Ho letto e meditato quello che ha scritto Gianni Fava, a metà fra ipotesi politica e appello a Matteo Salvini.
– Sono trascorsi quasi 10 anni dall’elezione di Salvini a segretario federale della allora Lega Nord per l’Indipendenza della Padania.
– E questo è un fatto. Dietro al quale tuttavia mi pare ci siano alcune premesse che Fava non fa: la Lega Nord all’epoca era in una crisi addirittura esistenziale. Il “cerchio magico” l’aveva condotta sull’orlo della scomparsa. Eppure fu lo stesso Fava, se la memoria non mi inganna, a farsi parte attiva per decapitare i colpevoli del disastro che non era solo politico ma soprattutto etico, di credibilità, di capacità, di consenso.
– Ne nacque la “sera delle scope” a Bergamo, dove Maroni uscì dal silenzio e favorì in via definitiva l’affondamento del cerchio magico, salvando la Lega.
– Ne seguì l’elezione plebiscitaria di Maroni a Segretario Federale.
– Ne seguì la sua (critica) vittoria alle regionali della Lombardia che garantì la sopravvivenza di una Lega pur residuale.
– Ne seguì l’incompatibilità di Maroni alla contemporanea carica di Presidente della Lombardia e di Segretario della Lega Nord all’opposizione del Governo centrale.
– Ne seguirono le sue dimissioni da Segretario Federale con la sua indicazione (plebiscitariamente condivisa) di Giorgetti alla successione.
– Ne seguì il rifiuto di Giorgetti ad assumere l’incarico.
– Ne seguì la seconda scelta: Salvini.
Io sono convinto che i leghisti debbano a Maroni molto di più di quello che gli riconoscono. Senza di lui temo che la Lega Nord sarebbe scomparsa nel turbine delle malefatte del cerchio magico, della malattia di Bossi, delle incertezze di Giorgetti, della impresentabilità che ne derivava.
Dunque Salvini fin dall’inizio fu una “seconda scelta”, però legittimata dal successivo congresso cui Fava fa cenno.
Mi sembra pacifico affermare che Salvini non è mai stato ritenuto, come neanche lui si ritiene, uno “stratega” della politica. Ha un piglio pragmatico, una buona predisposizione alla tattica, ma non ha la vocazione di elaborare progetti e dunque di dare un contenuto programmatico ad un partito. Dice bene Fava: il contenuto della Lega Nord era quello di “sindacato dei territori”, dell’uso corretto del principio di sussidiarietà verticale, della capacità di rappresentanza delle esigenze territoriali selettivamente: il lampione spento ma anche i bisogni di interi cluster territoriali (gli artigiani, i commercianti, le piccole imprese e così via): un quadro generale e dettagliato delle attese di ciascun territorio presidiato.
Oggi il problema vero della Lega è proprio quello della rappresentanza che viene ancor prima del consenso, anzi ne è causa.
L’apertura ai nuovi territori che Salvini ha operato non ha seguito l’indirizzo politico bossiano, non c’è stata la paziente proposizione del progetto leghista, si è limitato a prendere voti senza cercare di influire sulla cultura dei nuovi arrivati che gli hanno trasferito i voti “a pacchetto” come costuma a Sud: i voti sono arrivati dai “soldati di ventura” che ne sono proprietari e convergono sul veicolo Lega senza che sia loro richiesta la condivisione di un progetto, che peraltro non c’è.
Salvini, non la Lega, ha preso i voti del Sud e li ha presi senza condizioni progettuali ma solo a condizioni pattizie: Salvini/portatori di voti. Il successo elettorale alle europee è di Salvini non della Lega, che anzi mi pare uscirne sconfitta nelle prospettive “ideologiche”.
C’è da ammettere che il bivio era fin troppo chiaro: o la Lega apriva a Sud oppure rimaneva confinata nei suoi territori di origine, rinunciando dunque a diventare partito di maggioranza perché volontariamente rinunciava a metà del bacino elettorale italiano.
Peraltro e per verità storica la Lega Nord, stava lentamente (e faticosamente) espandendosi verso altri territori che vi aderivano in percentuali modeste ma con convinzione e condivisione “ideologica” e dunque duratura e solida.
Appunto: battaglia strategica pluriennale anziché vittoria tattica immediata ma altrettanto fragile.
Ne è poi derivata una attitudine alla esasperata personalizzazione del partito, con la discutibile scelta della nuova compagine Lega per Salvini Premier. Una sorta di culto della personalità, che metteva il suggello su due aspetti: – la mancanza di verifica del consenso attraverso i congressi (che paiono scomparsi dal panorama del partito) – La selezione dei candidati alle cariche pubbliche per scelta autoritaria del Segretario o dei suoi “Commissari”, con conseguente sfilacciamento interno, ma soprattutto “ideologico”: oggi un coro dissonante di ipotesi, proposte, indirizzi. Ognuno dice la sua: se è coerente con la visione di Salvini è legibus soluta. Basta l’amicizia, perfino la simpatia o il “patto” elettorale per entrare con privilegio nelle liste del partito ad ogni livello.
Questo quadro spiega l’andamento a “dente di sega” del consenso alla Lega per Salvini premier: punte elevatissime in 4/5 anni e perdite elevatissime nei due anni successivi e tuttora. A parità di condizioni il futuro sembra incerto ma nessuno se ne cura: una allegra apocalisse!
Siccome Salvini è un pragmatico, potrebbe darsi che l’ipotesi di Fava trovi la sua personale accoglienza: in questo caso però cadrebbe tutta la attuale catena di comando del suo partito. I Commissari nominati a guardia del territorio hanno creato vicereami personali. Saranno disposti a rinunciarvi? Il sistema commissariale si è consolidato. Buona parte dei vecchi leghisti hanno abbandonato il partito, quando non sono stati espulsi o “degradati”, comunque sempre oscurati e isolati, i Commissari hanno fatto nuovi iscritti. Non è detto che eventuali congressi diano risultati diversi dagli attuali. I legami fra il nuovo iscritto e il Commissario è su basi do ut des, e comunque non su basi di condivisione politica che rimane una opzione residuale. I congressi potrebbero rappresentare il sugello al salvinismo e secondo me questa è la “strategia” interna che intendeva seguire Salvini: l’ha seguita.
In conclusione pare a me che l’ipotesi di Fava abbia ben poche probabilità di diventare concreta. Dovrebbe superare la resilienza di Salvini e ancor più quella della nuova dirigenza salviniana.
Temo invece che tutto troverà conclusione in una ectopirosi finale, pochi voti, nessuna prospettiva progettuale, abbandono dei “soldati di ventura”, ridimensionamento nelle urne dei candidati salviniani, abbandono del consenso di interi cluster produttivi (soprattutto a Nord). Il 2023 sarà fatale. A quel punto qualcuno che ne abbia voglia e titolo, raccoglierà i cocci: la storia insegna che i nuovi leader emergono in situazioni di emergenza.
È successo a Salvini nel 2013, succederà a un homo novus o a un consolidato leghista nel 2023.