Parafrasando la massima di un celebre economista renano di origini ebraiche: “uno spettro si aggira per il Veneto, lo spettro dell’illustrissimo”.
Mi ero chiesto spesso di dove venisse la fascinazione che vasta parte dell’opinione pubblica sedicente “venetista indipendentista” subiva nei confronti delle posizioni filo putiniane. Mi risultava difficile da capire per quale motivo i movimenti autonomisti e indipendentisti europei fossero schierati senza eccezioni dalla parte dell’Ucraina aggredita dalla Russia neosovietica di Putin, mentre il Veneto, che la narrazione mainstream italica raccontava essere la terra del ribellismo, vedeva gli indipendentisti schierati praticamente a falange compatta su posizioni filorusse, volte a giustificare, quando non a plaudire apertamente, “all’operazione speciale” del tiranno asiatico contro l’Ucraina.
Non mi tornava proprio come i sedicenti indipendentisti si prestassero ad essere gli “utili idioti” del Cremlino, come si sarebbe detto ai tempi della cortina di ferro, riferendosi però al PCI di allora. Non c’è praticamente fesseria della propaganda neosovietica che i venetisti non si bevano; dall’inesistente “genocidio dei russi del Donbass” alla “Minaccia della Nato contro la Russia” che “avrebbe provocato la sua reazione”.
Per quali motivi il sentire venetista, variegato finché si vuole ma a parole anticentralista, può provare simpatie per una tirannia euroasiatica? (in realtà più “asiatica” che ”Euro”).
La riposta, come molto spesso capita, è nella Storia. Il Veneto ha il servaggio nel DNA.
La fascinazione che larga parte dell’indipendentismo veneto ha per il satrapo orientale che siede al Cremlino non è altro che l’ennesima versione del “lustrissimo” a cui i veneti piegano la schiena da generazioni. Si attaglia perfettamente al mito della Serenissima, città stato oligarchica, che aveva due colonie: La “Signoria de Mar” e la “Signoria de Téra”, quest’ultima che dalla riviera Adriatica del Veneto penetrava in profondità in Lombardia. Come il sistema di potere fosse “veneziacentrico” è ben noto e non serve tornarci in questa sede. Ci interessa di più osservare come il suo fantasma abbia dato l’imprinting e permeato la cultura e l’immaginario veneto nel corso dei secoli. Una parte del Veneto tutt’oggi si mette in maschera e glorifica le “cernide” di contadini che cercarono di opporsi ai soldati di Napoleone, per difendere i privilegi di censo e di casta dei nobili locali che le guidavano, oppure travestendosi in una sorta di cosplay nostalgico da “schiavoni”, soldati della Repubblica Veneta il cui nome è rivelatore del sentire veneto.
La narrazione del Veneto che china la testa e lavora, paradossalmente, viene proprio da questo retroterra culturale. E – in questo caso meno paradossalmente – è la narrazione che più ha fregato (per non usare altri termini più coloriti), il Veneto per secoli. Qualsiasi cosa succederà a un veneto, potrete star certi che mal che vada si lamenterà (oggi ha pure i social che sostituiscono la tradizionale osteria per farlo), ma alla fine chinerà il capo e si metterà a lavorare. “perché gli hanno insegnato così” O più prosaicamente perché è passato da un servaggio all’altro, finendo evidentemente per trovarcisi bene. Il paradosso della narrazione storica veneta è che essa si focalizza sul secolare dominio veneziano, che relegava il Veneto allo status di colonia, piuttosto che su esperienze politiche autenticamente endogene, come ad esempio le Signorie tardomedioevali. Oppure lo stato (tirannico) di quell’Ezzelino da Romano che da morto subì di una pessima stampa. La sottomissione alla secolare dominazione veneziana ha marchiato il DNA dei veneti per generazioni e generazioni.
Volete la controprova? Basta pensare alla divisione nella Lega tra governisti, in buona parte veneti capitanati da Zaia, e “rotturisti” che ha tenuto banco prima della sfiducia de facto di Salvini a Draghi. Tutti i proclami bellicosi dei governisti sono finiti come le famose lacrime nella pioggia del Replicante Roy Batty in “Blade Runner” e tutto è stato normalizzato in un bel “YES” alla dirigenza nazionale. “L’Illustrissimo” che sonnecchia in ogni veneto è ciò che conferisce la “dignità”, se la vogliamo chiamare così, agli “YesMen” veneti dell’ormai ex carroccio, sempre pronti a rientrar nei ranghi nonostante le lamentele, perché il Veneto obbedisce al capo (e tace) da generazioni. I dogi 2.0 dei veneti ora sono il giovanotto Salvini oppure Vladimir Putin. Infatti, che cosa è se non nostalgia del servaggio la sudditanza di fatto che il Veneto, cassaforte dei voti della Lega, ha sempre avuto nei confronti della Lombardia? In Lombardia da sempre il voto leghista ha la metà del peso che ha in Veneto in termini percentuali, ma praticamente tutte le cariche apicali del movimento sono appannaggio dei Lombardi. Lo stesso “Doge” Zaia della vittoria plebiscitaria con quasi l’80% dei consensi dei votanti, che per un certo periodo è stato visto come possibile “antisalvini”, in realtà non ha nessunissima intenzione di puntare alla segreteria del partito, sembrando quasi preferire il ruolo più defilato del n° 2. Zaia è un veneto e in fin dei conti i veneti sono persone semplici, un po’ come li disegnano nelle barzellette. E come tutte le persone semplici hanno bisogno di poco. Soprattutto hanno bisogno di qualcuno da chiamare “Lustrissimo”., a Venezia, a Milano o a Mosca.