Apprezzo e condivido la modalità con cui Sciretti approccia gli argomenti: anche lui utilizza la chiave logica galileiana del “tentando e ritentando” nell’esame delle ipotesi.
Mi pare che condividiamo alcune considerazioni riguardanti la Lega per Salvini premier; ho invece qualche dubbio sulla sua recisa e decisa negazione di una via alternativa alla secessione del Nord per le incurabili malattie del Sud Italia: non c’è soluzione autonomista o addirittura federalista che tenga, l’inconciliabilità fra le due anime dell’Italia è conclusiva e ferma nel tempo.
In realtà le diagnosi e i suggerimenti storici, soprattutto le iniziative dirette, normative e formali, vanno tutte nella direzione di questa inconciliabilità. Per memoria: dal 1950, Cassa del mezzogiorno, AGENSUD, IRI, EFIM, ENI, C.D.P., Invitalia per citare solo i più noti (e i più costosi) interventi economici governativi che si sono succeduti fino ad oggi.
Non hanno cavato il ragno dal buco.
Vi si aggiungono gli interventi degli enti locali e per buon peso le anomalie e le informalità: esemplare la rapina compiuta da politici (di sinistra e poi i soliti grillini), sindacati, enti territoriali e governo centrale ai danni della famiglia Riva con la confisca dell’ILVA di Taranto.
Infine la distribuzione del reddito di cittadinanza (70% di percettori a Sud) ha messo il suggello più recente.
Tutto vero.
Tuttavia “tentando e ritentando” la speranza sopravvive perché la mobilità interna dimostra che il concittadino meridionale trasferito a Nord abbandona la mistica dell’assistenzialismo di Stato, investe e rischia, diventa “lombardo” se si trapianta in Lombardia (ma anche nel resto del Nord), o lo diventano i figli.
Sembra dunque che ci sia una sorta di genius loci culturale che blocca le iniziative a Sud negli stessi soggetti che imprendono a Nord. Ci si aggiungono le varie mafie.
Dunque la speranza è l’alfabetismo imprenditoriale di ritorno: c’è in atto un reshoring internazionale (dall’estero alla terra di origine) che riguarda tutto il mondo economico, ma c’è anche un reshoring interno che induce i più dinamici dei giovani nostrani a tornare alle origini natie e a tentarvi la sorte del rischio di impresa: nel turismo, in viticoltura, agricoltura e allevamento (lupi permettendo).
La mia speranza non si spegne.
Quanto allo specifico contenuto dell’articolo di Sciretti:
a me pare che non ci sia mai stato un tentativo di lombardizzare il Sud: il piemontese Cavour costituì la citata Commissione Giulini della Porta per conservare la normativa austriaca in Lombardia, preservandola dal “contagio” delle normative piemontesi. Rattazzi la abolì subito dopo e “piemontizzò” tutti i territori annessi (l’intera Italia) alla dinastia sabauda provocando i danni tuttora esistenti.
Ma rimane il fatto che la Commissioni Giulini della Porta non si occupò specificamente del Sud Italia all’epoca (1859) ancor borbonica.
L’idea che Cavour sembra avesse dell’unità d’Italia era di stampo federalista: morì troppo presto.
Prevalse e fu imposta l’idea centralista di stampo piemontese che, per dirla con G.F. Miglio (vedi “Io, Bossi e la Lega”, Mondadori 1994), fece “indossare a un gigante il vestito di un nano”. Provocando quello che sempre Miglio chiamava il “cripto federalismo”: di fatto ogni territorio declinava a modo proprio la norma nazionale. Soprattutto in Sicilia avviene tuttora.
La differenza Nord/Sud a me pare schiettamente culturale con radici profonde e remote. Senza voler fare la storia che ha ben altre esigenze che queste due righe, a me pare che quasi trecento anni di dominazione islamica abbiano inserito nei siciliani il demone dell’inshallah. Troppo breve il governo dei normanni: lo stupor mundi (Federico II) non campò abbastanza e non ebbe eredi del suo livello. La parentesi francese degli Angiò fu di pura rapina. I Borboni governarono il Regno delle due Sicilie attraverso un patto di rappresentanza sul territorio del potere regale: il burocrate borbonico non fu mai un civil servant, un soggetto pagato dai tributi dei cittadini e come tale al loro servizio, rappresentava invece il potere del re. Da cui: stipendi bassi, nessuna esigenza di produttività, nessun obbligo a prestare servizi ai cittadini; obbligo di rappresentanza e nient’altro. Quando il cittadino aveva bisogno dell’intervento del pubblico ufficiale doveva pagarselo perché questo sevizio esorbitava dal contratto che governava i rapporti monarca/burocrate.
A me pare che la cultura del pubblico dipendente meridionale abbia conservato molte di queste caratteristiche e la relativa sacralità di intoccabile perché rappresentante del potere.
La speranza sta nella carenza di risorse da investire nel Sud a fondo perso, nella esigenza di produrre ricchezza territoriale sulle “filiere corte”, nel reshoring di ragazzi che hanno imparato a Nord a fare impresa, a pretendere un maggior rispetto dei diritti del cittadino da parte dell’onnipotente burocrate, a non amare le mafie come facevano i loro avi: l’adozione di un po’ di giansenismo lombardo.
Che dici Sciretti, tutte bufale che ha in testa il sottoscritto o c’è un minimo di speranza?