Temo il coronavirus, ma non perché ho l’età indicata come critica per il contagio, anzi proprio questa mia età mi mette al riparo da ansie e da panico: ne ho viste troppe e anche più brutte per spaventarmi.
Insomma, sto attento ma non voglio scegliere di non vivere per paura di morire, pur consapevole che il tasso di mortalità degli over 70 è il più elevato.
Mi lavo spesso le mani, sto alla larga dal prossimo, non infrango gli obblighi e le prescrizioni, non ho comprato inutili mascherine, quanto alla amuchina l’ho in casa da tempo, imposta anni fa da mia moglie medico.
Il coronavirus mi spaventa ancora di più per i suoi impatti (di oggi e per quelli prevedibili nel futuro prossimo) politici ed economici.
Mentre gli italiani sono affaccendati col coronavirus la politica, che della vita è proiezione enfatizzata, va avanti allegramente. E comunque anche qui ci vuole un po’ di buona sorte (la eutikia dei greci antichi, la botta di c..o come diciamo noi ragazzacci) e Giuseppi (Conte) pare averne in abbondanza.
Fra i guariti dal coronavirus c’è certamente il governo, che riesce a rimandare le sue esequie sine die: sembrava morto venti giorni fa, ora è vivo e vegeto e potrà continuare il cammino, con i suoi faticosi effetti.
Il M5S vede realizzato il suo sogno della decrescita felice e arriva a compiacersene con un comunicato incauto subito ritirato ma che ha lasciato il segno.
Mentre noi siamo affaccendati col coronavirus gli sbarchi dei migranti nel periodo 1/1 > 29/2/20 sono stati n° 2.553 contro n° 262 stesso periodo 2019, però si sono azzerati a marzo: il coronavirus fa cessare per miracolo ogni tragedia umanitaria, ogni carestia, ogni migrazione per cause belliche, seppure le guerre continuino.
Il sultano turco Erdogan usa l’arma che la U.E., attraverso la lungimiranza della signora Merkel, gli ha messo in mano a suo tempo: o più soldi (oggi sono 6 miliardi di € all’anno) e appoggio al suo avventurismo militare (che provoca le migrazioni), oppure mette sulla via dell’Europa oltre 3 milioni di profughi. L’aperitivo lo ha offerto con i primi 120.000 che premono ai confini della Grecia.
La legge sulle intercettazione passa: stiano attenti alle effusioni telefoniche le e i fedifraghi, ma anche amici e parenti, per non parlare di soci e di operatori economici, di medici e pazienti: ora ogni effusione, ogni intimità, ogni notizia riservata può legittimamente diventare di pubblico dominio con il combinato disposto della nuova normativa e dei giornalini e giornaloni, dell’esercito dei socialnetwork che sparano in prima pagina o espongono al pubblico ludibrio quello che, dopo selezione, ritengono di maggior “interesse”: l’occhio e l’orecchio del Grande Fratello si è allargato a dismisura mentre noi eravamo affaccendati col coronavirus, che passerà mentre il Grande Fratello rimarrà ben fermo.
La stessa politica paga pegno al coronavirus: la scorsa settimana per eleggere un deputato a Roma ha votato il 17%, per eleggerne un’altra in Umbria il 14.5%. Oltre al referendum, la logica suggerisce di rimandare anche le elezioni regionali. In queste condizioni: niente comizi, niente affollamenti, niente incontri, meeting, cene: niente campagna elettorale, ma soprattutto interesse fievole e partecipazione rarefatta.
Infine temo il coronavirus per i contraccolpi economici: emerge la fragilità della catena lunga del valore, ormai globalizzata. Potremmo per estensione parlare di una sorta di PERT (la vecchia nozione di gestione del processo produttivo) a livello globale.
Il PERT misurava e cercava di armonizzare i carichi di lavoro lungo l’intero processo produttivo (non solo la catena di montaggio): se una delle stazioni del PERT non funzionava la stazione a monte ammucchiava produzione non eseguibile e quella a valle era proporzionalmente vuota, ma Il tutto si svolgeva dentro la fabbrica, da magazzino materie prime a magazzino prodotti finiti, ogni possibile intervento correttivo era fatto in tempo reale.
La globalizzazione funziona in modo analogo ma ha dilatato le distanze ed esternalizzato le decisioni: alla fine poco importa se la stazione 1 del PERT è ad Abbiategrasso o in Cina, l’essenziale è che alimenti la stazione 2 e così di seguito, altrimenti il prodotto non esce. Che cosa cambia? che gli interventi correttivi non sono più possibili in tempo reale, né appartengono più alla singola impresa interessata, appartengono invece a scelte di imprese terze che sceglieranno a loro vantaggio quando, cosa e per chi sbloccare. L’impresa interessata potrà riprendere il ciclo produttivo solo quando l’impresa terza deciderà e alle sue condizioni.
Oggi abbiamo la crisi palese di alcuni settori economici immediatamente esposti (turismo e i numerosi cluster ad esso legati) ma le imprese di prodotto cominciano a risentire dei problemi provocati dalle interruzioni del processo produttivo. L’Italia ha un’economia di trasformazione, dalla materia prima al prodotto finito. Si tratta di offrire al mercato mondo un prodotto complesso che comprende un numero elevato di componenti. Se ne manca anche solo uno, magari di basso valore ma essenziale, il prodotto finale non può essere consegnato e va a finire nel magazzino dei semilavorati, non produce ricavi e appesantisce la finanza dell’impresa. Alla Cina è stato concesso da tempo e con autentico autolesionismo, di diventare la fabbrica del mondo. Ora la fabbrica si è inceppata e impedisce ai trasformatori del resto del mondo di mettere sul mercato il prodotto finito.
Unica consolazione: potrebbe essere questa l’occasione per ripensare l’intero sistema globale, cercando di riportare a casa quanto possibile.
In Italia servirebbe un “revisionismo” culturale: l’impresa come soggetto creatore di ricchezza e non come rapace sfruttatrice di un proletariato che nel frattempo è scomparso.
Aggiunto a una revisione totale delle condizioni odierne: semplificazione burocratica che costerebbe zero € e produrrebbe di per sé importanti occasioni di impresa e di lavoro. Certezza del diritto e tempi ragionevoli delle sentenze. Alleggerimenti fiscali per allineare il sistema Italia a quello degli altri competitori internazionali.
Insomma una rivoluzione benefica e copernicana: economia dell’offerta al posto della keynesiana economia della domanda.
Capisco che sto sognando ma, come diceva Calderon della Barca, “la vita è sogno, lascia almeno che la sogni immortale”.