Pochi giorni fa, il 18 marzo, si è celebrata la prima giornata nazionale dedicata alle vittime del Covid-19. Di solito, però, le giornate si dedicano non a fenomeni noti ma a fenomeni e eventi che meritano di essere evidenziati nella nostra società, che sia perché debbono fare da monito o perché non sono sufficientemente conosciuti.
Propongo, quindi, di istituire anche una giornata per le vittime sociali ed economiche delle restrizioni Covid che, per azione o inazione dello Stato, hanno perso il lavoro, l’attività, la carriera e, purtroppo è successo, la vita.
I numeri sono drammatici: parliamo di 660’000 posti di lavoro persi nel 2020, 17’000 imprese che non riapriranno mai più, un’autentica strage di partite IVA tra chiusure e mancate aperture, interi settori alla fame e fermi da un anno, altri che vengono fermati a intermittenza e presi per il culo dal governo, come il Natale che è passato da aperto a chiuso in due giorni o lo sci, chiuso il giorno prima della potenziale apertura.
Numeri che, a differenza di quelli dei morti, vengono solo brevemente menzionati ogni tanto e non sciorinati ogni giorno in un bollettino del dolore, usato poi dalla politica per giustificare un chiusurismo radicale che, evidentemente, funziona molto bene dato che devono sempre farne di più (mi ricorda qualcuno…)
Ma numeri davvero drammatici, io personalmente conosco più persone danneggiate dalle restrizioni (inclusa gente che, purtroppo, ha perso la casa) che gente morta o seriamente danneggiata dal virus.
Ciò non vuol dire che si deve fare finta di nulla del virus, si può e si deve lavorare in sicurezza, ma si deve lavorare, perché è palese che coi ristori, o sostegni a dir si voglia, l’economia non va avanti e la gente non mangia…