C’è uno spettro che si aggira per l’Europa agricola. Non si tratta dei famigerati tagli ai fondi comunitari destinati all’agricoltura, per i quali la partita allo stato dell’arte è ancora aperta e lo scenario potrebbe essere congelato fino al 2023, complici le elezioni del Parlamento europeo la prossima primavera e la formazione di una nuova Commissione europea.
Il rischio, in verità, si chiama nazionalizzazione, meccanismo assai gradito a quei paesi che hanno le idee chiare e un’agricoltura omogenea, ma che per paesi governati da “Sor Tentenna” o animati da una pluralità di soggetti spesso in conflitto fra loro per pura ideologia, si rivelerebbe un vero e proprio boomerang. Chi conosce la geografia europea e ha avuto a che fare con i bizantinismi italici, è ben consapevole dei rischi che gli agricoltori di casa nostra possono correre.
Preoccupa ancora di più il fatto che la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul finanziamento, la gestione e il monitoraggio della politica agricola comune comporterebbe una riduzione del numero di organismi pagatori (uno per paese o regione per la gestione delle spese), rafforzando il ruolo dell’organismo di coordinamento e dell’organismo di certificazione.
I pericoli che possono occorrere gli imprenditori agricoli del Nord e, per estensione, la Macroregione agricola del Nord, vero motore dell’agroalimentare Made in, sono evidenti. Basta leggere, infatti, le recenti esternazioni del presidente della commissione Agricoltura della Camera, Filippo Gallinella, pentastellato della prima ora. Proprio lui, pochi giorni fa, ha affermato che “avere un sistema di pagamento efficiente è fondamentale per la vita delle azienda agricole”. E fin qui, tutto bene.
L’alert scatta quando l’on. Gallinella dice convintamente: “A chi mi chiede se si può essere più efficienti avendo un agenzia regionale, rispondo di no”.
Affidarsi all’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) sarebbe un suicidio. Sarebbe come affidare la guida di un’autobus a Mister Magoo, il simpatico vecchietto ipovedente dei cartoni animati, che faceva passare momenti di brivido e di ilarità ai più piccoli.
Dando fiducia a un ministero che i cittadini 25 anni fa hanno abolito attraverso un referendum mette solo il brivido, togliendo il gusto delle risate. Perché mancherebbe un lieto fine.
Lo si è visto con i fondi destinati alla zootecnia, alla biodiversità, con l’Associazione italiana allevatori in gravissime difficoltà e chiamata a doversi riformare dalle fondamenta.
Lo si è visto con i fondi destinati alle assicurazioni per l’agricoltura, i cui emolumenti – ovviamente centralizzati – giacciono a Roma, inerti o dispersi, perché dopo un tot di anni non è peccato sospettare che nel frattempo non siano spariti per tappare qualche buco di bilancio.
Ancora: lo si è visto con i fondi per le bonifiche, sbloccati solamente in parte e dopo l’ennesima tragedia causata da una gestione delle reti idriche di bonifica da terzo mondo.
Sarebbe forse più indicato avviare un dialogo fra le regioni più evolute in campo agricolo e alimentare, guarda caso tutte collocate al Nord, per mettere a punto strategie di export, di sostenibilità delle produzioni, di tutela delle filiere e delle produzioni agroalimentari, di protezione dei lavoratori, di uniformità delle varie misure che possono coesistere su territori omogenei.
Quando si è deciso di muoversi insieme, i risultati non sono mancati. Basti pensare all’accreditamento della Macroregione agricola del Nord per l’esportazione in Cina dei derivati dalla suinicoltura. Un traguardo che sembrava impossibile da raggiungere. Invece… A guastare le ambizioni di trovare un canale commerciale promettente verso un paese che conta 1,3 miliardi di persone e che sta arricchendo i produttori di Spagna e Germania ci hanno pensato i ministeri della Salute e delle Politiche agricole, che si sono forse non tanto casualmente dimenticati di dare seguito ai decreti attuativi.
Sono forse le stesse dimenticanze che condannano all’inattuabilità il Testo unico del Vino, la legge istitutiva dell’enoturismo, la qualifica dell’imprenditore agromeccanico, per citarne solo alcune.
Quali speranze ci possono essere per gli imprenditori agricoli del Nord da una centralizzazione dell’agricoltura?
Intanto, secondo Eurostat, nel 2017 il valore della produzione agricola in Italia è stato di 55,1 miliardi di euro, il 2,2% in più rispetto al 2016.
In un’annata che mostra sviluppi positivi per tutti i paesi Ue (tranne Malta e Slovenia), caratterizzata da una lunga siccità nell’area del Mediterraneo, l’Italia fa peggio di tutte le grandi economie agricole del continente: il valore della produzione totale è aumentato del 6,2% in Ue, dell’8,6% in Germania, del 4,5% in Spagna, del 3,2% in Francia e del 2,2% in Italia.
A trainare l’incremento dei valori sono stati soprattutto i prezzi dei prodotti di origine animale, in particolare latte, uova e carni suine, nell’Ue (+10,3 per cento). Stesso schema in Italia, dove il valore della produzione da allevamento è sensibilmente aumentato (+7,2%) mentre quello da raccolti è lievemente diminuito (-0.7 per cento).
Ma la priorità, chiaramente, è affidare la gestione delle risorse ad Agea in maniera centralizzata. Adieu.