La manifestazione di Torino – con quel suo trasformarsi da un semplice Sì Tav a un fantastico, generico e incondizionato Sì – ha scaldato il cuore. Confesso però che a me ha lasciato anche un pizzico di angoscia. Di quello che i latini chiamavano horror vacui: paura del vuoto.
Del senso di quell’attimo di smarrimento che questi cittadini troveranno quando, tra sei mesi, andranno alle urne e punteranno gli occhi sulla scheda elettorale. È la prima cosa che ho pensato leggendo Gianni Fava che, su questo sito, parlava di “civismo militante”, rifiuto di “assistenzialismo, decrescita programmata”. E chiudeva con “la gente spesso è più avanti dei propri rappresentanti politici. Quella gente ha tracciato un solco”.
Il ragionamento a mio avviso merita di essere sviluppato muovendo da una domanda: ora chi e come potrà valorizzare quel capitale politico? Sia in termini progettuali (chi condivide le istanze del Popolo del Sì?) che di senso pratico (a chi finiranno i loro voti?). Perché quella piazza un limite lo ha già mostrato ed è l’approssimazione politica: l’unica mossa delle sette donne promotrici è stata impuntarsi su un incontro con Mattarella che, va da sé, conterà il giusto.
Se un sentimento comune c’è, non altrettanto si può dire di una guida. Manca un leader. E non fatevi fregare da genialate del tipo “uno vale uno”: una classe dirigente serve eccome, come dimostrano gli imbarazzi quotidiani che ci regala la pletora di quelli finiti per caso nelle stanze dei bottoni.
A chi guarderanno allora quelli del Sì (a proposito: che bella parola in tempi di odio)? Un interlocutore non c’è, ma nel breve periodo a trarne beneficio sarà la Lega. È un paradosso, nel momento in cui la Lega non solo ha smesso di essere nordista, ma si è anche alleata con un M5S alfiere del Sud. Ne trarrà beneficio per esclusione: in una dinamica politica ormai polarizzata tra le due forze al governo, di certo non è ai grillini che guarderà chi vuole un’infrastruttura, un vaccino, una considerazione vagamente consapevole di cosa siano il lavoro e un’impresa.
Se su quell’elettorato la partita è a due tra Lega e 5 Stelle, l’esito è scontato. Del resto se non esiste più Forza Italia e il Pd è un ricordo, il paradosso del Salvini che chiede scusa a Napoli ma fa il pieno al Nord si spiega anche con la banale considerazione che in politica il vuoto non esiste.
Attenzione, però. Anche se questa fase potrebbe far pensare il contrario, è difficile immaginare che il consenso possa prescindere in eterno dal merito. In altre parole: oggi si pigliano voti anche solo con gli annunci o schierandosi su questo o quel tema, ma lo schema non è destinato a durare in eterno.
“It’s the economy, stupid”, recitava un felice slogan elettorale di Bill Clinton. Alla fine, conta il portafogli. Quindi nel breve periodo vale tutto, ma nel lungo le cose cambiano: se il reddito di cittadinanza significherà spedire 10 miliardi al Sud, se la Tav non potrà partire o scatterà il ricatto sulla Pedemontana, se si proseguirà con norme come il decreto dignità che inguaiano chi vuole assumere, se la manovra costerà 60 miliardi all’anno per 5 anni per via delle sanzioni Ue…beh, l’esito non potrà piacere al Popolo del Sì. Che oggi, più che mai, avrebbe bisogno di un’epifania: un leader, un riferimento. Ma qui al nord, alle porte dell’inverno, al momento sembra materializzarsi solo la nebbia. Fitta.