Sono passati quasi trent’anni da quella sera e gli echi di quella discussione mi rimbombano nel cervello. Erano i primi anni 90 e si discuteva ancora nelle sedi dei partiti. Si faceva politica anche così. Dibattiti infiniti e polemiche estenuanti caratterizzavano le serate di coloro che avevano scelto la strada della militanza politica.
La Lega Nord (quella vera di allora) non veniva meno a questa tradizione e nelle sedi sparse per tutta la Padania tenevano banco tematiche mai superate dall’attualità, ma ormai in declino sul versante più modaiolo dell’attuale dibattito scandito dai social network. Polemiche infinite dicevo, sempre sul filo della rissa verbale. Si parlava di Berlusconi, di secessione e di strategie. Il mio amico Guido ad un certo punto al culmine dello scontro verbale a chi lo accusava di essere troppo polemico rispose laconico: se non fossi polemico non sarei nella Lega!
Palla e set! Il confronto continuò fino a quando il solito Guido che amava aver sempre l’ultima parola sentenziò: non riusciremo mai ad ottenere la secessione perché in Padania siamo ancora tutti troppi ricchi! Non manca nulla a nessuno e non si sono mai viste rivoluzioni fatte da soggetti che hanno la pancia piena. Arriverà il momento dello strappo del paese solo quando la gente comincerà ad essere povera! Palla, set e match!
Io timidamente mi limitai a rispondere che a quelle condizioni non mi interessava proprio. Che speravo ci fossero ancora gli spazi per affermare i principi di autodeterminazione dei popoli, certamente per ragioni economiche, ma al contrario. Cioè immaginavo che proprio il benessere diffuso che si viveva in quegli anni dovesse essere la molla per convincere i cittadini del Nord della necessità di tagliare i ponti con uno stato parassita e centralista che nel medio lungo periodo avrebbe potuto mettere a repentaglio le conquiste sociali ed economiche di una vasta area che definivamo Padania, che ricca e prosperosa non la era sempre stata. In tanti ricordavano ancora in modo nitido gli anni della fame e della ricostruzione post bellica per poter correre il rischio di ripiombare nelle condizioni più buie che a fatica si erano lasciati alle spalle. Avevo torto. O meglio, nel breve avevo pensato di aver ragione. Da li a pochi anni avremmo visto milioni di uomini sfilare sul Po invocando la secessione. Mantova sarebbe diventata la nostra Capitale e Venezia la punta di diamante del processo indipendentista.
Raccogliemmo consensi mostruosi combattendo una strenua battaglia contro il sistema e i cittadini ci seguivano e ci incitavano. Poi qualcosa si è rotto. Il “sistema romano” riuscì ad inghiottire quegli aneliti di indipendentismo fino ad omologarne molti degli uomini che lo avevano rappresentato. Lo stato centrale alzò le barricate contro i leghisti e in generale contro gli indipendentisti a tutti i livelli, spesso usando armi scorrette in democrazia, ma con tenacia e determinazione superiore a quella degli sgangherati rivoltosi.
In questi quasi trent’anni mi sono chiesto più volte se avesse ragione Guido. E mio malgrado credo che presto ne avremo la prova definitiva. La Nuova Padania (tabloid indipendentista resistente) ha pubblicato in questi giorni alcuni dati terrificanti: “Nel 2020, il Nord conta oltre 218mila famiglie in più in condizioni di povertà assoluta rispetto all’anno precedente (più di 720mila individui), con un’incidenza che passa dal 5,8 per cento al 7,6 per cento a livello familiare e dal 6,8 per cento al 9,4 per cento in termini di individui. Così le stime preliminari della povertà assoluta per l’anno 2020 diffuse dall’Istat.”
In pratica ci stiamo avvicinando velocemente a percentuali di povertà da paese del terzo mondo. Lo scontro sociale è dietro l’angolo e di questo sappiamo bene tutti che la pandemia è stata solo il detonatore di una situazione che ha origini lontane. Origini facilmente individuabili nelle responsabilità di uno stato centrale che ha sempre teso a mediare in questi decenni puntando al ribasso. Mediare nell’accezione più deleteria del termine. Puntando a limitare le eccellenze a favore delle mediocrità. Un sistema che usando una metafora marinara vede una scialuppa (che anticamente era diventata una barca a vela) presa d’assalto da tutti che la spingono velocemente verso gli abissi. “Ci salveremo tutto insieme da Nord a Sud”, disse un paio danni fa un sedicente statista nel tentativo di giustificare una virata strategica ingiustificabile.
Coleremo a picco tutti insieme, molto più probabilmente. Oppure aveva ragione Guido? E’ arrivato il momento per rilanciare la grande battaglia indipendentista? Siamo abbastanza poveri e disperati per far prevalere gli istinti egoistici piuttosto che affermare un ragionamento facile facile che prende spunto dalle diseguaglianze come punto di partenza per cambiare la struttura del paese? Continuo a non avere una risposta certa. Di sicuro rispetto ad allora non esiste più uno strumento politico adeguato, né tantomeno un condottiero in grado di giocare la partita. Ma i tempi sono maturi davvero. Basta parlare con la gente comune. Con quelli che non fanno calcoli di convenienza strategica elettorale. Con quelli che cominciano ad avere paura e che capiscono che in realtà in questi anni sono stati subissati di bugie. Colpa dell’Europa, dell’immigrazione, della globalizzazione. E via a spingere sempre un po’ più in là lo spettro delle responsabilità nel tentativo tutto italico di trovare sempre responsabilità negli altri.
La colpa purtroppo è di questo stato decrepito e della sua impresentabile classe dirigente che ci ha spinto verso un’economia basata sulle rendite facili. Un paese dove quasi nessuna produce più ricchezza e dove i dipendenti pubblici, sommati ai pensionati, agli improduttivi del reddito di cittadinanza e a migliaia di fancazzisti per vocazione sono ormai la stragrande maggioranza elettorale e sociale.
Un paese senza prospettive ormai morto da un pezzo ma con milioni di soggetti disposti a sostenerne la struttura pur di tirare a campare. Non so se siamo abbastanza poveri per tornare a combattere la battaglia per la secessione, ma di certo so che siamo molto più poveri di quando si discuteva con Guido ormai quasi trent’anni fa. E in fin dei dei conti ho molta nostalgia di quella politica che non c’è più.