FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

In ricordo di Gianfranco Miglio, nel ventennale della scomparsa

Esattamente 20 anni fa, il 10 agosto del 2001, se ne andava per sempre Gianfranco Miglio. Dopo due decenni l’eco delle sue intuizioni e delle sue analisi, rigorose ed affilate, riguardanti la politica e le sue “regolarità”, riaffiora come un necessario ancoraggio e bagaglio di pensiero a cui attingere. Quella politica da lui studiata ed approfondita lungo tutto l’arco della sua esistenza umana. La politica che, secondo le sue analisi, doveva alla fine decidere, guidare, come scrisse: “la politica, cioè la lotta per il controllo dell’uomo da parte dell’uomo, è alle origini di tutte le cose umane”.

Gianfranco Miglio, il Profesùr, come veniva affettuosamente chiamato dai militanti e simpatizzanti della Lega Nord, la prima Lega, quella nata per scompaginare e scardinare i gangli del potere statale e l’asfissiante burocrazia partitocratica, fu – senza usare mezzi termini – un personaggio scomodo. Lo fu, molto semplicemente, perché non ebbe il timore di affrontare, scientificamente e sistematicamente (fu un grandissimo scienziato della politica) i temi del potere, del conflitto, delle guerre, dell’organizzazione amministrativa dello Stato (la pubblica amministrazione). Temi, ovviamente, che avrebbero potuto creare dei mal di pancia alle classi dirigenti di allora ma anche al mondo accademico, come infatti avvenne e da cui venne – nella sostanza – ostracizzato.

La cosa incredibile, su cui ancora costantemente rifletto e che ancora oggi mi rammarica, è che anche a distanza di vent’anni dalla sua morte, la sua figura sia ancora ritenuta scomoda. Post mortem, infatti, anche i più feroci despoti della storia vengono, in un certo senso, ripresi, studiati, compresi, riletti con un più ampio respiro intellettuale. Con il Prof. Miglio, invece, questo non è accaduto e non accade. Non è accaduto nel decennale della scomparsa (agosto 2011), quando pochi mezzi di informazione ne ricordarono la figura, non è accaduto nel 2018 (l’11 gennaio di quell’anno si celebrò il centenario della sua nascita), non accade e non accadrà nemmeno oggi. Il perché, credo, è chiaro. Parlare di rendite politiche, di parassiti, di diversità socio-economica tra il Nord ed il Sud del Paese, della necessità di riformare alla radice l’organizzazione statuale italiana per arrivare – definitivamente – ad una Unione Italiana (come lui la indicava) nel nome del federalismo, è qualcosa di destabilizzante.

Così come è destabilizzante pensare, come egli fece in moltissimi sue analisi e studi, concentrarsi sul concetto di patto, foedus, dello stare insieme. Il contratto-scambio, più volte da lui sottolineato e richiamato, non è nient’altro che il razionale comportamento umano alla ricerca del proprio benessere, all’interno della propria comunità e, soprattutto, insieme a chi condivide i tuoi stessi valori, lo stesso concetto di vita. Da qui, appunto, la sua idea, rivoluzionaria sotto certi aspetti, del diritto – naturale – per ogni comunità territoriale di stare “con chi si vuole e con chi ci vuole”: il diritto di secessione. Che nella definizione di Miglio “è un diritto prepolitico, che esiste, al pari del diritto di resistenza, come un prius rispetto ad ogni comunità politica organizzata”. Un concetto, per Miglio, che dovrebbe essere presente in un qualsiasi ordinamento che si configuri come federale.

Fu scomodo perché, senza usare giri di parole, ipotizzò la trasformazione dell’Italia in un moderno Stato federale, costruito su tre Macroregioni (Repubblica del Nord, Repubblica dell’Etruria e Repubblica del Sud – vedi Decalogo di Assago) più le Regioni a Statuto speciale. Un federalismo, il suo, molto diverso da quello “classico”. Lui, sostanzialmente, considerava il federalismo non più come uno strumento atto ad unire, ma quale strategia per “tutelare e gestire le diversità” (ex uno plures, dallo Stato unitario centralizzato, cioè da un’unica entità sovrana, lo Stato nazionale, si giunge – dopo un processo di federalizzazione – ad un sistema costituito da più sovranità distinte tra loro ed unite da un patto federativo, il principio del federalismo). Proprio ciò di cui avrebbe bisogno l’Italia, Paese ultracentralizzato, altamente burocratizzato, completamente incentrato sull’idea che ogni bisogno che scaturisce dalla società debba essere – automaticamente – risolto e preso in carico dallo Stato. Idea divenuta ancora più forte dopo la pandemia di COVID-19.

Proprio in questi giorni leggevo un articolo di ricordo del Prof. Miglio scritto da Marcello Veneziani, giornalista, scrittore e grande intellettuale di destra con cui Miglio intrattenne un’amicizia sincera e un proficuo scambio di idee, proprio sui temi del federalismo, della secessione, del nazionalismo (vedi il volume “Padania, Italia. Lo Stato nazionale è soltanto in crisi o non è mai esistito?” a cura di M. Ferrazzoli, pubblicato nel 1997). Ebbene, in questo articolo, Miglio viene definito come un sovranista ante litteram, il precursore dei Salvini e Orban contemporanei. Ovviamente non condivido questo accostamento, in quanto quello che fu l’ideologo del Carroccio non avrebbe mai accettato la trasformazione della Lega in una forza politica nazionalista (quindi statalista) e – ahimè – votata all’omologazione culturale delle diversità regionali e, pertanto, antifederalista. Così come credo sia inconciliabile accostare a Miglio il concetto di sovranismo, ovvero all’idea di rafforzare sempre di più le prerogative dello Stato (dal termine sovranità), mentre il Professore lariano fu – sempre e comunque – visceralmente federalista, fino ad avvicinarsi, negli ultimi anni della sua vita, a posizioni simil-libertarie. Inoltre, mai avrebbe potuto dare appoggio ad un “progetto”, come quello salviniano, esclusivamente incentrato e fondato sul suo potere personalistico.
Purtroppo il cammino da compiere, meglio, da riprendere completamente, è lungo. Lunga la strada verso quella costruzione federale che il Professore ci aveva indicato.

Ciao Profesùr. Come faccio ogni anno il 10 di agosto la ricordo e mi auguro che, da lassù, possa vegliare su noi federalisti.

Roberto Marraccini
Roberto Marraccini, classe 1974, ha lavorato per 13 anni (dal 2002 al 2015), come funzionario di partito nella Segretaria Politica Federale della Lega Nord, occupandosi sempre di temi legati al federalismo, alle autonomie locali e all’Unione Europea. Oggi è un funzionario pubblico in un ente locale. Continua a sognare un’Italia Federale ed ha come modello di riferimento la Svizzera.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi