FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

Le delocalizzazioni

Tutti indignati per l’abbandono dell’Italia come sito produttivo da parte di imprese con sede sociale estera.

Meno indignati per le (pochissime) imprese italiane che hanno delocalizzato la loro produzione e magari oggi chiudono i siti esteri per far ritorno in Italia creando identici drammi sociali ai loro dipendenti esteri: la sindrome del NIMBY in salsa economica.

Poco spazio al problema correlato: non solo le imprese vanno altrove a produrre ma ben poche nuove si collocano in Italia.

Solo indignazione per gli effetti, poco impegno a cercare le cause di questa attitudine “perversa”.

I sindacati Italiani sono molto manichei: il cinismo esasperato degli imprenditori (privati) che prima usufruiscono di aiuti pubblici e poi se ne vanno provocando drammi sociali. Punto. Accusa tanto apodittica quanto demagogica: le imprese che chiudono e trasferiscono dopo aver usufruito degli aiuti pubblici si contano sulla punta delle dita, le altre se ne vanno per ben altri motivi, fra i quali proprio le pretese sindacali.

Invece il sistema Italia non ha colpe.

Non ci sono impedimenti, trappole, costi impropri, lungaggini burocratiche, incertezza normativa, infinita durata dei processi, criminalità organizzata, debolezza delle infrastrutture, dirittismo dei lavoratori, improntitudine delle sentenze dei c.d. giudici del lavoro, attivismo sindacale anti impresa privata, atteggiamento antindustriale dell’italiano medio, noncuranza dei risultati economici, costo del lavoro.

Tant’è che per attrarre gli investimenti esteri in Italia, i governi di ogni colore hanno dovuto prevedere incentivi a carico dello Stato (cioè dei contribuenti), mentre nulla hanno fatto per rimuovere le cause di fondo del modesto appeal italico.

Le imprese italiane hanno fardelli pesanti, i lavoratori italiani hanno fardelli pesanti: entrambi se li tengono sulle spalle. Le imprese straniere sono agevolate, ma quando gli effetti agevolativi finiscono, riemerge il problema del gap di sistema e quindi se ne tornano a casa loro.

Invece che dare soldi ai terzi e a fondo perduto perché non provare a rendere appetibile il sistema: neanche vale il costo del lavoro. In Irlanda, Olanda, Svizzera, Gran Bretagna questo costo è analogo al nostro, solo che da noi è pagato per meno del 50% ai lavoratori e per oltre il 50% allo Stato.

Tutto questo non è ostativo alla attività di impresa (privata) nel nostro Paese?

La soluzione: imprese a partecipazione pubblica meno sensibili alla produzione di ricchezza e più vocate al “sociale”. Ricetta sperimentata per decenni negli sfortunati Paesi del “comunismo reale” con i risultati noti: miseria e staticità innovativa, aziende decotte, inquinanti, conti economici perennemente in rosso: producono debiti anziché ricchezza. Sempre, dappertutto.

Oggi la presenza del pubblico (Stato ed enti territoriali) nell’economia italiana pesa per oltre la metà del totale, la pandemia ha accelerato questa invadenza: CdP e MEF sono entrati nel capitale anche di imprese di medie dimensioni oltreché di grandi gruppi come TIM, Autostrade, Monte dei Paschi, Alitalia, ILVA per dirne alcune.

Alitalia ed ILVA sono palesi esempi delle scelte non economiche ma “politico/sindacali” sciagurate: Alitalia, costata agli italiani ben più di 20 miliardi di € per tenere in piedi la baracca a solo beneficio di dipendenti e di sigle sindacali fatiscenti, per arrivare alla sua conclusione attuale. Ilva espropriata ai Riva: da quel momento produce carte bollate, scioperi, indignazioni, trampolino di improbabili parlamentari (perfino ministri come la signora Lezzi), quello che non produce più è acciaio, di cui oggi il mondo ha letteralmente fame.

Si invoca il modello tedesco: accanto al CdA un Consiglio di sorveglianza composto da sindacati e enti locali. Ma nel caso tedesco i sindacati e (spesso) gli enti locali sono soci dell’impresa. Cioè rischiano in proprio. La proposta italiana, di cui CISL da anni è interprete (da ultimo si è aggiunta UGL) è invece quella che il rischio economico sia a carico del privato ed eventualmente dell’ente pubblico territoriale o governativo, mentre i sindacati non assumono rischio alcuno. Come dire: se c’è utile me ne dai una percentuale, se c’è perdita la ricopri solo tu.

In questo (superficiale) quadro è davvero difficile capire perché le imprese private lasciano l’Italia e ben poche di nuove ne arrivano?

È così difficile rilevare che l’interventismo pubblico aumenta la spesa pubblica e scoraggia gli investitori esteri che temono concorrenze sleali protette dall’azionista forte (il pubblico)?
E in compenso grandi schiere di politici, “economisti” e commentatori continuano a lanciare allarmi contro il neoliberismo selvaggio di cui l’Italia sarebbe affetta: ma va là!

Maufrigneuse
Un uomo saggio che ha dedicato tutta la vita all’attività imprenditoriale con grande successo e che oggi guarda ai fatti di questi tempi con apprensione e sincera preoccupazione. La politica è stata la grande passione della vita da alternare al lavoro. E le passioni si sa non muoiono mai. “Un giorno un uomo ricevette la visita di alcuni amici. “Vorremmo tanto che ci insegnassi quello che hai appreso in tutti questi anni,” disse uno di loro. “Sono vecchio,” rispose l’uomo. “Vecchio e saggio,” disse un altro. “In fin dei conti, ti abbiamo sempre visto pregare durante tutto questo tempo. Di cosa parli con Dio? Quali sono le cose importanti che Gli dobbiamo chiedere?” L’uomo sorrise. “All’inizio, avevo il fervore della gioventù, che crede nell’impossibile. Allora, mi inginocchiavo davanti a Dio e gli chiedevo che mi desse le forze per cambiare l’umanità. “A poco a poco però, mi sono accorto che era un compito superiore alle mie forze. Allora ho cominciato a chiedere a Dio che mi aiutasse a cambiare ciò che mi circondava.” “In tal caso, possiamo garantirti che il tuo desiderio è stato esaudito in parte,” disse uno degli amici. “Il tuo esempio è servito per aiutare molta gente”. “Ho aiutato molta gente con il mio esempio; ma sapevo, comunque, che non era la preghiera perfetta. Solo adesso, alla fine della mia vita, ho capito qual era la richiesta che avrebbe dovuto essere stata fatta fin dall’inizio.” “E qual è questa richiesta?” “Che io fossi capace di cambiare me stesso”!

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