E’ fatta. Il voto dei cittadini lombardi ha finalmente sancito, con una maggioranza schiacciante del 94,7 per cento, la conclusione del travagliato iter parlamentare che ha modificato l’articolo 116 del Titolo V della Costituzione,aggiungendo, dopo il Veneto, e prima di Piemonte ed Emilia Romagna anche la Lombardia all’elenco delle Regioni a statuto speciale. Un percorso iniziato nel lontano 2017 con la prima delle tre consultazioni popolari che si sono susseguite per dar voce alla volontà di autodeterminazione che è andata via via crescendo negli anni.
Ma facciamo un passo indietro per ricordare come si è giunti a questo storico risultato, l’ultimo in ordine di tempo, dopo l’indipendenza della Catalunya dalla Spagna, della Scozia dal Regno Unito e della Corsica dalla Francia nonché l’imminente referendum in Germania per l’indipendenza della Baviera. Un’ondata autonomista favorita, ricordiamo, dalla crisi degli Stati nazionali in Europa a seguito della tempesta monetaria provocata dalla crisi dell’Euro. Il pesante indebolimento di alcune tra le più importanti banche europee eccessivamente esposte in titoli di Stati sovrani ed il fallimento di altri istituti minori con conseguente ricorso al bail in, nonché il conseguente aumento incontrollato dei tassi di interesse, ha messo in ginocchio l’economia reale soprattutto quella delle piccole e medie imprese provocando un pesante aumento della disoccupazione, in tutta Europa ma soprattutto in Italia.
Sul piano politico, gli scontri, durati anni, all’interno dell’Europa sia sui temi economici, sia su quelli sociali come l’immigrazione di massa, hanno impedito che potesse partire un processo di rafforzamento delle istituzioni europee attraverso una rivisitazione dei trattati ormai resi obsoleti dall’attacco portato dalla economia globale e dagli egoismi nazionali.
Un quadro politico-economico così deteriorato, nel quale sia la politica europea come quella in Italia, non sono state in grado di limitare la forte ascesa del dollaro e dello yuan cinese, da creare le condizioni per ridare forza ai temi localistici, soprattutto nelle aree più ricche del vecchio continente. Per arginare anche in Italia il rischio di ulteriori disgregazioni e per salvaguardare per quanto possibile l’unità del paese, si è deciso di intraprendere la strada di una fortissima delocalizzazione dei poteri e della gestione delle risorse per le regioni più virtuose e più attrezzate sul piano dell’economia reale, instaurando però un regime di compensazione solidale e controllata verso le regioni economicamente depresse. Lo Stato ha di fatto abdicato alla sua sovranità, demandando le politiche di crescita alle regioni più solide, arrogando a se soltanto poche competenze di interesse nazionale, come la difesa, il sistema valutario, la politica estera, lasciando però alle regioni una ampia flessibilità di manovra nell’ambito della economia estera.
Vanno visti in quest’ottica anche le modifiche costituzionali che hanno abolito in toto il Senato della Repubblica, riducendo da seicento a trecento i parlamentari dell’unica Camera delle Regioni. Tutte le materie concorrenti e gran parte di quelle finora di esclusiva competenza dello Stato, previste dall’articolo 117 della Costituzione passano alle regioni a statuto speciale mentre restano in capo alla Camera delle Regioni le competenze relative alle regioni a statuto ordinario e le rimanenti competenze di interesse nazionale.
Lombardia e Veneto sono dunque le prime due regioni che in tempi recenti passano da statuto ordinario a statuto speciale. Avranno la totale responsabilità in ambito fiscale, tutte le imposte quindi, sia dirette che indirette, generate sul territorio lombardo, finiranno in capo a Palazzo Lombardia. Ma non tutte le tasse dei lombardi resteranno ovviamente in regione. Ragionando sul residuo fiscale (ovvero la differenza tra quanto i lombardi pagano in tasse allo Stato e quanto ritorna in termini di servizi) attualmente di circa 70 miliardi all’anno, circa il 50 per cento resterà in regione, più che raddoppiando il bilancio regionale e permettendo quindi politiche a favore delle imprese, della sanità, dei trasporti, del welfare regionale eccetera ed aumentando pesantemente la competitività delle imprese sul mercato, il 25 per cento circa andrà allo Stato per la copertura delle spese di interesse nazionale ed il restante 25 per cento verrà utilizzato da Regione Lombardia come compensazione solidale verso le regioni a statuto ordinario in difficoltà. Ciò implica che gli investimenti in tali regioni verranno finanziati e gestiti dalla Lombardia saltando il passaggio statale e, ci si augura, ottimizzando e razionalizzando i costi, introducendo ovunque vengano disposti investimenti pubblici, i costi standard, ovvero allineando i costi a pari prestazione delle regioni riceventi a quelli delle regioni che stanziano gli investimenti.
Questo è definito “federalismo progressivo”, ovvero aumentando il numero delle regioni a statuto speciale gradualmente, man mano che le regioni ordinarie passano da un residuo fiscale attivo, ovvero ricevono finanziamenti dall’esterno, a passivo, ovvero possono cedere residuo fiscale, con l’obiettivo di arrivare ad un paese totalmente federale nel giro di pochi decenni……..
…………….bello vero ? Per ora questo scenario rimane nel libro dei sogni ma i sogni, come è noto, presto o tardi si avverano…