Le rilevazioni sugli esiti dell’esame di maturità, effettuate dal Ministero dell’Istruzione, evidenziano da sempre una spaccatura a metà dell’Italia. Anche all’esame 2018 il trend non cambia: al Sud i maturandi sono tutti promossi e con voti più alti di quelli del Nord. I dati parlano chiaro:
le Regioni con il più alto numero dei 100 e lode rispetto alla popolazione scolastica sono al Sud: in Puglia ha conseguito il voto massimo il 3% dei maturandi; in Umbria il 2,2%; nelle Marche il 2,1% e in Calabria il 2%, mentre la Lombardia finisce in fondo alla classifica con lo 0,6% seguita da Piemonte, Trentino Veneto, Friuli-Venezia Giulia, con lo 0,9%.
Quindi gli studenti del Sud sarebbero più bravi di quelli del Nord.
Il quadro che ne esce è ben diverso, tuttavia, da quello che viene dipinto dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo e di istruzione (INVALSI) che, anche nell’ultimo rapporto, raffigura un’Italia divisa:
“nella scuola secondaria di secondo grado, riproducendo il quadro che emerge anche dall’indagine internazionale Pisa (Programme for International Student Assessment), il Nord ottiene risultati superiori sia alla media italiana che alla media Ocse; mentre il centro ha un risultato in linea con la media dell’Italia, più bassa della media Ocse; invece il sud e le isole hanno risultati inferiori sia alla media italiana che alla media Ocse”.
Nel 2015/2016 solo il 48% dei diplomati al Sud con il massimo dei voti ha ottenuto il massimo punteggio per il voto di laurea, contro il 54% dei laureati. Questi dati sono sintomatici della profonda differenza di formazione e/o di valutazione esistente.
Gli esami di abilitazione professionale non mutano l’alta performance dei sudisti.
Per quanto riguarda gli avvocati, la riforma del 2003, ha introdotto l’abbinamento casuale delle Corti d’Appello per la correzione delle prove scritte negli esami di ammissione (legge 167/2003). Prima della riforma ogni Corte d’Appello correggeva i propri esami. Dal 2004, pertanto, ogni Corte d’Appello è abbinata casualmente a un’altra e l’una corregge gli scritti dell’altra. L’obiettivo della riforma era quello di uniformare il numero di idonei tra sedi del Nord (storicamente un numero esiguo) e quelle del Sud (storicamente elevato) e per debellare eventuali pratiche scorrette nella correzione degli scritti.
Prima della riforma del 2003 i promessi avvocati che affrontavano gli esami di abilitazione nelle Corti di Appello del Sud avevano una media di possibilità di passare intorno all’80%.
Di quelli, come me, esaminati a Brescia si abilitavano, invece, solo il 20%.
Al Sud tutti Principi del Foro, quindi. Capita, tuttavia, che nel 2004 gli scritti di Milano vengano corretti a Napoli e qui, rispetto all’anno prima, i milanesi ammessi all’orale aumentano del 40%. Mentre sul versante opposto dev’essere stata un’ondata di ciucci: dei candidati napoletani dell’anno prima, esaminati nella città campana, avevano passato gli scritti nel 68,64% dei casi. Nel 2004 il 55% di bocciati. E qui il tema va rovesciato: possibile che fossero così scarsi? O piuttosto c’è qualcosa di poco chiaro nel sistema?
Certo è che, al primo anno dalla riforma, la tabella definitiva dei promossi e dei bocciati fu stupefacente. I trentini esaminati a Caltanissetta guadagnarono 20 punti, i liguri a Salerno 26, i toscani a Catanzaro 38, i marchigiani a Reggio Calabria 15. Altrove fu invece un massacro: i messinesi esaminati a Brescia subirono una falciatura del 34%, i lucani a Perugia del 26%, i reggini ad Ancona del 37%, i salernitani a Messina del 41%.
La vera ecatombe, però, avvenne a Catanzaro. Prima era un paradiso, un tasso di promozioni stupefacente che un anno arrivò all’esatto opposto di Milano: 94% di bocciati sotto la Madonnina, 94% di promossi colà.
Dopo la riforma, pertanto, non assistiamo più a trasferte di promessi avvocati nordisti in terre borboniche al fine di passare l’esame ma nondimeno l’elenco degli ordini al Nord oggi pullula di avvocati abilitati nelle latitudini più vantaggiose. Ma con quale formazione? Alcuni diventano anche Ministri della Giustizia con seri dubbi di avere la padronanza giuridica necessaria.
Nulla di diverso sull’esame di abilitazione da commercialisti: un candidato su due, per esempio, non supera l’esame di idoneità all’Università di Padova. A Napoli, alla Parthenope e alla Federico II, lo stesso esame viene superato da nove candidati su dieci.
La media italiana di idonei all’“esame da commercialista” nel 2015 è stata del 48 per cento. Tra le università più “valide” figurano anche Campobasso, Palermo e Camerino, tutte sopra l’80 per cento di promossi. Sotto il 70 per cento ci sono la terza università di Napoli, la “Luigi Vanvitelli”. Padova e Verona al 51 per cento. L’esame più difficile in assoluto sarebbe a Trento, dove nel 2015 sono passati appena 4 candidati su 31, il 13 per cento.
E dell’esame di ammissione alle scuole di specialità in medicina? Ogni anno vi sono polemiche ed ombre di irregolarità e disparità sui test di ammissione. I punteggi sono più alti al Sud che al Nord e molti rivendicano una sede unica di valutazione per garantire meritocrazia ma anche un rigido controllo nelle aule dei test. Alcune sedi di esame permettono l’utilizzo di smartphone o la condivisione di opinioni tra concorrenti. A Milano sei controllato a vista.
Numeri che fanno pensare. Prima di tutto che un titolo professionale val bene una trasferta al Sud per quasi tutti gli aspiranti professionisti. I dati sono quelli che si trovano tra le statistiche pubblicate dal Miur e sembrano confermare quel sentire diffuso e molto poco politically correct, per cui da Roma in giù superare gli esami sarebbe più facile, sia che si tratti di esami universitari, sia che in ballo ci siano abilitazioni professionali.
In uno Stato serio, dove le pari opportunità sociali e di lavoro vengono offerte a tutti in modo sostanziale e non solo formale si tutela l’elevato standard qualitativo dei servizi a tutto vantaggio degli dei cittadini.
L’istruzione e la formazione professionale devono essere sinonimo di serietà e qualità. L’esame di Stato dovrebbe essere una prova oggettiva ed uniforme su tutto il territorio. Il percorso di studi deve accompagnare il cittadino all’esame per diventare professionista e lo mette poi sul mercato con competenze e preparazione indiscutibili per l’alta qualità dei servizi offerti.
Nonostante queste frotte di lode con percentuali da scienziati non pare che le sorti del Sud si risollevino. Storicamente il valore studio si accompagna con il progresso economico di una popolazione.
Purtroppo, il voto di 100/100 alla maturità è ancora una garanzia di un facile accesso al mondo del lavoro, soprattutto nei concorsi pubblici, ed è ancor più d’aiuto se l’obiettivo è proseguire gli studi all’Università. Sebbene il voto della maturità non contribuisca più al punteggio dei test di accesso alle università a numero chiuso, tuttavia ottenere un buon voto alla maturità continua a portare dei vantaggi.
Molte facoltà offrono borse di studio, esenzioni, totali o parziali, agli studenti diplomati con il massimo dei voti. Inoltre, gli studenti che riescono a meritare la lode beneficiano di un bonus aggiuntivo erogato dal Miur come premio al merito scolastico. La generosità dei voti nelle scuole meridionali potrebbe valutarsi in un sussidio per alcuni giovani violando l’articolo 3 della costituzione: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”, e soprattutto “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”
Ecco che si capisce perché il lavoro pubblico è monopolizzato da diplomati o laureati del Sud. L’unico criterio per valutare un candidato a un concorso dovrebbe essere quello del merito. Se un candidato ha una solida preparazione, conta poco quale voto ha preso. Gli esami sono fatti apposta per accertare il livello di preparazione e il possesso dei requisiti richiesti a un candidato. Tutti i candidati dovrebbero giocarsela alla pari: saranno poi i più meritevoli a prevalere. Cosa che, tuttavia, in Italia non sempre è accaduta. Una violazione della par condicio per una secessione già in atto.