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Conoscere la tecnologia per non cascare nei complotti: il caso del microchip Bluetooth nel vaccino

Non so se avete sentito l’ultimo allarme: se andate nella sezione Bluetooth del vostro smartphone vedrete dei numeri e sono quelli del microchip dei vaccinati!

No, non è Lercio, ma è una tesi di complotto che si sta diffondendo e che, purtroppo, i debunker non debunkano granché: per esempio Bufale.net si limita a mostrare che al loro autore, vaccinato, non appare uno specifico dispositivo, il cui BT address è “64:3C:2E:5F:CB:08”.

Tuttavia la tesi non dice che vedrete quello specifico indirizzo, cosa anche abbastanza improbabile dato che i BT address sono generalmente (notare il generalmente) univoci, ma dei vari indirizzi sconosciuti, che sarebbero quelli del microchip. È un po’ come se per sbufalare le scie chimiche si dicesse che non sono vere perché i Cessna non hanno lo spazio per i serbatoi… Alla fine l’autore dell’articolo non ha una formazione tecnico-informatica, quindi non me ne sento di fargniene una colpa…

Tra l’altro, è curioso notare che “64:3C:2E” non sia un prefisso (OUI) noto per Bluetooth. Gombloddoh?!

Beh, no. E basta conoscere un po’ di tecnologia per saperlo. Ma prima voglio raccontarvi una storiella…

Come ti trovo il cane?

Qualche anno fa, in TV, venne pubblicizzata un’app che avrebbe facilitato il ritrovo dei cani smarriti e la pubblicità mi venne fatta notare da una persona che parlava di “tracciamento del microchip”.

Al ché, francamente, mi è partita una risatina: il microchip dei cani, un RFID, è un dispositivo passivo, non è capace di trasmettere nulla da solo dato che nemmeno ha una batteria e riceve una breve carica dal lettore per rispondere con un numero, ho fatto notare. Ma era convinta: traccia il microchip.

Alla fine una breve ricerca mi ha mostrato che avevo ragione io: l’app si basava sulle segnalazioni degli iscritti. Dubito che abbia avuto molto successo dato che, solitamente, se qualcuno vede un cane smarrito lo notifica alla vigilanza urbana invece di avere un’app per la specifica evenienza, ma non ho particolari certezze…

Nonostante ciò mi capita spesso di sentire gente che crede che tali microchip abbiano chissà quali poteri, che possano essere usati per tracciare a comando: ecco, non è così, è come dire che si possa fare un tracciamento di chi porta la tessera dell’autobus: dev’essere un’azione cosciente di chi la porta, quella di passarla su un lettore che dà energia alla tessera per leggere il suo numero, non è che ATM sa quando vado al bagno se ho in tasca l’abbonamento…

Ma Bluetooth è differente…

A maggior ragione l’accusa di iniezione di chip Bluetooth è stupida se si considera… che Bluetooth non è RFID e ha bisogno di essere costantemente alimentato per funzionare e inviare il proprio “beacon” per essere notato.

Proprio in questo periodo è uscito un prodotto della Apple, denominato AirTag, che ha come scopo il tracciamento di prodotti che possono essere smarriti tramite un’intelligente modello proprietario e decentrato sviluppato dall’azienda di Cupertino.

File:Airtag - 3.jpg

Come vedete… AirTag è grosso! Questo perché sì, esistono chip Bluetooth molto piccoli, ma un chip da solo non fa niente, ha bisogno di un qualcosa a cui essere attaccato che lo gestisca e gli dica cosa comunicare, quando e come e, soprattutto, un qualcosa che lo alimenti.

Nel caso di AirTag è una batteria a bottone, che dura un annetto. Se anche fosse possibile iniettare un microchip (e con una siringa da vaccino, di quelle che nemmeno senti nel braccio, non lo è) e tale microchip fosse autonomo nel gestirsi, per quanto durerebbe la sua batteria interna?

Sicuramente non a sufficienza per arrivare a casa ed essere rilevati dalla vicina paranoica che ora, prima di fare entrare qualcuno nel condominio, lo scannerizza col cellulare per controllare che non porti il tracciamento delle case farmaceutiche…

Esistono dispositivi medicali caricabili a distanza, ad esempio dei pancreas artificiali per diabetici o pacemaker, ma sono sperimentali e, soprattutto, bisogna fare un’azione cosciente per caricarli, dato che l’induzione energetica funziona bene solo a distanze basse. Non basta sparare a caso delle frequenze nell’etere per caricare tutto a distanza.

Ma cosa ne sappiamo noi della tecnologia?

Basterebbe ciò a smontare teorie come queste e, in verità, quasi tutte le teorie sul microchip che girano oggi, almeno da un punto di vista tecnico, nel senso che se lo Stato decide che per uscire dalla propria città serve passare per un valico e identificarsi tramite microchip il problema non è il chip che contiene un numero casuale ma lo Stato, che potrebbe implementare il medesimo sistema in decine di modi, dai più analogici (carta d’identità) ai più digitali (biometria).

Eppure tanta gente ci casca. Perché? Semplicemente perché non ha idea di ciò che ho spiegato sopra, cosa che non mi sembra troppo lunga o impossibile da capire!

Passi per qualche anziano che alla parola computer pensa ancora a quelli grandi come un campo da tennis a cui mandavano ogni mese qualcosa per ottenere dei risultati, spesso sbagliati, ma è possibile che ci siano ancora persone con meno di 30 anni che non sanno queste cose?

Forse, a scuola, potremmo ripetere una volta di meno i babilonesi e insegnare le basi della tecnologia che ci sta intorno così da evitare di cadere in queste banalità e, soprattutto, di far cadere le gonadi a chi ne capisce?

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Informatico di giorno, spietato liberista che brama la secessione del Nord di notte. Con la libera circolazione, dato che amo la pizza.

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