Elezioni europee: la Lega ha vinto. Si è rinforzata nei suoi bacini storici e si è affermata nei nuovi bacini elettorali.
Lontano il tempo dell’Indipendenza della Padania e di Prima il Nord, del resto se un partito italiano si propone di governare l’Italia difficilmente può farlo se non si apre all’Italia intera.
Vale per il volume del consenso, vale per il senso stesso di un partito i cui progetti devono, piaccia o non piaccia, mediare le speranze e le attese di un intero Paese.
Dall’altra pare confesso il mio sollievo nel prendere atto che il M5S ne esca ridimensionato: non ho mai apprezzato questo Minotauro senza capo né coda, tutto incompetenza, manette e aria fritta.
Confesso che mi sorprende la tenuta del PD che ha giocato con una difesa catenaccio, senza l’ombra di una proposta, senza l’ombra di un’anima. Chi è, che cosa vuole, dove vuole andare il partitone che fu? Per ora pare un carrozzone dove salgono gli animali più diversi che, sottovoce, continuano a beccarsi. Per di più in epoca nella quale vale l’allure del leader se ne sono trovato uno che pare avere l’appeal di un paracarro.
Confesso la soddisfazione che le belle figurine e i dinosauri di F.I. non abbiano trovato grandi consensi, mentre li sta trovando FdI che comincia ad avere identità e riferimenti solidi per chi guarda al destra/centro dello schieramento politico.
La Lega: a parte le capacità mediatiche e comunicative di Salvini, che da sole valgono molti punti di consenso, mi sembra che la Lega sia difronte a un cambio di rappresentanza, che costituisce di per sé un’alea a medio termine.
L’altro giorno un amico diceva un paradosso che mi ha colpito: la Lega è il nuovo PCI!
L’affermazione, per quanto superficiale e giocosa, è intrigante: i voti Lega nei vecchi bacini elettorali provengono tuttora dalla classe media ma vi si aggiungono quelli del “proletariato”, un tempo di dominio comunista. Questo cluster socio/economico è quello che più soffre per motivi economici, ma la dissennata gestione dell’immigrazione fa la sua parte: le sofferenze economiche riguardano tutti ma gli immigrati vanno a disputare il pezzo di pane ai poveri, disturbano molto meno il ceto medio e medio/alto, anche topograficamente: non ne ho traccia attorno alla villa nella quale abito con i miei fortunati vicini di casa. Qui l’immigrazione è solo oggetto di asettiche dispute ideologiche fra me e i miei vicini buonisti. Non è così nelle periferie che sono oggetto di giornaliera contesa fra i vecchi e i nuovi indigenti. Uno dei motivi del declino delle “sinistre”, comprese quelle cattoliche, è che l’immigrazione e la sua gestione e le sue conseguenze sono semplici oggetti di studio e di dibattito da fare in convegni o davanti a tavole imbandite, mai sui marciapiedi o davanti alle stazioni. Siccome non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere, quello che succede nella vita reale non ha rilievo perché se lo avesse metterebbe in crisi tutti le pensose riflessioni che ogni giorno trovano spazio in ponderosi volumi, che leggono solo i convenuti fra un bignè e una coppa di millesimato. Questi non danno voti alla Lega, mentre glieli danno i proletari incazzati.
Nei vecchi bacini mi chiedo a chi potrebbero dare il voto gli elettori del ceto medio: non ai grillini di cui, con il buon senso che li distingue, hanno profonda e meditata diffidenza. Parecchi furono attratti da Renzi, ma non dal PD di Zingaretti che ha dovuto tornare ad alcune vecchie strade per inglobare le sinistre sinistre. La storia è incontrovertibile: in Italia quando si parla di estreme (comunismo/fascismo) si perde. Non a Forza Italia, dopo vent’anni di attese in parte, e non sempre colpevolmente, vanificate. Non a FdI troppo destra per i gusti dell’italiano medio.
Nei nuovi bacini la Lega raccoglie il voto delle mosche bianche che fanno impresa, raccoglie anche l’interesse (in senso molto lato) di professionisti della politica che portano notevoli doti di consenso ma forse modesto apporto innovativo. Lì la rappresentanza avviene attraverso promesse dirette e concrete. Un tempo regno della DC, poi del PCI e dei suoi eredi, poi dei grillini che oggi la Lega insidia da vicino non tanto con le proposte quanto con molti attori consolidati che si sono dati una mano di verde.
Molti “economisti” nuovi entranti nella Lega predicano un progetto neo keinesiano che altro non è se non un intervento robusto dello Stato nelle vicende economiche del Paese. È un elemento lontano dal liberismo federalista della vecchia Lega. Lo stesso federalismo è una bandiera a mezz’asta e si accontenta ormai dell’autonomia pur difficile da ottenere.
Il tutto sembra indicare una deriva statalista poco digeribile dall’elettore consolidato della Lega, il produttore medio/piccolo di ricchezza attraverso rischio, impegno e lavoro. Tipico del Nord e del centro del Paese.
Fermandoci qui la battuta dell’amico trova un minimo di sostegno: il consenso del proletariato, l’economia di stato. Due capisaldi del vecchio marxismo.
Il futuro non lontano ci dirà se la Lega più o meno consapevolmente cambia la sua rappresentanza oppure se riesce a sommare nuovi soggetti ai vecchi e consolidati. Senza dimenticare che le esigenze e addirittura la cultura dei nuovi spesso confligge con quella dei vecchi.