FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

Elezioni comunali e referendum

I referendum hanno fatto naufragio sugli scogli predisposti dal “sistema” che non è solo quello di Palamara, di per sé molto più deviato dei servizi segreti, peraltro “deviati” per decisione del PCI>PDS>DS>PD e dei suoi corifei.
È il sistema Italia che pare “deviato”. A prescindere dai risultati di questo ultimo, lo stesso istituto referendario o si riforma o diventa un rottame inutile: la percentuale di chi ha votato alle elezioni comunali è attorno al 50%, il trend partecipativo è in continuo declino. Se ogni referendum deve raggiungere il 50% degli aventi diritto è facile prevedere che lo strumento andrà a far compagnia ad altri rottami costituzionali previsti ma mai attuati (per esempio gli articoli 39 e 40).

Nel frattempo Davigo e compagnia giustizialista possono affermare che agli italiani va bene l’attuale sistema. Che peccato!
Al naufragio dei referendum si sono aggiunti gli esiti elettorali: “campo largo” amato da Letta (ma non da tutto il PD). I voti portati a casa dal M5S sono marginali. Nei capoluoghi PD e M5S hanno sostenuto 14 candidati comuni, 3 candidati contro e in 5 capoluoghi il M5S era assente. I numeri sono severi per il M5S: ottiene il massimo a Genova e a Taranto 4.3%, il minimo a L’Aquila (0,7%), Lodi (1.5%) e Pistoia (1.8%). Consenso medio 2,4%. Sembra che gli italiani abbiano smaltito la sbornia del 2018 e che si astengano da ulteriori abusi di politica alcolica. Letta dovrà trovare ben altri partner, oltre alla sinistra/sinistra, che vadano a rinvigorire il “campo largo” e non sarà facile.
M5S, il cui cadavere è oggi disputato da Conte e da Di Maio. Non c’è solo una caduta di voti, c’è anche una lite in famiglia per spartirsi i modesti beni residuali ancora disponibili. Per quel che importa nessuno dei due gode di stima: Di Maio ha contribuito molto a costruire il mostro, ma Conte pare a me solo un opportunista cinico che cavalca persino gli asini pur di cavalcare.
Lega per Salvini Premier. che non è un cadavere (15% medio ottenuto) ma che sembra avere una malattia grave. I sintomi ci sono tutti: il declino dei voti. Nel momento della irresistibile ascesa tutti (leghisti compresi) dicevano che i voti non erano della Lega ma di Matteo Salvini. E dunque, con la stessa logica, il declino deve essere imputato a Salvini: i voti li ha presi lui, ora li perde lui.
Ai militanti leghisti di vertice e di base è imputabile la acquiescenza con cui hanno “obbedito”. Il mantra era “prendiamo chiunque porti voti”. La logica era che il voto, come la pecunia, non olet: Interi pacchetti si trasferirono alla Lega , con la modalità del profitto reciproco, dal centro, da destra e persino da sinistra: come scriveva Mastronardi “imballa, imballa”, senza preoccuparsi di che cosa si stava imballando.

La quantità a dispetto della qualità: non discrimino, parlo di “qualità leghista”, non di altro. Non ho le presunzioni della sinistra che toglie qualità al voto e persino alle opinioni che non coincidono con le sue. Intendo cioè ricordare, senza indugiare in approfondimenti, che il progetto Lega era federalista, territoriale, sussidiario dal basso all’alto, rappresentativo del ceto produttivo. Questa, nel bene e nel male, era la “qualità” del voto leghista.
Contrariamente alla più diffusa opinione, il salvataggio della Lega Nord dal disastro del “cerchio magico” costruito attorno alle difficoltà di salute di Umberto Bossi, fu opera di Maroni e di nessun altro. Salvini venne dopo. Ma con le macerie raccolte costruì un grande consenso numerico. Negarlo non è solo ingeneroso, è soprattutto falso.
È invece vero che per farlo Salvini ritenne necessario un mutamento radicale del progetto Lega, sia esterno che interno al partito. Come è vero che quasi nessuno si oppose all’interno del partito: all’ultimo (remoto) congresso federale Gianni Fava (fra i pochi oppositori con il coraggio di schierarsi) arrivò al 15%. Non risultano forme di pressione o di persuasione più o meno occulta: l’85% dei congressisti erano convinti in proprio. Ma in quel congresso poco si parlò di progetti e prospettive: l’unica preoccupazione era la sopravvivenza del partito, costi quello che costi.

Da Segretario federale Salvini agì peraltro in coerenza con il predecessore Bossi: la Lega non è mai stata, al proprio interno, un partito democratico: come dimenticare le purghe bossiane che colpivano non solo dissidenti “ideologici” ma anche avversari personali anche solo ipotetici o prospettici? Neanche Fava può dimenticare intelligenze belle e meno belle ma fastidiose, fatte fuori anche in modo brutale. Che dire per esempio dell’allontanamento della testa più brillante di cui disponeva la Lega e che si chiamava Gianfranco Miglio?
Ma Bossi restava fedele al progetto Lega, pur indugiando in riti e miti folkloristici e un po’ da ridere: la Lega bossiana era quello che ora non è più. Era il “sindacato del territorio” di cui, là dove operava, conosceva ogni dettaglio, ogni attesa, persino ogni speranza. Una affinità elettiva (ed elettorale) perduta. Il dato più inquietante è che il competitore principale (FdI) ha superato la Lega in casa Lega, invertendo il trend che nel passato recente vedeva la Lega affermarsi in casa FdI.

All’interno Salvini ha fatto prevalere i due elementi essenziali per il controllo stretto: il legame personale e la dipendenza economica. Rinunciando anzi osteggiando l’apporto “dialettico” che rende un partito dinamico (ma contendibile). La maggior parte dei colonnelli sono clientes. Nessun confronto, anche per carenza di cultura se non di intelligenza. Il progetto Lega è passato di mano: dalla rappresentanza dei territori che perveniva dai gazebo e dai banchetti, ai suggerimenti dei guru della comunicazione che percepivano i flussi quotidiani del comune sentire e quotidianamente vi si allineavano. Dal dettaglio del territorio al vasto bacino dell’utenza indiscriminata. Il progetto Lega vi si è dissolto: il federalismo (almeno l’autonomia!), la rappresentanza di cluster economici, sociali e dunque politici si è stemperata nella quotidiana e indistinta caccia al consenso giornaliero. Un partito senza progetti chiari è un partito senza anima destinato a seguire gli umori: sono gli umori che fanno il programma e non il programma che cattura il consenso.

Ora che il Capo sembra aver perso la bussola, il sistema della Lega Nord per Salvini premier è entrato in crisi: all’esterno i pacchetti di voti del Sud migrano verso le nuove opportunità che la Giorgia nazionale sembra offrire ai soldati di ventura della politica, al Nord il ceto produttivo perde la fiducia nella rappresentanza della Lega e sparpaglia il voto (e l’astensione). All’interno la Lega, nella disponibilità degli eletti e non più dei militanti, non presidia più i territori, il cui sentiment non arriva più ai vertici.

Succederà qualcosa dentro la Lega per Salvini premier? io credo di no. Aumenteranno i malumori, il numero dei tesserati avrà cali vistosi, l’assenza del presidio territoriale aumenterà, la curva del consenso continuerà a scendere, eventuali congressi nazionali (regionali) daranno i risultati predisposti dal salvinismo. I vecchi militanti (molti dei quali erano militanti vecchi) ridotti per morte naturale nei 10 anni che ci separano dall’ultimo congresso, i sopravvissuti messi all’angolo, oscurati e minacciati, i nuovi militanti selezionati fra quelli che sostengono il nuovo corso: mi sembra fisiologico che i risultati di eventuali congressi diano esito favorevole a Salvini. Dunque non è da lì che passa l’eventuale rinnovo dei vertici Lega. Bisognerà aspettare la primavera del 2023 per eventuali contraccolpi: i “posti” si assottiglieranno di molto, le liste saranno causa di lacerazioni e scontenti fra i salviniani. Si aprirà la guerriglia interna. I risultati nelle urne saranno modesti e dunque gli eletti saranno ancora meno: si aprirà la disputa sui collegi sicuri che sicuri non erano.

Solo l’effetto congiunto delle risse interne e dei ridimensionamenti elettorali, solo le prospettive di decrescita ulteriore fino alla scomparsa, potranno convincere qualche colonnello, oggi riluttante, o qualche homo novus, a prendersi l’onere di ricostruire un partito i cui originari progetti hanno assicurato buon governo locale, coerente rappresentanza dei ceti produttivi, prospettive di autonomia, ipotesi di crescita della ricchezza prodotta, migliore ripartizione della stessa, speranza di liberazione dalla invadenza burocratica e dalle minacce della magistratura militante, riconoscimento e premio del merito (uno non vale uno).
Cose che FdI garantisce solo in parte, correndo peraltro il rischio di prendere un bel po’ di voti non sapendo poi come farli valere (l’effetto Le Pen in Francia).

Il Paese produttivo avrà comunque bisogno di un partito che riprenda e sostenga le proposte della Lega (Nord), dopo i disastri prodotti dall’effetto congiunto del grillismo, delle sinistre e, perché non dirlo, delle rinunce della Lega per Salvini Premier.

Maufrigneuse
Un uomo saggio che ha dedicato tutta la vita all’attività imprenditoriale con grande successo e che oggi guarda ai fatti di questi tempi con apprensione e sincera preoccupazione. La politica è stata la grande passione della vita da alternare al lavoro. E le passioni si sa non muoiono mai. “Un giorno un uomo ricevette la visita di alcuni amici. “Vorremmo tanto che ci insegnassi quello che hai appreso in tutti questi anni,” disse uno di loro. “Sono vecchio,” rispose l’uomo. “Vecchio e saggio,” disse un altro. “In fin dei conti, ti abbiamo sempre visto pregare durante tutto questo tempo. Di cosa parli con Dio? Quali sono le cose importanti che Gli dobbiamo chiedere?” L’uomo sorrise. “All’inizio, avevo il fervore della gioventù, che crede nell’impossibile. Allora, mi inginocchiavo davanti a Dio e gli chiedevo che mi desse le forze per cambiare l’umanità. “A poco a poco però, mi sono accorto che era un compito superiore alle mie forze. Allora ho cominciato a chiedere a Dio che mi aiutasse a cambiare ciò che mi circondava.” “In tal caso, possiamo garantirti che il tuo desiderio è stato esaudito in parte,” disse uno degli amici. “Il tuo esempio è servito per aiutare molta gente”. “Ho aiutato molta gente con il mio esempio; ma sapevo, comunque, che non era la preghiera perfetta. Solo adesso, alla fine della mia vita, ho capito qual era la richiesta che avrebbe dovuto essere stata fatta fin dall’inizio.” “E qual è questa richiesta?” “Che io fossi capace di cambiare me stesso”!

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