Essere Salvini al tempo del Covid 19 è una condizione niente affatto semplice. Avete presente quella delle mosche che rimangono intrappolate sotto un bicchiere? Una cosa del genere.
Per Salvini il bicchiere è la sua stessa macchina di propaganda, della quale è rimasto prigioniero e dalla quale non riesce ad uscire, continuando a picchiare la capoccia contro la barriera invisibile di strategie comunicative dimostratesi poco redditizie in questa fase, ma di cui lui non riesce a fare a meno.
Durante la pandemia la scena gli è stata sottratta da chi per il ruolo istituzionale che aveva, doveva gestire l’emergenza: governo, governatori delle regioni, esperti di ogni ordine e grado.
Non avendo incarichi operativi, il capitano avrebbe dovuto ritagliarsi uno spazio mediatico da riempire con i contenuti concreti di un’opposizione responsabile, cosa che non è riuscito a fare.
Così, il contributo del leader del principale partito di opposizione alla risoluzione di una delle peggiori crisi storia della Repubblica è consistito nel tentare con ogni mezzo di recuperare le luci della ribalta e di pubblicare su TW la foto della bocca aperta della figlia che ha perso il dentino. Con risultati discutibili che si sono tradotti in un calo di consensi per la Lega – Partito. Salvini, non ce la fa a smettere gli abiti di scena del demagogo, è più forte di lui. Il richiamo della piazza mediatica il cui consenso si misura in numeri di “like” e condivisioni è una droga che crea assuefazione e il nostro Matteo avrebbe bisogno di un soggiorno in comunità per disintossicarsene, se vuol essere preso sul serio come politico (sempre che lo voglia).
Il “Capitano” è sempre più alla disperazione per cercar di recuperare un posto sul palcoscenico della ribalta che gli è stato occupato dal governatore del Veneto Luca Zaia. Il quale, grazie al supporto di consulenti scientifici di prim’ordine ha messo in campo un’efficacie strategia di contrasto al covid e ora nei sondaggi viene accreditato come il leader più apprezzato durante la pandemia. Addirittura il prestigioso “Financial Times” lo incorona come candidato alla guida della Lega. Quando è capitato a Salvini di finire sulla copertina del “Time” è stato per esser additato come l’uomo che avrebbe potuto disfare l’Europa.
Per recuperare la ribalta mediatica ha provato di tutto. Ha “lanciato la bomba” in diretta Instagram della capigliatura sempre in ordine di Conte per insinuare che andasse dal barbiere pur essendo un’attività vietata dalle norme sul lockdown, si è inventato l’arancia della buvette del senato con il bollino malamente fotoshoppato per far credere che venisse dal nord Africa. Si è fatto passare per “liberista” quando fino al giorno prima fa chiedeva che “lo stato tornasse a fare lo Stato”.
Ha pubblicato su TW foto di piatti tricolore trovate su Google spacciandoli per la sua mensa e alla fine, con un’apoteosi di piacionismo, la bocca priva del dentino da latte della figlia. Ha perfino provato a calare l’asso di briscola della sua propaganda: gli sbarchi di immigrati irregolari. Inutilmente.
L’opinione pubblica oggi ha cose più importanti delle quali occuparsi che non seguire le dirette social del capitano che si fa un cicchetto di “autentico mirto di Sardegna”.
Mancando sagre della salsiccia dalle quali il Capitano poteva fare il food influencer – autentico petrolio della propaganda salviniana via social – con la chiosa della frase di rito “E voi amici che fate?”, la Bestia di Morisi si è scoperta essere un cagnolino pelosetto da compagnia, della razza di quelli ai quali annodi il fiocco rosa in cima alla testa per togliere il pelo dagli occhi. Delle sue “bombe” da “Novella 2000” agli italiani non importa assolutamente nulla, presi come sono da una miriade di altri problemi ben più seri e gravi.
Questa strategia comunicativa denota una cosa, che forse a Salvini e a chi segue la sua immagine sfugge, ebbri come sono dei loro fasti mediatici e del reverenziale timore che essi ispirano: la mancanza totale di rispetto per il suo elettorato, il quale è considerato alla stregua di una massa di ovini insulsi al quale si può spacciare un photoshop mal fatto come originale o una foto di Google come fosse fatta in quel momento, pensando che non se ne accorgano.
Come fino ad oggi si sono spacciati tagli delle accise mai fatti, rimpatri di massa di migranti mai fatti, federalismo “incardinato” ma ancora lontanissimo. La stessa strategia di comunicazione di Salvini denuncia inconsapevolmente l’arroganza di chi è convinto che il proprio elettorato sia così scemo da potergli rifilare una panzana dietro l’altra, tanto basterà poi farsi una foto con il barattolo di nutella in mano e postarla sui social per essere acclamato.
Ci volevano tempi di ferro come questi che stiamo passando per capire che i “like” sui social non fanno il politico?
Un adagio attribuito a Lincoln dice: “Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre”.
Matteo forse è il caso che cominci a rendersene conto.