La pandemia di Covid non lascerà cicatrici solamente sul tessuto socio – economico Italiano, pure quello politico ne uscirà segnato dallo “stress test” dell’emergenza che stiamo attraversando. Eppure prima o poi anche il Covid 19 passerà e riprenderà (si spera) la vita di tutti i giorni e con essa si riprenderanno le fila anche di tutti i temi politici che sono stati lasciati in sospeso causa pandemia.
Primo fra tutti quello delle autonomie. Ci avevano chiusi nel lockdown che ancora non si vedeva la fine del processo avviato dai referendum di Veneto e Lombardia nel 2017 i quali avevano avviato un percorso che doveva terminare con il trasferimento di diverse competenze dallo stato centrale alle regioni, secondo quanto disposto dalla riforma del titolo V° della costituzione, risalente all’ormai lontano 2001.
Le premesse sono tutt’altro che buone. Durante l’emergenza gli attriti tra centro e periferia sono stati all’ordine del giorno, in particolare tra Veneto e soprattutto Lombardia e l’apparato burocratico e governativo Statale. Passeranno alla storia i quotidiani scontri tra il capo della protezione civile Arcuri, l’uomo che calmierando i prezzi delle mascherine le ha fatte sparire dal mercato, e il governatore della Lombardia Fontana. La pandemia ha fatto riemergere le frizioni tra Stato centrale impegnato a riaffermare le sue prerogative, e le istituzioni territoriali le quali pretendono venga tenuto conto delle diverse situazioni locali. Durante l’emergenza il Leviatano ha iniziato a muoversi minacciosamente, manifestando l’intenzione di riappropriarsi di alcune importanti competenze ora delegate alle Regioni. La pesante prova subita a causa della pandemia dalla santità Lombarda che ha rischiato di collassare sotto il peso del numero di contagi più altro d’Italia è stata usata come pretesto dall’apparato centrale per avanzare la pretesa di rimettere sotto il suo controllo i sistemi sanitari regionali.
Ora non è compito nostro determinare le responsabilità che hanno portato la Lombardia ad essere la regione Italiana più colpita dal virus con il maggior numero di ricoveri e decessi, possiamo invece ragionare sulla sensatezza delle pretese statali. Prima di tutto per dire che lo Stato avrebbe fatto di meglio bisogna poterlo dimostrare, e dato che la sanità è gestita dalle regioni, per lo Stato dimostrarlo a priori è impossibile. In secondo luogo ci sono regioni che nel contenimento della pandemia hanno fatto meglio di altre, per esempio il Veneto o (paradossalmente) diverse regioni del sud e questo smentisce la pretesa dello Stato centrale. E allora come la mettiamo? La sensazione è che allo Stato centrale interessi fino a un certo punto recuperare competenze per questioni di efficienza.
Diciamo la verità: Roma non ha mai messo “l’efficienza” tra i suoi obiettivi, quanto piuttosto la redistribuzione clientelare delle risorse estratte dal sistema fiscale o finanziate a deficit. La questione piuttosto è un’altra e concerne il controllo delle risorse. Risorse le quali a causa della crisi economica scatenata dalla pandemia saranno sempre più scarse e quindi faranno gola a molti centri di potere, dato che controllare le risorse significa controllare i consensi. Parlare di autonomia quindi difficilmente tornerà di moda, E’ abbastanza prevedibile che la narrazione dello Stato centrale fornitore del bene primario della sicurezza venga usata per giustificare un attacco frontale alle (poche) autonomie rimaste di competenza degli enti locali, sventolando il pretesto della tragedia Lombarda e approfittando della “resilienza” dell’opinione pubblica nazionale, disposta ad accettare qualsiasi cosa in nome della sicurezza. come ha dimostrato durante l’emergenza, purché adeguatamente terrorizzata.
Sarà molto interessante allora capire l’atteggiamento rispetto a queste tematiche della leadership nazionale della Lega, la quale da tempo ha abbandonato di fatto il tema del federalismo per cercare lo “sfondamento al sud”. I nodi politici prima o poi vengono al pettine e Salvini dovrà chiarire di fronte al suo elettorato (vecchio e nuovo) la posizione della Lega non più Nord. Si schiererà a difesa dello storico bacino di consensi del nord contro le manifeste mire accentratrici dello stato romano, con il rischio di scontentare l’elettorato del centro sud a cui ammicca? Oppure manterrà la barra della navigazione nazionalista diritta, rendendo palese a quel punto il suo bluff di fronte all’elettorato storico della Lega: il quale viene blandito da una campagna propagandistica perenne utilizzata per distrarlo dal fatto che il federalismo ormai da tempo non è più nell’agenda di Salvini. Basta scorre sulle sue pagine social. Pare di stare in una “pro loco” che fa da testimonial a “prodotti italiani”, con il solito contorno di grida contro gli “immigrati”, richiami all’unità d’Italia e il condimento di bandierine tricolori e di “ciao amici e voi che fate?”.
In questo senso però la pressione dello Stato centrale nei confronti delle poche e misere autonomie locali che esistono, unita alla reticenza dell’ormai ex partito federalista nell’assumere una netta posizione in merito, possono essere fattori positivi nell’ottica federalista/indipendentista. Politicamente si chiariranno le posizioni, di tutti i soggetti. Volenti o nolenti.
E Salvini senza più l’alibi della coabitazione al governo con i 5 Stelle che rallentano il cammino dell’autonomia, non potrà più evitare di chiarire una volta per tutte la posizione del suo movimento. Ma, cosa ancora più importante, la pressione sull’opinione pubblica del nord della controriforma delle autonomie ventilata dallo Stato centrale potrà essere un salutare bagno di realtà e uno strumento di mobilitazione politica delle coscienze, proprio grazie al riacutizzarsi delle frattura “centro-periferia”.
Sotto minaccia, il nord riuscirà finalmente a acquisire la consapevolezza della necessità di un soggetto politico che rappresenti realmente i suoi interessi senza il contorno del ciarpame nazionalista e della retorica italiota a cui l’involuzione Salviniana della Lega lo ha abituato?