Ci sono notizie straordinarie che in questo strano paese passano in secondo piano. Compito di chi vuole cantare fuori dal coro e’ quello di rivalutarle e rilanciarle per quello che sono, ossia per la portata storica che le stesse dimostrano di poter rappresentare.
Una di queste, sfuggita ai più, ma non agli amanti della libertà dei popoli, risale a pochi giorni fa e arriva dalle Marche.
Ebbene, nella amena cittadina di Macerata e più precisamente dalle aule del proprio tribunale, si è consumata una inedita procedura che ai più ha fatto sorridere, ma in realtà nasconde fra le pieghe divertenti una realtà molto seria. Parrebbe infatti dalle cronache che una giudice di quel tribunale, tal Francesca Preziosi, abbia concesso a due imputati napoletani (sorprendentemente a processo per spaccio di stupefacenti) la facoltà di avvalersi nel corso del processo di un interprete che traducesse dal napoletano all’italiano e viceversa, in quanto hanno candidamente ammesso di non conoscere la lingua italica.
Per adempiere a questa funzione pare abbiano scovato uno specialista del genere, ossia un avvocato di Civitanova Marche originario di Napoli (tal Andrea Di Buono) che si è prestato all’inedita funzione.
Peraltro la stampa ci ricorda che non ci sono precedenti in tal senso e che per la prima volta nella storia giudiziaria di questo strampalato paese un avvocato viene chiamato ad interpretare gli atti del processo dal napoletano e addirittura a titolo gratuito. Una sorta di azione di volontariato civile che merita ben altri riflettori.
Una storia bellissima.
Sono sicuro che i soliti benpensanti arricceranno il naso di fronte al fatto che due giovani napoletani in età post scolastica (che di mestiere coltivano la nobile arte dello spaccio di sostanze stupefacenti) non conoscano l’italiano.
Al contrario invece non vedo la notizia in questo caso. Anzi preferisco pensare che si tratti di un eroico gesto di non sottomissione ad uno stato tiranno. Non dimentichiamoci che un Cronista del Corriere del mezzogiorno e’ riuscito a giustificare la situazione argomentando nel seguente modo: “La lingua italiana è stata imposta alle popolazioni del Sud più di 150 anni fa dalla famiglia dei Savoia. Ma, in realtà, il napoletano più che un dialetto è una lingua ufficiale a tutti gli effetti.”
Quindi sono giunto alla conclusione che non si tratta di una vicenda legata a forme di degrado educativo e linguistico, bensì di un gesto estremo. Un gesto in realtà compiuto in passato da altri soggetti che consciamente nelle Aule di un tribunale o di un ufficio pubblico hanno scelto l’idioma proprio e rifiutato la lingua degli invasori. Penso al patriota sardo Doddore Meloni e alla sua ostinata volontà di parlare solo sardo, o ad alcuni dei cosiddetti serenissimi che ostinatamente hanno continuato a parlare in lingua veneta rifiutando la lingua imposta dagli invasori romani.
Tutti soggetti finiti male in realtà. Tutti soggetti coi quali non si è usata la stessa indulgenza con la quale si trattano due buontemponi napoletani che di mestiere fanno gli spacciatori. In quel caso pare valgano comunque i principi di tutela di una lingua (quella napoletana appunto) e ci si affretta a specificare che non si tratta di un dialetto. Un atto di plateale discriminazione che non modifica il mio giudizio complessivamente positivo della questione.
Ognuno deve aver diritto di parlare la propria lingua. Solo laddove questo diritto è stato garantito l’evoluzione del quadro politico ha dato vita a forme di autodeterminazione.
Pensiamo al caso Catalunya. L’idea indipendentista è cresciuta di pari passo con l’affermazione della lingua catalana sullo spagnolo.
La lingua unisce i popoli e divide gli stati nazionali di vecchio stampo. Quindi lunga vita al diritto dei napoletani di parlare la propria lingua e perché no di agevolare col tempo un processo latente, che al momento viene narcotizzato da una politica debole, e che porta dritto al dissolvimento degli stati nazionali dentro l’Europa dei popoli (e delle loro lingue).