo motto è "Ho costruito la mia causa in abuso edilizio"

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi