Agli inizi degli anni duemila ho avuto la fortuna di incappare nella lettura di un romanzo che ha condizionato molto i miei interessi ed opinioni. “Neve” del premio Nobel Orahn Pamuk (uno dei miei autori contemporanei preferiti) mi ha colpito forte come un cazzotto nello stomaco.
Il racconto di una vicenda ambientata in occasione di un colpo di Stato, nella cittadina turca di Kars, di fatto rappresenta il pretesto per mettere a nudo e approfondire in modo quasi maniacale le differenze fra la cultura occidentale ed orientale, da sempre intrigante caratteristica del paese a Cavallo fra due continenti.
La trama è quella di un giallo dove Ka, poeta turco da anni in Germania torna al confine fra Turchia ed Armenia per indagare sulla morte di alcune donne apparentemente suicide. Nel mezzo, come in molti romanzi, una storia d’amore e un conflitto irrisolto fra forze laiche e forze religiose nel paese nell’era che anticipava l’ascesa al potere di Ataturk. Scontri, morti, guerra civile , il dramma dell’imposizione del velo per le donne e tanto altro, ma sullo sfondo la irrisolta questione armena.
Quella lettura fece cresce in me una curiosità molto forte che mi portò negli anni successivi a leggere molte cose su uno dei temi politicamente più controversi del secolo scorso. Come era possibile che una democrazia laica e tutto sommato moderna, come quella turca che si stava formando in quel periodo potesse concepire un vero e proprio genocidio ai danni di una popolazione, fino a determinarne quasi l’estinzione? Come poteva accadere tutto ciò nello stesso periodo in cui in quel paese si lottava per l’affermazione di principi laici in costituzione per evitare la crescita e l’affermazione di partiti confessionali di matrice islamica ,che avrebbero allontanato la Turchia definitivamente dal modello occidentale ? Difficile rispondere ancora oggi.
Di certo la posizione ufficiale del governo turco, sul tema, resta ambigua. Si è disquisito a lungo sul fatto che le morti degli armeni durante quelli che vengono derubricati a semplici “trasferimenti” o “deportazioni” non possano essere considerate genocidio. Addirittura negli anni si è tentata la giustificazione politica sostenendo che gli armeni di fatto spalleggiassero la Russia e fossero un pericolo per l’Occidente. A distanza di un secolo ancora oggi è chiaro il fatto che solo parlare di questione armena scatena reazioni da parte del governo turco e pertanto in questi decenni a parte la Francia (seguita solo da Germania e Russia), pochi governi o parlamenti europei hanno reso giustizia alla storia definendo quella vicenda col proprio nome.
Ma una volta tanto voglio parlare di una buona notizia di casa nostra. Nei giorni scorsi la camera dei deputati ha approvato una mozione che impegna il governo a «riconoscere ufficialmente il genocidio armeno e a darne risonanza internazionale».
La mozione è passata a stragrande maggioranza e comunque senza voti contrari, fra gli applausi del parlamento. Questa cosa in Italia è ovviamente passata, nel consueto disinteresse generale, quasi sotto silenzio, anche se a mio avviso rappresenta una svolta epocale tanto nelle relazioni con la Turchia, quanto nell’affermazione della verità.
Ovviamente le reazioni turche non sono tardate con l’Akp del presidente Recep Erdogan che ha «condannato fermamente la mozione proposta nel Parlamento italiano sugli avvenimenti del 1915». Nei giorni successivi il ministro degli Esteri di Ankara ha convocato l’ambasciatore italiano, Massimo Gaiani, per chiedere chiarimenti ed esprimere «dispiacere». Conseguenza tanto naturale quanto scontata da parte di un governo che insiste a non riconoscere in quanto genocidio i massacri di cittadini armeni dal 1915 in poi.
Un secolo passato inutilmente di fatto per buona parte dell’opinione pubblica turca e dei suoi governanti che continuano a negare che ciò sia avvenuto a causa di una palese discriminazione etnica e religiosa di un popolo Cristiano nel bel mezzo di una zona a prevalenza islamica. Di certo non credo ci si possa aspettare che a riconoscere e superare la questione possa essere il governo di in conservatore a capo di un partito confessionale quale è Erdogan.
Prendo atto però che stavolta il parlamento italiano ha avuto il coraggio di intraprendere una strada difficile, piena di insidie diplomatiche, ma giusta e necessaria. Una volta tanto ho la sensazione che anche la Camera dei Deputati possa avere una propria utilità.