Oggi non è solo ferragosto ma è anche la Festa Nazionale del Liechtenstein, occasione in cui il Principe accoglie i propri cittadini, si beve una birra con loro e ascolta le problematiche della popolazione.
Giovanni Adamo II, di sicuro, non è il monarca medio che se ne sta nel suo palazzo circondato dall’oro, tutt’altro, ne abbiamo già parlato un po’ di tempo fa.
Ma cosa possiamo imparare, in concreto, dal Liechtenstein e dalle proposte del suo dinamico Principe?
Lo Stato come compagnia di servizi
Lo Stato cos’è? Qualcuno risponderà una cosa bellissima e che ce ne vorrebbe di più, qualcuno la rappresentazione terrena della nazione scelta da Dio, qualcun altro un male necessario e altri un male non necessario.
E se fosse una compagnia di servizi? La visione del Principe è proprio questa: il suo Liechtenstein è essenzialmente un’impresa che offre il servizio Stato ai cittadini e la cui unica giustificazione è la volontà dei cittadini.
Il Liechtenstein, e lo stato del Terzo Millennio in generale, non sono quindi legittimati da una sorta di diritto divino e quindi indivisibili ed eterni, anzi…
La concorrenza e lo Stato
Esattamente come potete cambiare supermercato o compagnia telefonica, potete cambiare Stato. Almeno in Liechtenstein, visto che c’è il diritto di secessione.
L’idea è molto semplice: se lo Stato sa che sarete con lui per sempre non avrà alcun incentivo a trattarvi bene se sa che trattandovi male potrà ottenere di più da altri.
Nella visione del Principe l’unità che deve secedere è la più piccola possibile e il referendum avviene in due fasi:
- La prima in cui si dichiara la volontà di iniziare un processo di secessione
- La seconda in cui si vota sul trattato effettivo di secessione
In tal modo non basta promettere “la secessione” ma bisogna trattare per ottenere la migliore secessione possibile, altrimenti il popolo può tranquillamente rifiutare il trattato e eleggere nuovi politici.
Il welfare e le tasse? Ai comuni!
Ma forse la cosa più importante è quella della gestione politica: il Principe sogna un futuro con migliaia di principati felici come il suo.
Come? Con il decentramento delle comunità locali, dove le autorità possano fare quello che fa lui: uscire in strada, sentire la gente, i loro problemi e indirizzare la classe politica.
Sappiamo bene da numerose esperienze come le spese e le gestioni locali siano genericamente migliori di quelle statali e che queste ultime tendano facilmente alle clientele e all’assistenzialismo.
Ma non c’è libertà senza responsabilità, quindi nelle comunità del futuro la parte principale della tassazione sarà sui comuni. Lo Stato si finanzia tramite imposte indirette, ha un surplus e lo dà alle comunità locali in quote pro capite.
Esse, poi, costituiscono il proprio bilancio partendo dal trasferimento statale, da eventuali propri guadagni e dalle tasse dirette che possono imporre ai cittadini, per creare servizi adatti a loro.
Credi sia impossibile? Ho fatto qui tutti i conti, ti invito a leggerli.
I comuni potranno gestire enti o associarsi per gestirne, trarre profitto da scuole e ospedali, in concorrenza leale col settore privato, in modo da finanziare i propri programmi di assistenza sociale, orientandoli alle necessità dei propri cittadini.
Una comunità potrà decidere di dare, ad esempio, servizi specifici della terza età con una tassazione progressiva in base all’età, un’altra potrà decidere di essere un paradiso scolastico finanziando un sistema scolastico di qualità sperando che diventi profittevole, un’altra potrebbe divenire un porto sicuro del dialetto nella speranza di attrarre utenza che parla la lingua locale nei propri servizi e così via.
La concorrenza tra Stati ha portato a cose magnifiche e portarla a un livello più piccolo libererebbe un enorme capitale umano. E darebbe a tutti i territori la propria via per trovarsi un futuro coerente con le proprie necessità.
Facciamo gli auguri, quindi, a un piccolo paese libero e felice. Nella speranza, un giorno, di averne uno anche noi.