C’è da ringraziare la D.C. (e la maggioranza degli italiani che l’hanno sostenuta) per averci consegnato un Paese immune dal comunismo e dai fanatismi teocratici islamici.
Penso con orrore a come sarebbe la vita mia e delle mie figlie se vivessimo in Iran o in uno qualunque degli altri Paesi islamici. Dovunque regna la sharia e dunque le limitazioni al vivere civile: Afghanistan, Arabia Saudita, Yemen, Sudan, Pakistan, e così di seguito: non c’è uno Stato islamico in cui vivrei.
Però neanche vivrei in Corea del Nord o in Cina o a Cuba o in Venezuela e da qualche tempo neanche in Nicaragua.
Ma l’Iran è un caso a parte. Si chiamava Persia e da millenni la Persia fa parte del nostro orizzonte: Ciro il Grande, le sconfitte di Serse in Grecia che permisero la sopravvivenza della cultura occidentale, la Anabasi, Alessandro Magno, i Parti che si opposero all’impero Romano. Da ultimo Mossadeq e Mattei, lo Shia e Soraya, i loro tentativi di modernizzazione, il loro esilio con l’avvento della forza oscura: gli ayatollah e il balzo all’indietro di secoli con la applicazione della sharia. Per oltre 40 anni e fino ad oggi.
Difficile contare i morti lasciati per strada dall’oscurantismo degli Ayatollah supportato dalla fascia fanatica dei laici sempre presente in ogni Paese ma qui particolarmente attiva e beneficata. È un patto infernale che miete vittime di ogni genere e per motivi diversi.
I ragazzi mandati a sminare i campi minati, a decine di migliaia, dall’Ayatollah Khomeini nella guerra contro l’Iraq, le repressioni nel corso dei 40 anni di dominio, anzi di abominio, fino ai 176 passeggeri del volo PS 725 delle linee aeree ucraine abbattuto l’8 gennaio 2020 da un missile dei pasdaran. La tracotanza di questi cialtroni, gli intrecci geopolitici e la debolezza delle democrazie occidentali non permettono di punire i colpevoli delle stragi accumulate in 40 anni di ferocia.
Fra le vittime il popolo Curdo, sparso fra Turchia, Iraq, Siria e Iran. Perseguitato da tutti ma in grado di difendersi e di procurare mal di pancia ad Al Qaeda, ad Assad, ai turbantoni iraniani, al satrapo turco Erdogan. Di credo sunnita, scuola Sciafeita: una delle meno arcaiche e meno intolleranti fra il ginepraio delle innumerevoli desinenze dell’islamismo. In prevalenza filo occidentali. Sui Curdi si abbatte l’onda delle repressioni dello sciita Khamenei: il regime coglie l’occasione per fare un po’ di pulizia etnica e religiosa, tanto mille più, mille meno, nel mucchio dei cadaveri che accatasta si notano poco.
Le proteste questa volta non si fermano ai ragazzi e alle ragazze che per la terza volta vanno sulle piazze rischiando letteralmente la pelle solo perché gridano “libertà”. Questa volta hanno coinvolto persiani di ogni ceto, età, mestiere: una deriva prerivoluzionaria che potrebbe concludere la parabola diabolica degli Ayatollah e dei loro complici.
I rivoltosi invocano le nostre democrazie aperte, quelle che noi difendiamo con svogliatezza e negligenza: siamo disattenti, siamo cretini.
La questione non si ferma all’interno dell’Iran, riguarda una bella fetta di geopolitica: Una vittoria della rivoluzione sospenderebbe la vendita di droni alla Russia, rivedrebbe il programma atomico che tanto impaurisce il mondo libero: la bomba atomica in mano a questa gentaglia è davvero un incubo, destabilizzerebbe gli Hezbollah che opprimono il Libano e minacciano Israele. L’unico Stato che potrebbe sostituire l’Iran per mantenerli potrebbe essere il solito Qatar sempre a mezzo col suo PIL di oltre 200 miliardi di $ distribuito in giro per il mondo per corrompere e coltivare le megalomanie di questo gigante energetico, nano politico, cinico pericolo.
Trova ascoltatori attenti, di ogni provenienza: il campionato del mondo di calcio in un paesino che neanche sa se la palla sia tonda o quadrata. Ma lo stesso in Africa, fino a Bruxelles: anime belle in vendita, compratore con il portafoglio gonfio: affare fatto!
Per questo la rivoluzione è difficile, i riti delle nostre democrazie, il vizio costante di “toccarselo con la camicia”, il politicamente corretto, il rituale stracciamento di vesti, clamoroso ed eloquente, seguito dal nulla successivo: sono evidenti freni tanto che in Italia solo i radicali chiamano la gente a protestare in piazza, gli altri partiti fanno qualche comunicato di mugugno e poi i pesci in barile, i giornaloni mettono in diciassettesima pagina gli scarni resoconti della vicenda, le televisioni mandano qualche immagine “di repertorio”, le radio continuano con le cantilene e le percussioni afro americane in una allegra polifonia come sul Titanic, incuranti se la nave affonda, il Papa non ha detto una parola, in nome del dialogo fra le fedi come da disegno dell’irenismo di Assisi (risultato: tu accoppi i cristiani nel mondo, io prego e non ti condanno).
I ragazzi iraniani continuano a protestare e a morire, in piazza, in prigione, nella casa del boia. La corda è molto tesa, spero che si rompa e che i Paesi occidentali trovino la sufficiente durezza di attributi per ritirare i propri ambasciatori in Iran e cacciare gli ambasciatori iraniani: nulla abbiamo da spartire con i delinquenti.
C’è da chiedersi che cosa nasconda la svogliatezza dell’informazione, la timidezza delle condanne, l’assenza di ritorsioni che hanno lasciato sole le ragazze iraniane costringendole per mesi a mettersi nel consapevole rischio di morire impiccate o bastonate o stuprate.
Duole registrare il mortale silenzio delle organizzazioni della sinistra militante, femminista o LBGeccetera, così enfatica nel pretendere diritti sempre più ampi in Patria. Duole registrare l’assenza della U.E. Duole registrare il disinteresse del passato governo. C’è da sperare che il nuovo si scuota e prenda le distanze dai cialtroni col turbante. Duole registrare l’inerzia di tutti i partiti e i gruppi politici: neanche la Lega ha qualcosa da dire in argomento?