FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

Matteo nel vaso di vetro

Matteo Salvini ha avuto un’intuizione brillante. Diviene segretario della Lega (al tempo ancora “Nord”) nel 2013, dopo il terremoto della “Notte delle scope” che chiuse la stagione bossiana, affondata sotto il peso degli scandali, di una gestione nepotistica del movimento e, cosa magari poco piacevole da ricordare ai nostalgici della “Lega di Lotta” del senatur, per non aver ottenuto assolutamente nessun risultato in termini di federalismo dopo essere stata per 15 anni al centro del sistema politico Italiano (e in questa frase c’è scritto il motivo del fallimento).

Una volta sul ponte di comando del movimento che fu lo stakeholder delle istanze del Nord, Salvini comprese che esso si trovava in un vicolo cieco, ridotto com’era a percentuali di consenso da prefisso telefonico. Per uscirne intuì che esisteva una sola possibilità: occupare i territori che il frazionamento della destra post missina aveva lasciato liberi e trasformare la Lega da un movimento federalista su base locale in un movimento nazionalista su base nazionale. Il gioco inizialmente funzionò benissimo, grazie al talento da animale da campagna elettorale permanente del quale Salvini indiscutibilmente è dotato e al fatto che FdI (fondata nel 2012) all’epoca stava muovendo i primi passi nel palcoscenico della politica italiana.

Alle elezioni politiche del 2018 la Lega superò il 17% dei consensi e andò al governo con M5S. Arrivò la stagione della campagna elettorale permanente di governo, nella quale Salvini ministro dell’interno passava più tempo a fare dichiarazioni sui media che nel suo ufficio al Viminale e la Lega nelle rilevazioni demoscopiche superò il 30% dei consensi. Il resto lo conosciamo benissimo: il Papeete, la crisi del governo populista e la progressiva e apparentemente inarrestabile erosione del patrimonio “virtuale” di consensi che era stato raccolto. A suggello di uno slittamento continuo, in questi giorni abbiamo assistito a una gestione farsesca e dilettantesca della partita del Quirinale, da parte di Salvini, il quale autoproclamatosi “kingmaker” ha rimediato la peggiore sconfitta politica della sua carriera. Che è successo? È successo che “il capitano” ha provato su di sé gli effetti della volatilità del consenso, peculiarità della politica moderna.

Terminata l’era delle ideologie e dei raggruppamenti basati su sistemi valoriali forti, il consenso è diventato estemporaneo, volatile come un gas. È una bolla, che viene gonfiata dalla speculazione sul tema del momento salvo poi esplodere, come tutte le bolle. Il consenso è un trend social: tanto rapidamente monta sull’onda dell’hashtag del momento e altrettanto repentinamente si sgonfia all’apparire di una nuova parola d’ordine, più “cool” e accattivante. Se ne è accorto il capitano, passato nelle rilevazioni demoscopiche dal quasi al 40% dei consensi ai tempi del Papeete alle percentuali simili a quelle delle elezioni 2018 che sono rilevate nelle indagini più recenti. Metà dei consensi più o meno virtuali che sono stati acquisiti dalla lega dopo il 2018 sono stati consumati.

Inoltre, il progetto di occupare gli spazi della destra “radicale” poteva funzionare finché l’offerta politica di ascendenza ex missina non si fosse riorganizzata, ma non appena FdI ha iniziato a radicarsi, ha anche iniziato a dragare voti “sovranisti” che avevano trovato un, a quanto pare momentaneo, approdo nella Lega. Salvini, nel far virare a destra il movimento, non si è posto il problema della quantità di spazio politico da occupare. Era ragionevole pensare che un 40% dell’elettorato si riconoscesse in una offerta politica di destra radicale e sovranista – patriottarda? Probabilmente no, e infatti quando un movimento più attrezzato dal punto di vista del retroterra culturale lo ha sfidato, i consensi hanno iniziato a calare. Salvini in qualche modo si è reso conto che non può esserci “una poltrone per due” nello spazio politico della destra radicale e sovranista italica e in qualche modo la sua surreale idea di fondare un GOP all’italiana ne è indizio. Idea, ci sentiamo di dire, assai poco rispettosa di un partito che ha una storia come quella del Partito Repubblicano USA.

Il problema di Salvini è prettamente politico. Liquidato il tema del federalismo, nel momento in cui viene incalzato da destra dalla Meloni, la quale stando fuori da governo Draghi ha spazi di movimento che la Lega di governo non ha, e una volta sgonfiatasi l’onda populisita che aveva cavalcato nel 2018, si trova nella situazione della mosca intrappolata in un barattolo che sbatte in continuazione contro il vetro senza poter uscire. La tragicommedia delle candidature al Quirinale gestite da Salvini come fosse un reality show ne è la summa.

L’impressione è che Il Capitano, non da oggi, sia intrappolato in un loop che lo costringe a cercare continuamente la prova di forza che invariabilmente fallisce e lo lascia ogni volta più debole. Capitò con la sfiducia del Papeete, con le fallite prove di forza alle amministrative del 2020 e del 2021 ed è capitato con l’ingenuo tentativo di proporsi “kingmaker” dell’elezione presidenziale. Il prossimo turno sono le elezioni amministrative del 2022. Può rischiare di trovarsi ancora con un pugno di mosche in mano? La verità forse è più banale di quanto non si possa immaginare; ovverosia che essere un animale da campagna elettorale non fa di te un buon politico. E Salvini, nonostante fino oggi abbia vissuto di politica e nella politica, pare non aver appreso i rudimenti basilare del mestiere del politico. Non è cosa sua, probabilmente. E quindi ora si trova in mezzo a un guado, incerto su cosa fare da grande. E, magari, con un po’ di rimorso per esser stato il boia del movimento che era stato stakeholder delle istanze del Nord, del quale ora come ora ci sarebbe un gran bisogno. L’eclisse ormai in corso del salvinismo aprirà la strada a un ritorno dei temi che furono la linfa ditale della Lega orgogliosamente Nord?

Luca Comper
Architetto, appassionato di troppe cose da poterle riassumere nello spazio di una schermata del PC, ma in particolare di arte, politica e storia. Ha lo stesso rapporto con il giornalismo di quello che ha uno scafista con la marineria. Indipendentista to the core, il suo motto è "Ho costruito la mia causa in abuso edilizio"

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