Nei giorni scorsi ho avuto la fortuna di soggiornare ad Istanbul. Non era la prima volta, ma tutte le volte che mi capita la apprezzo sempre di più. Una delle città più affascinanti del mondo che stuzzica la mia fantasia. A cavallo tra due continenti. Istanbul ultimo avamposto europeo o primo asiatico? Un bel dilemma che amo pensare non si risolverà’ mai.
Di certo Istanbul è una città moderna e progredita dove i grandi passi avanti dell’economia turca degli ultimi decenni mostrano i propri effetti benefici, ma che comincia a dare qualche segno di cedimento. Lo si avverte in modo plastico da un elemento di facile interpretazione: il potere d’acquisto dell’Euro e del dollaro.
Si perché a Istanbul per chi paga con la valuta comunitaria o con quella statunitense, la vita e diventata una pacchia. Ma così non era l’ultima volta che c’ero stato.
E quindi cosa è successo (o cosa sta succedendo) ad una delle economie emergenti più in vista degli anni 2000?
La Turchia nel recente passato ha rappresentato un riferimento per lo sviluppo di tutta l’area orientale e ha conosciuto picchi di crescita superiori al 7%. Quest’anno però il crollo della lira ha fatto aumentare i costi degli alimentari e del carburante costringendo la Banca centrale ad alzare al 24% il tasso di riferimento. Il settore delle costruzioni, che ha trainato la crescita come spesso accade nelle economie emergenti, ha iniziato una veloce fase di recessione, registrando contrazione del 5,3% anno su anno, che ha quasi annullato la crescita del 4,5% dei servizi. La crescita dei consumi privati, che rappresenta circa i due terzi dell’economia, è precipitata quasi di sei volte.
Nel terzo trimestre di quest’ anno si è registrato un vero e proprio collasso della crescita. «Gli effetti della crisi valutaria di agosto hanno portato l’economia della Turchia a contrarsi nel terzo trimestre e anche elementi recenti suggeriscono che la crisi si è approfondita nel quarto trimestre», scrive Jason Tuvey di Capital Economics in una nota agli investitori. Il mercato turco è diventato improvvisamente fra i più insicuri del continente per chi intende investire e i risultati purtroppo si vedono in modo plastico.
La crisi economica si sta velocemente trasformando in crisi valutaria. In uno dei paesi che più di tutti ha investito sui consumi drogandoli con interventi pubblici, La lira ha ceduto il 28% rispetto al dollaro quest’anno, pur avendo recuperato dai minimi di agosto quando aveva perso il 47% del suo valore sulla moneta statunitense. La crisi della lira ha portato l’inflazione annuale a oltre il 25% in ottobre, il livello più alto degli ultimi 15 anni. Tutti credono arriveranno a breve altre misure di politica monetaria e di sostegno ai consumi e già in questi giorni il governo ha detassato sostanzialmente il settore auto oltre a mobili elettrodomestici nel tentativo di incrementarne i consumi.
E le politiche valutarie purtroppo, se fatte in questo modo, fanno rabbrividire. Tanto più se si pensa che qualcuno in casa nostra fino a poco tempo fa lo citava come esempio di sovranismo valutario. Perché purtroppo per qualche anno abbiano letto e sentito di ricette salvifiche per l’economia italiana che prendevano spunto dai principi che hanno mosso la mano del governo turco in questi anni. Chi predicava e predica (ultimamente sempre meno) l’ipotesi della uscita dall’euro provi a fare un giro sul Bosforo a vedere come butta da quelle parti. Troppo a lungo si è straparlato di stampare nuove lire, di battere moneta in proprio.
Sostenendo la strampalata tesi che in questo modo si sarebbe rilanciato l’export e l’occupazione, di fatto riaffermando il primato dell’Economia nostrana.
Orde di economisti da osteria, promossi in alcuni casi a ruoli istituzionali di primo livello nel paese di pulcinella, ci hanno raccontato che in fin dei conti la soluzione era semplice: lasciare l’euro e tornare alla lira!
A parte il fatto che vengono i conati di vomito solo a pensare alla disastrosa italica Liretta, purtroppo mi assale lo sconforto solo ad immaginare di uscire dal sistema dell’euro in queste condizioni. Su questa vicenda è ovviamente calato il silenzio nel dibattito locale.
I nuovi soloni della economia autarchica e sovranista si sono evaporati come neve al sole. Eppure fino a qualche mese fa erano in tanti disposti a scommettere che bastasse tornare indietro stampando carta a volontà, senza sottostare alle austere e incomprensibili regole della Banca Centrale Europea, per risolvere tutti i problemi di competitività di un sistema decotto come quello centralista italiano.
Qualcuno si è azzardato a dire che senza l’euro addirittura ai sarebbe coronato il sogno (o l’incubo) della unità nazionale di una paese che non esiste. Si sono spinti a raccontare che le diseguaglianze economiche italiane si sarebbero accentuate proprio a causa della valuta comune. In pratica abbiamo sentito per anni raccontare solenni stupidaggini da soggetti improvvisati che troppo spesso, grazie alla libera circolazione delle idee sulla rete, hanno trovato uno spazio che ai tempi della politica vera avrebbero trovato solo a tarda sera in qualche stamberga di periferia.
Faceva freddo a Istanbul in questi giorni. Molto freddo.