Fra le varie intemerate con cui Calenda ci intrattiene, Gianni Fava rileva ed enfatizza quella dei voti forse disponibili (per Calenda!) nelle viscere profonde dell’ex leghismo, nella Padania felix, nelle valli che l’Umberto percorreva in virtuale compagnia dell’Albertone da Giussano, fra gli impronunciabili echi dei consensi dei valligiani e la copiosità dei loro voti:
La cassaforte della Lega, insieme al Veneto “profondo”, la cassaforte che Salvini ha svuotato in quasi 10 anni di segreteria federale, arrivando perfino a cambiarle nome, a “rapinare” i valligiani della loro Padania. Un patrimonio storico e di coesione che ha permesso una imponente impennata di benessere e di promozione: non più polenta e saracca, oggi caviale e champagne, trifola e Franciacorta, quando non Pouilly Fumé. L’opulenza guadagnata sul campo con l’impegno, col farsi il mazzo, col rischiare. Altro che reddito di cittadinanza!
I valligiani sono gente dura e determinata poco propensa all’arte del compromesso: uno dei meriti della Lega “storica” è quello di aver offerto un esito “costituzionale”, protestatario ma non rivoluzionario, al diffuso malessere che negli anni 90 serpeggiava nelle valli, preso in carico e in rappresentanza fino a poco tempo fa. Espresso democraticamente, nelle urne, nelle piazze, nei riti, nei raduni, ma comunque mai con le pallottole o anche solo coi forconi.
Oggi invece trascurato e reso libero, sostituito da Salvini con altre priorità, più “nazionali”, meno specifiche.
In questi giorni Salvini ha dettato le liste dei candidati. Gli amici sostituiscono i “mediatori” del territorio che capiscono e sono capiti dai valligiani (e se per questo anche dai lombardi, dai veneti, dai piemontesi, fino ai toscani). Intere aree ora rappresentate dai famosi paracadutati che ignorano i problemi, la cultura e perfino la lingua di quelli a cui chiedono i voti: le barriere, a cominciare da quella linguistico/dialettale, sono sempre più alte.
Salvini ha reso ancor più libero e contendibile il patrimonio di rappresentanza dei valligiani e di gran parte del Centro/Nord, fino a Toscana e Umbria.
Ma che sia Calenda ad aggiudicarselo è molto dubbio.
Intanto c’è il programma del “terzo polo” che poi altro non è se non la faticosa coalizione fra due prime donne con identica caratteristica di autoreferenzialità (Calenda e Renzi: una bella gara!) e il 5% circa dei consensi elettorali.
Il programma ha due assenze:
– quella di ogni ipotesi di maggiore autonomia regionale: la struttura costituzionale come modificata dal prodiano titolo V non è sfiorata. Si desume che vada confermata così come è: regionalismo solidale. Nessun aumento delle autonomie regionali. Neanche all’ordine del giorno.
– quella della questione settentrionale. Il Nord sta bene come è, la sua funzione di soggetto che ha l’obbligo (peraltro anche morale: chi vi si sottrae fa peccato di egoismo) di trainare l’economia nazionale, di produrre la ricchezza, redistribuita col criterio della solidarietà prodiana, ai concittadini più “sfortunati” a prescindere da meriti e competenze. Anche se costoro continuano a sentirsi derubati: il Nord ha rapinato il Meridione, pezzi di storia patria interamente reinventati, magnificate inesistenti ricchezze diffuse e perfino modernità borbonica! Una classe dirigente allergica ai rischi, in difesa di privilegi e assiomi, fino ad organizzarsi in bande criminali a difesa dell’esistente privilegio. Gianfranco Miglio provocava: la macroregione Mediterranea gestita dalla criminalità organizzata, espressione della cultura territoriale, in sintonia con il genius loci.
Alcune “sinistre” presenze:
– insistenza nella Agenzia per il Sud: l’ultima etichetta messa sul noto e consueto vaso di Pandora da cui le elite meridionali traggono il potere (economico e non solo) e mantengono la clientela locale. Oggi il contenuto del vaso di Pandora è quello previsto dal Titolo V della Costituzione e dunque dal federalismo solidale. Guai a chi lo tocca! E Calenda ben si guarda dal farlo.
– le nuove forme di agevolazioni economica al Sud: le ZEF, il 40% dei soldi del PNRR, la conferma dei precedenti investimenti, lasciando identico il contesto. Nulla è richiesto in cambio ai beneficiati.
Poi ci sono le stigmate originarie: Calenda Carlo, romano doc, con una parentela tutta da generone di sinistra moderata (dai nonni registi ed economisti, principesse e diplomatici, alla madre ex Lotta Continua, militante arcobaleno, anti Berlusconi, e – da borghese – profondamente anti borghese). Il suo curriculum con Montezemolo (Ferrari e Confindustria), infine la sua carriera politica di scudiero del PD.
Conquistare i voti dei valligiani con queste premesse non è compito facile. Sarei davvero sorpreso se costoro, insieme agli altri lombardi, ai triveneti, e giù per Piemonte, Liguria fino all’Umbria, delegassero Calenda a rappresentare le loro aspirazioni che paiono antitetiche. Caso mai Renzi potrebbe offrire qualcosa in più.
Credo che gli idiomi siano barriere ostative, ma ancor peggio: se si capissero ne uscirebbero zuffe e baruffe molto più che deleghe e rappresentanze.
Forse i valligiani, come buona parte degli ex leghisti, si asterranno in attesa che qualcosa succeda dentro o fuori dalla Lega, ma in coerenza con le loro attese, con le loro speranze.
E qui si aprirebbe un altro capitolo che Fava si rifiuta di aprire: può darsi che il capitolo si apra da sé dopo il 25 di settembre.