Nel corso della campagna elettorale per le politiche del 2018 una frase di Matteo Salvini mi colpì profondamente:
«Con me al governo, Veneto autonomo in 15 minuti».
A margine di un incontro con la stampa a Bolzano il segretario della Lega ebbe modo di rilanciare il concetto : «Chiediamo al governo ciò che 6,5 milioni di elettori in Lombardia e Veneto ci hanno chiesto di chiedere, ovvero 23 competenze che riguardano la scuola, la giustizia, il lavoro. Difficilmente il governo Gentiloni riuscirà a chiudere questa trattativa, altrimenti la trattativa con Maroni e Zaia la chiuderemo noi con il governo Salvini in un quarto d’ora».
Sono passati due anni da allora e quello che oggi mestamente ci apprestiamo a commentare ho avuto più volte modo di definirlo “il quarto d’ora più lungo della storia”. Devo ammettere una grande delusione.
Ci avevo creduto e come me ci avevano creduto in tanti. Del resto addirittura l’intesa era stata siglata col governo precedente negli ultimi giorni di legislatura. Avevo partecipato alla negoziazione con un governo che in molti consideravano ostile all’applicazione dell’autonomia differenziata ed ero felice del fatto che alla fine si fosse raggiunta una intesa. A febbraio dello scorso anno Roberto Maroni, Luca Zaia e Stefano Bonaccini firmarono la bozza di un accordo col governo Gentiloni che necessitava di un unico passaggio parlamentare per la ratifica. Il famoso atto da 15 minuti.
Bastava infatti calendarizzare in aula la votazione della ratifica (peraltro non soggetta a modifiche o ad emendamenti da parte dell’aula ) e questa volta addirittura in un parlamento dove le forze politiche che si erano dichiarate a favore dell’autonomia erano maggioranza ponderosa.
Tutto fatto quindi? Tutto facile? Bastava un attimo……ma quell’attimo non è mai arrivato.
Sono passati 14 lunghissimi mesi di nulla. Anzi peggio. Di pantomime infinite e di tentativi, prima di smontare l’intesa del febbraio 2018 e poi inspiegabilmente di costruirne una nuova di zecca che però non ha mai visto la luce. E adesso?
Adesso rischio davvero l’infarto. Adesso corriamo il rischio vero che il nuovo governo senza la Lega di Salvini scelga di portare in aula quella bozza di intesa siglata a suo tempo e tuttora valida. Lo si capisce da molti segnali sul territorio.
Lo si capta facilmente vedendo come il partito democratico al Nord stia cercando di occupare lo spazio naturale che occupano gli altri movimenti afferenti alla sinistra nel resto d’Europa, cercando di parlare di autonomia e non solo.
Siamo arrivati al paradosso per il quale a celebrare i 100 anni dalla nascita di Gianfranco Miglio in Regione Lombardia siano due consiglieri del Pd nel silenzio assordante della Lega.
Capita che alcuni sindaci come quello di Mantova o di Bergamo rilancino quotidianamente proclami autonomisti nei confronti dello stato centrale e delle politiche centraliste del governo.
Capita in pratica che il mondo inizi ad andare a rovescio.
Del resto sono scolpite come nella pietra le parole di Andrea Crippa ineffabile vice di Salvini che a fine giugno in una intervista a “il Giornale” del giugno scorso, ebbe modo di dichiarare : ”Una crisi sull’autonomia non si può fare, rischieremmo di perdere troppi voti al sud”.
In pratica una resa incondizionata non tanto e non solo agli alleati di governo, mai ai nuovi elettori leghisti del Sud che dimostrano di non amare particolarmente la madre di tutte le battaglie della Lega Nord. O perlomeno di quel che resta della Lega Nord. Adesso quindi comincio veramente ad avere paura che succeda Qualcosa di imprevedibile fino a pochi mesi fa. Ma chi ha amato la Lega Nord e’ abituato a soffrire e a lenire il dolore valga su tutte una frase di Vincent Van Gogh che da sempre ha ispirato la mia presuntuosa tenacia.
“Chiunque viva sinceramente e affronti senza piegarsi dolori e delusioni e’ assai più degno di chi ha sempre avuto il vento favorevole”.
E se il vento favorevole dovesse cominciare a soffiare da una direzione imprevista sono pronto ancora una volta a resistere alla delusione. Vediamo come evolve ma comincio ad avere la sensazione che presto cambierà tutto e che molte certezze in politica siano pronte ad andare in soffitta per sempre.