FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

La gente comincia a piangere. Dopo la rabbia le lacrime. E poi un giorno, forse, la Politica tornerà.


Il giorno in cui avrò paura di rischiare non sarò più adatto a fare il leader

Questa frase mi ronza per la testa da qualche giorno. L’ho letta su un muro e non so onestamente a chi sia attribuibile. Di certo mi ha colpito. E a maggior ragione mi ha colpito in questo periodo in cui pare proprio nessuno voglia rischiare per farci uscire dal cono d’ombra nel quale siamo stati  cacciati. 
Il calcolo politico e la difesa ossessiva (quando non la conquista) del consenso, ormai condizionano tutto e tutti. E nessuno vuole correre rischi.

Questo diventa ancor più pericoloso se a non rischiare e’ colui che dovrebbe esercitare una leadership nell’area nella quale idealmente ti senti più rappresentato. Eppure basterebbe poco. Basterebbe ammettere i propri errori e aggiustare il tiro.
Abbiamo combattuto per oltre 30 anni uni stato tiranno e maleodorante per trovarci dalla parte  di coloro che da quella tirannia e presenza invasiva ne hanno tratto beneficio.  Ci siamo trovati a difendere i privilegi  di intere categorie assistite, condannando i perseguitati alla rassegnazione. Abbiamo assistito alla sbornia sovranista senza aver ben compreso nemmeno cosa fosse, nella forsennata ricerca di un leader che non c’è. E del quale io credo non se ne avverta nemmeno la necessità in un contesto democratico.

L’uomo forte ha dimostrato tutte le proprie debolezze e i propri limiti proprio nel momento in cui paradossalmente sarebbe forse servito di più. E questa è la dimostrazione del fatto che non servono uomini forti ma servono uomini seri. Uomini che mantengano la barra dritta e che considerino la coerenza una virtù e non un desueto orpello per sognatori. Uomini che non abbiano paura di misurarsi e intorno abbiano altri uomini altrettanto bravi o anche di più. E invece si è scelto di avere pseudo leader che si circondano di inutili e mansueti portatori d’acqua, che non impensieriscano mai troppo il capo di turno e che magari non gli ricordino mai che serve anche saper rischiare. La ricerca del facile consenso porta a dire tutto e il suo contrario con ineffabile tracotanza e falsa sicurezza.
A tanti elettori tutto ciò è piaciuto fino a qua. Poi è arrivata La sciagura. Il mondo ha dovuto fronteggiare qualcosa che andava al di là della capacità programmatrice dei propri stati più o meno organizzati. E’ capitata una cosa che ha colpito duramente tutti i paesi del globo ma in particolare uno: lo stato morto per eccellenza, l’Italia. E quando (mi auguro prima possibile) potremo tirare le somme di questa ecatombe, avremo la necessità di fare i conti con coloro che hanno perso la vita e ahimè con i disastri economici che questa vicenda avrà provocato. 
Lo stato morto rischia di diventare a sua volta un paese morto. Verrebbe da obiettare che si può ancora salvare la situazione almeno dal punto di vista economico. O perlomeno limitarne gli effetti deflagranti che sta producendo con delle scelte appropriate. Ma per fare questo servono uomini che sappiano guidare le strutture del paese prendendosi appunto dei rischi. Di quelli purtroppo su vasta scala non c’è traccia. Non si vede nessuno all’orizzonte che abbia il coraggio di prenderseli con le conseguenti responsabilità. Sembrano tutti ipnotizzati. Intrappolati dalla dinamica del consenso e intrappolati nelle macchine delle mediocri organizzazioni che hanno creato (spesso a propria immagine e somiglianza).
La situazione economica sta degenerando sotto il peso delle mancate scelte di chi governa e della pochezza di chi inspiegabilmente si oppone a tutto. Un arrocco apparentemente senza soluzione nel breve in un contesto dove il tempo è un elmetto determinante.
Se non ripartono le imprese e non finisce il saccheggio delle stesse da parte dello stato centrale siano destinati ad una fine tanto repentina quanto ingloriosa. E soprattutto serve il coraggio di dire che chi fino ad oggi ha pagato il conto e sopportato il peso per tutti oggi non è più in grado di farlo.
Non bisogna aver paura di dire la verità. Questo stato non solo e’ morto ma non è mai nemmeno nato in senso unitario. Viviamo in una vera e propria dicotomia per la quale esistono almeno due modelli economici oltre alle ben note decine di differenze culturali e sociali e che non volerlo riconoscere e’ criminale. La narrazione per la quale ci potremo salvare “tutti insieme da Nord a sud” non è solo una colossale bugia ma è un modo come un altro per condannarci a morte sicura, stavolta si  “tutti insieme da Nord a sud “.
Per questo per tanti anni la parte che più ambiva a correre da sola ha accettato di rinunciare alle legittime ambizioni indipendentiste di molti dei suoi cittadini, per ripiegare sulla più ecumenica battaglia per le autonomie, che oggi potrebbe non bastare più.
Stanno prepotentemente tornando rigurgiti secessionisti in tutto il Nord ed in particolare nel “Lombardo Veneto”.
Non che la cosa mi dispiaccia ovviamente, ma quello che emerge in tutta la sua forza eversiva in questa fase e’ la ragione di tutto ciò. Seppur ignorata ormai in modo bipartisan dagli schieramenti tradizionali presenti nel parlamento romano, la causa principale di questa recrudescenza è essenzialmente economica.

Già, l’economia. Quella che, ormai concettualmente sfuggendo a tutti è creata dalla imprese sui territori. Quella che non è né di destra né di sinistra. Quella che guarda ai numeri e non ne può più di una politica che cerca il consenso solo ed esclusivamente affidandosi alle masse di elettori sostanzialmente inattivi o a carico del sistema pubblico. Quella che oggi spinge perché si trovi una soluzione per ripartire e si sente meno solidale di quando le cose andavano meglio.
Quella che potrebbe ancora salvarci se verrà messa nelle condizioni di competere alla pari nella gara globale che ci aspetta con l’auspicabile ritorno alla normalità. Non a caso in questi giorni in quell’isola felice dove l’italiano lo si parla solo per obbligo di una legge incomprensibile, la direzione del partito che governa quel territorio ha preso una posizione di grande valore politico.
In quel luogo che si chiama Sudtirolo (Alto Adige per gli italici), dove vige un sistema di autonomia all’avanguardia, il partito  di maggioranza che governa la Provincia di Bolzano (e di conseguenza la Regione) ha assunto una posizione netta ai limiti dello strappo “A difesa delle nostre famiglie, delle nostre aziende ma soprattutto a difesa della nostra autonomia! La direzione del partito” ha accolto all’unanimità la proposta dell’Obmann Achammer e del Presidente Kompatscher, di iniziare l’elaborazione di una legge provinciale per la strutturazione della Fase 2.  Oggi abbiamo deliberato di interrompere ogni collaborazione con il governo, se la nostra decisione di seguire un percorso indipendente non dovesse venire accettata. Noi Sudtirolesi andiamo così per la nostra strada e prendiamo le redini nelle nostre mani, a difesa delle nostre famiglie, delle nostre aziende ma soprattutto della nostra autonomia” .
Tombola!
A questo ha fatto seguito una immediata presa di posizione del governatore del Sudtirolo Arno Kompatscher,  che pragmaticamente è andato subito al sodo dichiarando  che l’approccio di Roma è troppo centralistico e paternalistico, che i governatori delle altre Regioni parlano tanto di autonomie e poi fanno i cagnolini del governo per evitare di assumersi responsabilità. Aggiungendo : “Sin dall’inizio abbiamo scelto in Alto Adige un approccio basato sul senso di responsabilità delle cittadine e dei cittadini in una società matura, mossa da volontà e obiettivi comuni. Questo approccio si è dimostrato quello giusto, anche se in questo modo non sono mancate le critiche anche a questa scelta. L’approccio romano, che presuppone cittadini quasi inabili e di conseguenza un ampio programma di controlli e monitoraggi – ha concluso – non rispecchia né la situazione attuale in Alto Adige né il carattere stesso della nostra popolazione”.”
Ecco di cosa abbiamo bisogno a Nord. E lo sanno bene i bravi presidenti della provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti e del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga.
I quali a ruota hanno ribadito che potrebbero essere sospesi gli accordi che regolamentano l’autonomia dei loro territori nei confronti di Roma nella parte che attiene alla corresponsione di fiscalità (risorse, soldi in pratica) destinati allo stato centrale.
Ecco allora che abbiamo esempi sui territori di leader che rischiano. Vedremo fino a che punto si spingeranno rischiando e fino a che punto potremo continuare a considerarli leader.
Questo cercano i cittadini. Questo vogliono gli elettori che antepongono al proprio tornaconto personale l’interesse collettivo di intere aree geografiche e culturali destinate altrimenti alla desertificazione economica. Perché solo quest’ultima può essere il prodotto della azione politica dei presunti leader nazionali che guardano da Roma ai territori senza comprenderne le dinamiche sociali ed economiche.
Spero di non essere smentito nei prossimi giorni ma c’è bisogno che dopo la rabbia e le lacrime torni la politica.
Quella vera.
Tutto ciò che non si è ancora visto in questa travagliata fase in un mondo senza leader nazionali, in uno stato morto.

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Imprenditore, classe 1968. Per 25 anni impegnato a vari livelli in politica sempre nelle fila della Lega Nord. Dal 1993 al 2002 è sindaco di Pomponesco (Mantova), nel 1996 entra a far parte del Direttivo regionale dell’Anci Lombardia. Nel biennio 1996-1997 Fava è presidente del Consorzio per la depurazione idrica casalasco-viadanese. Per molti anni e’ stato membro elettivo di Upl (Unione provincie lombarde). Dal 2002 al 2007 consigliere comunale a Pomponesco e dal 2009 al 2014 consigliere comunale a Sabbioneta. Dal 2015 al 2018 è stato consigliere comunale a Viadana (città dove attualmente vive). Dal 1997 al 2012 è stato consigliere della Provincia di Mantova e deputato al Parlamento in tre Legislature. Nella XV Legislatura è stato membro della Commissione Attività produttive; nella XVI è stato membro delle Commissioni Difesa, Attività produttive, Politiche dell’Unione europea, Affari sociali e della Commissione Bicamerale d’Inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, nonchè Presidente della Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla Contraffazione. Nella XVII eletto di nuovo alla camera dei deputati ha rassegnato le dimissioni nel maggio 2013 per entrare a far parte della giunta regionale della Lombardia con Presidente Roberto Maroni come assessore all'agricoltura. Appassionato di politica, economia e di sport nel novembre 2018 ha scelto di abbandonare le cariche elettive e la politica attiva in campo istituzionale per dedicarsi alla propria attività imprenditoriale a tempo pieno.

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