Il 22 ottobre, data che molti di noi ricorderanno come il giorno storico del Referendum sull’autonomia del 2017, sarà anche il giorno dell’inizio del coprifuoco in Regione Lombardia. È un po’ uno scherzo del destino e un po’ una coincidenza quella che fa combaciare una data che ricorda la libertà con una che simboleggia un attacco alla libertà, e non stiamo parlando esattamente del coprifuoco in quanto tale, o almeno non solo.
Attilio Fontana, il protagonista della nostra storia, venne eletto nel 2018 con un preciso messaggio: i lombardi avrebbero dovuto ottenere quell’autonomia per cui avevano votato. Autonomia è ovviamente un concetto astratto se non lo dotiamo di una componente concreta, e questa parte concreta sono i concetti di competenza e responsabilità. È abbastanza ovvio che lo Stato ti restituisce soldi restituendoti anche le competenze per cui poi quei soldi andranno usati, e avere determinate competenze comporta anche una maggiore responsabilità: molti di noi si aspettavano che esponenti di un partito come la Lega che ha predicato concetti come questi per anni fossero in grado di comprenderli, anche se è chiaro dato il nuovo corso che i vecchi valori non sono più condivisi. Fontana ci ha dimostrato il contrario: nel prendere la decisione di imporre il coprifuoco (decisione che, secondo il DPCM, poteva prendere benissimo da solo senza rendere conto a Roma) ha desiderato “confrontarsi” con il governo centrale. L’intento appare chiaro: se una scelta del genere viene spacciata come condivisa con Roma è ovvio che le responsabilità di tale scelta non ricadranno solo sulla regione ma anche sul governo, ed è proprio questo rimpallo delle responsabilità che dovrebbe schifare un autonomista vero, uno che desidera che le decisioni per il territorio vengano prese sul territorio. A rincarare la dose ci ha pensato Salvini: il leader della Lega ha finito il balletto dichiarando che certe decisioni andrebbero prese dal Governo centrale, con buona pace di Miglio e di trent’anni di ragionamenti sul federalismo che negli ultimi periodi sono stati buttati al vento.
I sindaci poi hanno messo la loro parte: la decisione di Conte di lasciare agli amministratori locali la decisione riguardo la chiusura di determinate vie o piazze nelle città e nei paesi li ha fatti insorgere, accusando il premier (in uno dei suoi pochissimi momenti di lucidità) di fare lo scaricabarile.
Ovviamente la situazione è complicata e non è facile in emergenze come questa trovarsi a dover prendere delle decisioni, ma il concetto di responsabilità proprio dell’autonomia vera non può essere calpestato tra scroscianti applausi senza nessuno che sollevi la questione: predicare l’autonomia e poi rinunciare alle responsabilità a questa conseguenti quando la situazione inizia a scottare è da incoerenti. Qui non si giudica la questione “coprifuoco sì, coprifuoco no”, anche perché ci penseranno i ristoratori imbestialiti fuori dal Pirellone a far sapere ai capoccia di Regione Lombardia quanto sia liberticida e antieconomica la loro decisione, qui si contesta il fatto che la politica lombarda, che predica da anni il desiderio di una maggiore autonomia, quando arriva il momento di prendersi delle responsabilità sceglie di non scegliere e di dare la palla a Roma. La regione più grande d’Italia, la regione che può competere da sola con molti paesi europei, la regione che regala allo Stato 50 miliardi e rotti l’anno per mantenere gli sprechi del meridione china la testa per mezzo delle sue istituzioni e resta in scacco di un leader di partito eletto senatore in Calabria. Ma questa è solo una parte del problema: l’altra notizia shock è quella dei sindaci che, come ho già anticipato, avrebbero accusato il governo di essersi lavato le mani del problema della chiusura di strade e piazze a rischio dandone la responsabilità ai sindaci stessi. Da bergamasco della Val Seriana mi risulta un po’ difficile credere che un anonimo romano sappia meglio di un sindaco quali siano le situazioni di Albino, Clusone, Lovere… e notare bene che cito paesi considerati grandi nel loro territorio e tutti di una certa importanza, ma dei quali, per limiti propri all’essere umano che non può conoscere a memoria la geografia e la realtà sociale dello stivale intero, l’anonimo governativo al 90% non conosce una mazza.
Queste problematiche fanno tornare prepotentemente in primo piano la questione aperta sulle autonomie: non possiamo seriamente pensare che una classe politica che rifiuta responsabilità e competenze in momenti di emergenza sia poi pronta a portare avanti le istanze del territorio per raggiungere la tanto sognata autonomia. In Catalogna (dove la “rapina” del residuo fiscale è solo di 8 miliardi contro i 54 della Lombardia) le cose sarebbero andate diversamente.