Contrariamente a quanto supponeva Samuel Beckett e dopo lunga attesa, è finalmente arrivato il nostro Godot. Si chiama Mario Draghi.
Ha messo in soffitta le carabattole che ingombravano cucina e salotto: le Azzolina, i Bonafede, le Catalfo, mandandoli a far compagnia ai Toninelli, alle lezzi, alle Grillo, e agli altri pezzi pregiati che ci hanno governato negli ultimi due anni.
In soffitta con loro c’è andato anche Conte, questa strana figura meta politica e un po’ picaresca, pescata quasi a caso nella fiera della vita che ha però imparato molto rapidamente le regole spicce della politica italiana volando sull’italico nido del cuculo che è noto col nome di M5s.
Draghi sembra la variabile indipendente del sistema: d’accordo col presidente Mattarella (pudicamente tenuto sempre fuori dalle vicende di cui tuttavia è protagonista) ha indotto tutti i partiti a ripensamenti e riletture tanto repentini quanto profondi.
Il M5s ne esce malconcio. già disperso in mille rivoli che mai hanno trovato un alveo comune in cui incanalarsi, orfano di Casaleggio e con il fondatore grillo oggi vacillante, con procedure interne ingessate e contenziosi economici laceranti. La parabola sembra davvero in declino. Forse Conte, pragmatico e picaro, potrà salvare il salvabile traghettando la parte che resterà disponibile su terreni più solidi. Ma i momenti dei trionfi sembrano comunque passati e gli slogan facili e ingenui che costituivano l’esile progetto del movimento andranno in soffitta a tenere compagnia alla parte più cospicua dei loro autori.
Forse gemmerà un movimento alternativo, indebolendo ancor più il consenso totale già dimezzato. Forse ne prenderà le redini Di Battista e lo collocherà all’estrema sinistra sognatrice e parolaia. Il corpo più consistente andrà a finire nel limbo opaco del centrosinistra, questo sì davvero populista, e contenderà a un PD in perenne trasformazione interna l’elettorato delle anime belle.
Il PD a sua volta ci riprova con Enrico Letta. dopo la parentesi di Zingaretti, il re del romanesco “volemose bene”, ha sentito il bisogno di riproporsi come il partito dei migliori. Con Letta pare riuscirci: è riapparsa la spocchia dei primi della classe, dei detentori di verità e di virtu’, la rappresentanza degli intellettuali di sinistra intolleranti verso qualunque espressione fuori dal politicamente corretto definito secondo il loro vangelo da cui derivare il comportamento sia di vita che elettorale. e chi non vi si adegua non è uno che la pensa in modo diverso, bensì è un individuo socialmente pericoloso o è un cretino.
Così facendo non colma il divario fra la “base” e il vertice, e ha un bel dargli una mano Papa Francesco: pur col suo esplicito sostegno, il PD non decolla. Per di più c’è da prevedere che, col passare a miglior vita dei vecchi comunisti, la “base” si indebolisca. La debolezza si estende alla funzione della Cgil, la “cinghia di trasmissione” in declino di rappresentanza ma a cui il sistema garantisce ancora una sua forza contrattuale che continua a spendere nel modo più disinvolto, ma, come sta succedendo nella magistratura, tende a giocarla per sé e non più per il suo Dante Causa Politico. Anche qui lo schema attuale del PD di Letta sembra in declino perché’ gli vengono meno due assi portanti del suo potere: sindacati e magistratura di sinistra. gli restano la spocchia del primo della classe e gli intellettuali che, sostenendola, sostengono se stessi. a quando l’abbandono anche di costoro? a quando troveranno una nuova e più confortevole accoglienza.
Del resto la storia dice che gli intellettuali preparano le rivoluzioni ma ne delegano al “popolo” la attuazione e i rischi connessi. Se la rivoluzione abortisce il “popolo” ne paga le conseguenze, se è vittoriosa il “popolo” è estromesso e gli intellettuali rivoluzionari ne godono i vantaggi.
Oggi i due partiti, insieme ai relitti della sinistra estrema, difendono la parte di elettorato da cui traggono la maggior parte dei voti: il vastissimo pubblico impiego, i lavoratori garantiti, i pensionati: in una parola i percettori di reddito fisso che a fine mese si vedono accreditati gli stessi emolumenti di pre covid. Siccome, anche volendo, è molto più difficile in tempo di pandemia spendere soldi in bisogni secondari, costoro hanno risparmiato nel 2020 185 miliardi di € che sono finiti nel sistema del credito e qui giacciono non trovando la via degli investimenti, veicolabili solo dalla classe produttiva: se disincentivi ed reprimi gli istinti produttivi, la disponibilità finanziaria non produce ricchezza e alla lunga è prevedibile che diventi carta straccia.
Abbandonano invece tutti gli altri con un “classismo” esemplare.
Dopo “l’uno vale uno” e la dittatura del proletariato, il pacifismo, l’ambiente, oggi l’arma più ‘ usata è quella della salute pubblica: il rigore dei lockdown, la denunzia quotidiana dei rischi che chi vuole “aprire” fa correre all’Italia. I suoi scopi turpemente elettorali: chi fa campagna elettorale sono invece i due partiti con la difesa strenua delle posizioni di vantaggio di cui il loro elettorato oggi gode.
Dall’altra parte Forza Italia non ha faticato: il progetto Draghi è molto coerente con il suo. ha fermato l’emorragia e vive minori incubi. E’ sufficientemente coerente per non dover spiegare alcuna mutazione genetica a iscritti ed elettori.
FDI ha scelto di starne fuori: all’interno il suo elettorato storico è abituato più di qualunque altro alla opposizione: nessun trauma, anzi un pizzico dell’antico eroismo degli esclusi dall’arco democratico e quindi ancor maggiore coesione. all’esterno sta raccogliendo tutto il dissenso residuo. non ha obblighi di governo, non deve spiegare nessun cambio di progetto: è coerente. ma il suo quasi 20% rappresenta un dissenso verso il resto dello schieramento, non rappresenta un consenso al suo progetto: se fossimo in grado di spacchettarlo, quel 20% riserverebbe sorprese: lo spacchetteranno gli elettori.
La Lega: i vertici sono entrati nel governo draghi, hanno perseguito all’improvviso un progetto diverso, in qualche punto anche divergente.
Non hanno dato né ritengono opportuno darne spiegazione (giustificazione?) né agli iscritti e attraverso loro agli elettori.
Del resto per comunicare a valle servono tuttora militanti disposti ad andare in mezzo alla gente a spiegare. La loro sostituzione con gli hashtag colpisce categorie di utenti anagraficamente, ma anche culturalmente, definite. Quelli che hanno da 60 anni in su sono poco propensi al loro uso e poco sensibili al messaggio asettico. Hanno bisogno di contatto, di sudore, di saliva: pensiamo al PCI che ha sparato bufale credute per 60 anni da un terzo degli italiani: dove? Alle feste dell’unità, fra una salamella e un comizio.
E la Dc prendeva i consensi parlando con la gente sui sagrati delle chiese. Entrambi “partiti popolari” come in origine voleva essere la Lega. Ricordate il “sindacato del territorio”?
Noto che i vertici non hanno eccepito. Usque tandem? I sondaggi sono negativi, il trend di calo è consolidato e tutto a vantaggio di FDI. Se è vero che Salvini ha ereditato una lega al 4% è altrettanto vero il declino di consensi odierno.
Doveva star fuori dal governo Draghi? Secondo me no: doveva e deve spiegare alla gente perché ci è entrato e perché ha cambiato il suo progetto. ma non lo può fare perché Salvini ha accoppato il partito che oggi ha una inerzia quasi mortale, e lo ha sostituto con se stesso e con qualche centinaia di fedeli eletti che non parlano più con la gente.
Stando così le cose, molto più prima che poi il dissenso troverà qualcuno che ne assumerà la rappresentanza e proverà a discutere e magari ad opporsi, con quel coraggio che non sembra trovare spazio oggi fra i sub comandanti pur competenti e amati di cui anche oggi la Lega dispone.
E nel frattempo i “cespugli” come Renzi, Calenda, Toti e quelli che nemmeno sono cespugli ma esili fili d’erba nel bosco della politica, stanno studiando “grandi centri”. Non c’è tanto da ridere: In Italia si è sempre vinto al centro.