FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

Il nodo emiliano

Nella mia “carriera” nel mondo delle identità locali ho conosciuto vari identitaristi: di dimensione macroregionale, regionale, provinciale, locale o addirittura sublocale, ma tra identitaristi piemontesi, lombardi, romagnoli, veneti e friulani non ho mai conosciuto identitaristi emiliani.

Ho conosciuto regionalisti emiliani, più o meno a favore dell’esistenza dell’Emilia-Romagna, addirittura indipendentisti che pensano che l’Emilia possa costituire uno Stato, ma non ho mai conosciuto una persona che dicesse “sono fiero di essere emiliano”: in quella zona l’identità è principalmente locale, più una “piccola identità a sorpresa che ci aiuterà dopo”.

Se leggiamo su Wikipedia in emiliano-romagnolo stessa la voce sull’Emilia, leggiamo che:

Fén dal 568 d.C. (quand i arrivénn i Lungubèrd int la Bâsa padèna) al 1859, l’Emégglia l’êra pèrt dla Lunbardî

Penso sia abbastanza comprensibile, ma in ogni caso dice che dall’arrivo dei longobardi nella bassa padana al 1859 i territori che oggi compongono l’Emilia erano parte della Lombardia.

E cos’è successo nel 1859? Quella che oggi chiamiamo Emilia-Romagna venne rinominata (integralmente, Romagna compresa) Emilia da Luigi Carlo Farini, autoproclamato “Dittatore dell’Emilia”, e unita all’Italia.

Il termine non era esattamente nuovo, ad esempio il Biondelli, nel 1853, denominò un gruppo di dialetti gallo-italici “emiliano” ma lo fece nello stesso spirito in cui noi denominiamo lombardo occidentale e orientale “insubre” e “orobico”: per dare un nome semplice basandosi su un qualcosa di antico: nel caso, “l’antica Emilia”, ma fu il Farini a rendere tale denominazione quella di un territorio e non di una lingua.

Ovviamente ai romagnoli, notoriamente un popolo dalla grande identità, non andava molto bene essere considerati parte di questa novella entità, e quindi tornarono a chiamarsi romagnoli, e questa nuova regione statistica venne denominata “Emilia-Romagna”, la famosa “regione col trattino”.

Così, quell’insieme di Ducati, indubbiamente lombardi sino al Panaro, e quei territori dello Stato Pontificio identitariamente intermedi, hanno iniziato a chiamarsi con l’altra metà del trattino: Emilia.

Poi, con la caduta del fascismo e del Regno d’Italia, si decise di istituire uno stato regionale, e quindi questa regione statistica diventa un qualcosa di importante, attivato poi nel 1970, e che ha sviluppato propri modelli funzionanti e accettati dalla Trebbia al Mar Adriatico, pensate solo alla sanità: il modello dell’Emilia-Romagna, in Emilia-Romagna, funziona e piace agli elettori.

Ma nonostante ciò, un’identità regionale unita non si è mai sviluppata, se non nell’orgoglio per il funzionamento della Regione, né si è sviluppata un’identità emiliana davvero sentita tra la popolazione, se non in termini culinari, che comunque non son dissimili da quelli della bassa Lombardia, con la quale condivide vari prodotti, soprattutto nell’Emilia pre-Panaro.

D’altronde, se si tiene alle identità locali, è difficile identificarsi in una cosa creata a tavolino in epoca postunitaria dal governo italiano, letteralmente dividendo in due una nazione (ovviamente intesa in senso pre-napoleonico) perché una parte si è unita al Regno Sardo in un modo e l’altra in un altro.

Ma, sicuramente, non si può pensare che quella che oggi chiamiamo Emilia, mai unita alla Lombardia austriaca, sia una semplice appendice della Lombardia (intesa come nazione e non come regione): è una comunità parte di essa con una dignità autonoma, una lingua diversa – seppur sorella – della lingua parlata della maggior parte della Lombardia.

Provare a imporre la visione che oggi abbiamo in Lombardia della Lombardia agli emiliani è una ricetta per il disastro: d’altronde, sono sempre stati autogovernati, sviluppando una cultura politica diversa, e un’eventuale integrazione dell’Emilia nella Lombardia amministrativa richiederebbe uno sforzo enorme, che è meglio riservare per una riscoperta culturale.

Riscoprire il nostro rapporto a dispetto di Roma che disegna confini a caso dovrebbe, infatti, essere la priorità: un’azione culturale che metta in evidenza ciò che unisce la Lombardia cispadana e quella transpadana in termini di cultura, di storia, di tradizioni, di cucina, di architettura e di reciproci rapporti, ma che ricordi anche le differenze, evitando che si trasformi in imperialismo proveniente da questo lato del Po: la lingua, ad esempio: l’emiliano e il lombardo son lingue sorelle, ma diverse, da tutelare nelle proprie specialità senza imporre un dialetto unico su tutte, così come la storia politica è, come già citato, diversa.

Ma solo tramite la Lombardia, da intendersi come nazione e non come regione amministrativa, si può avere una vera rinascita e riscoperta delle identità delle zone che costituiscono l’odierna Emilia.

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Informatico di giorno, spietato liberista che brama la secessione del Nord di notte. Con la libera circolazione, dato che amo la pizza.

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