FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

Altro che banche, i paradisi fiscali funzionano perché sono piccoli (e liberi)

Si parla tanto dei paradisi fiscali e la narrazione tipica negli Stati nazionali è che essi siano ricchi solo grazie alle banche e alle manovre losche di altrettanto loschi faccendieri che portano i soldi evasi, lasciando alla canna del gas i nostri stati sociali.

Sia chiaro: Dove ci sono banche ci sono soldi, dove ci sono soldi ci sono soldi sporchi, non esistono eccezioni. Ma oggi voglio proporvi una visione alternativa sul tema. I paradisi fiscali non sono parassiti, tutt’altro, sono Stati che funzionano e siamo noi ad avere grossi problemi.

E perché i paradisi fiscali funzionano? Perché sono piccoli e liberi. Probabilmente la cosa più simile ad uno Stato “normale” ad essere un paradiso fiscale sono i Paesi Bassi, che a livello economico, territoriale e politico potremmo paragonare a Lombardia, Veneto ed Emilia. Ma più che un paradiso fiscale erga omnes i Paesi Bassi sono un Paese con un sistema fiscale corretto e che funziona abbastanza bene, a tal punto da poter proporre accordi vantaggiosi alle multinazionali.

Se andiamo a vedere i paradisi fiscali che lo sono per tutti vediamo quasi sempre Stati piccini come il Liechtenstein o il Lussemburgo e la narrazione statalista è che solo Stati piccoli possono permettersi di avere tasse basse e ilsegreto bancario, che sarebbe l’unica ragione del loro successo.

L’esempio del Liechtenstein

Ma guardiamo ai fatti. Il Liechtenstein, per esempio, ha leggi sul segreto bancario fin dall’inizio del secolo scorso. Eppure il boom del PIL c’è stato solo negli anni ’90. Come mai?

Semplicemente perché il Liechtenstein è stato governato bene e ha scelto di essere un Paese in cui produrre reddito è semplice. Prima che il Principe Francesco Giuseppe, in fuga dall’Austria annessa dai nazisti, giungesse nel proprio Paese il Liechtenstein era povero, ma molto povero e viveva in larga parte di tessile, dipendendo quasi completamente dalla Svizzera in ciò, con l’aiuto delle donazioni della Famiglia regnante.

Piccolo problema: Quando la Cecoslovacchia si liberò dal nazismo sequestrò praticamente tutti i beni dei tedeschi, e i Liechtenstein – che tra Boemia e Moravia avevano bei patrimoni – vennero considerati tali. Più del 90% del patrimonio dei Von Liechtenstein era perduto, le aziende di famiglia andavano male e il Principe iniziò a vendere i quadri della propria collezione per finanziarsi.

Al che i cittadini iniziarono ad ingegnarsi e il settore manifatturiero divenne il settore guida del Paese: Se avete un trapano Hilti, ad esempio, state apprezzando della tecnologia del Liechtenstein. E inoltre il Liechtenstein deve molta della propria ricchezza ai denti finti: L’unico miliardario del Paese, oltre ovviamente al ricco Principe, è Christoph Zeller, presidente di Ivoclar Vivadent.

Ma fino all’incoronazione di Giovanni Adamo il PIL era sempre inferiore al miliardo di dollari. Cos’è cambiato nel frattempo?

Che Giovanni Adamo è un uomo intelligente e sa che uno Stato, per quanto piccolo, dev’essere uno Stato. E quindi fece aderire – con un certo tira e molla con il Parlamento – il Paese allo Spazio Economico Europeo e all’Associazione Europea del Libero Scambio.

Il Liechtenstein non ha particolari risorse naturali. Quindi aderire ad un’associazione di libero scambio per loro è stato il momento di grazia: Poter commerciare liberamente con gran parte dell’Europa ha dato loro il boost definitivo per arrivare ad avere il PIL pro capite più alto del Pianeta.

E stupirà molti sapere come l’export del Liechtenstein sia di un miliardo superiore all’import e come le banche, sul PIL, contino meno dell’industria.

Cosa possiamo imparare dal Liechtenstein (e non solo)

Prima di tutto che non basta aprire una banca, scrivere fuori “ATM per fondi neri” e inviare un volantino pubblicitario via posta a “Egr. Stato Islamico, Raqqa” per diventare ricchi.

La dimensione dei paradisi fiscali ha favorito sicuramente la loro nascita. I piccoli Stati devono commerciare, non hanno opzioni. E quando non riescono più a commerciare fisicamente devono commerciare in servizi.

Gli Stati nazionali sono spesso chiusi al commercio internazionale per ragioni autarchiche, per “sostenere l’industria nazionale”, per “salvare i posti di lavoro”.

Non si rendono conto che per salvare il lavoro di pochi che potrebbero agilmente integrarsi nell’economia stanno in realtà rallentando quello che è il progresso tecnologico ed economico. E se anche tu credi che dazi e protezioni siano una strategia utile ti invito a leggere questo mio articolo in cui racconto di come l’ossessione per il made in Italy a tutti i costi non solo sia dannosa per l’economia ma stia, in realtà, distruggendo il riso italiano tipico.

I piccoli Stati semplicemente non hanno questa opzione e o commerciano o periscono.

Un’altra cosa che pesa nei paradisi fiscali è che raramente in un territorio piccolo c’è una comunità nazionale. Alcuni – come il Singapore – sono dei melting pot mentre altri – come il Liechtenstein – sono teoricamente parte di un’altra nazione.

Il sentimento di unità si deve trovare in altro rispetto che alle sirene del nazionalismo e ciò porta spesso a forti autonomie locali. Nel Liechtenstein, ad esempio, i comuni – oltre ad avere il diritto di secessionecoprono gran parte della spesa sociale e della tassazione.

Gli Stati nazionali cadono molto più spesso nella trappola del “tutti i cittadini devono essere uguali e quindi tutte le autonomie devono esserlo” e della solidarietà obbligatoria.

Piccolo problema, è impossibile per la natura umana e prendendo la fisica con un po’ di filosofia per realizzare un obiettivo impossibile servono infiniti soldi. Il Liechtenstein, saggiamente, ha rinunciato a questo folle obiettivo e ciò non può che aver giovato.

Terza cosa, questi Paesi hanno spessissimo regole semplici per le imprese: Lavorare in un paradiso fiscale è solitamente un piacere ed aprire un’impresa è un qualcosa di normale, a differenza di alcuni Stati (*coff* Italia *coff*) dove bisogna fare la corsa ad ostacoli per lavorare. Non per prendere il reddito di cittadinanza, che quello è facile da prendere.

Ma c’è un quarto punto non indifferente: Spesso questi Paesi delegano ad altri la difesa. Sappiamo bene come delegare la difesa voglia dire di fatto delegare la sovranità. E alla fine per essere prosperi bisogna rinunciare al dogma della sovranità!

Rinunciare alla sovranità?

Ciò che abbiamo visto nei passi precedenti è alla fine una rinuncia alla classica sovranità dello Stato: I commerci sono liberi, l’economia è libera, allo Stato resterebbe il monopolio del territorio.

Ma il Liechtenstein ha rinunciato anche a quello, sia verso l’alto – delegando la difesa alla Svizzera – sia verso il basso, permettendo ai comuni di secedere. Ma bisognerà pur difendere il territorio, no?

Finché i microstati sono l’eccezione basta trovare un qualche stato grande che benevolmente si occupi di ciò, ma se divenissero la regola?

Principalmente ci sarebbero due opzioni: La prima è quella di trasformare gli Stati odierni in confederazioni di comunità locali. Queste confederazioni si occuperebbero della difesa e di altre funzioni fondamentali che potrebbero essere troppo onerose per le comunità locali e, non imponendo niente a nessuno, potrebbero presumibilmente durare molto a lungo.

La seconda, presupponendo un improbabile crollo degli Stati odierni, vedrebbe i microstati confederarsi – magari a livello europeo – e devolvere parte del proprio bilancio per la difesa comune.

In caso di emergenza…

Resta chiaramente un problema: Le divisioni nazionali sarebbero meno acute ma esisterebbero. Se, ad esempio, Ungheria e Slovacchia – magari esistenti solo come enti confederali oppure solo come concetti – delegano la propria difesa ad un ente unico europeo nulla vieta ad estremisti ungheresi (non se la prendano gli ungheresi all’ascolto, ho fatto il primo esempio che mi è venuto in mente) di svegliarsi un giorno, prendere delle armi e tentare di rifondare l’Ungheria come Stato nazionale e nel mentre attaccare la Slovacchia, che per chi non lo sapesse è preda di rivendicazioni degli irredentisti ungheresi.

La prima soluzione che viene in mente è quella di permettere alle comunità locali di richiedere l’intervento dell’esercito unico in caso di necessità. Nel caso specifico probabilmente funzionerebbe, certo, ma vorrebbe dire, di fatto, delegare ogni potere effettivo a questa entità.

Nulla vieterebbe anche a questa entità di assumere connotazioni autoritarie e, ad esempio, impedire ad una delle comunità locali di secedere con la forza. Serve un contrappeso e, piaccia o meno, l’unico contrappeso è quello egregiamente espresso più di 200 anni fa dai padri fondatori americani:

Essendo necessaria, alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto

Dichiarazione dei Diritti degli Stati Uniti d’America

A noi europei una clausola del genere fa quasi paura ma basterebbe impostarla sul modello svizzero – magari senza l’obbligatorietà pesante come nel sistema elvetico – per renderla molto più digeribile.

Sia chiaro: in un sistema come quello idealizzato i conflitti sarebbero decisamente minori e le rivendicazioni irredentistiche difficilmente avrebbero il sostegno dei locali ma in ogni caso avere un’arma di difesa estrema non può che aiutare.

Una “Confederazione Spagnola” non si sognerebbe mai di impedire con una svolta autoritaria la secessione alle comunità che costituiscono la Catalogna se sa che la risposta non è lo Tsunami Democratico ma sono le pistolettate, diciamocela tutta.

Come diventare paradiso fiscale for dummies

Finite le dissertazioni secondarie possiamo passare al punto dell’articolo: Come diventare un paradiso fiscale.

Vediamolo insieme:

  • Per prima cosa bisogna ridurre nettamente spesa e potere dello Stato centrale. Un progetto come questo consentirebbe di ridurre il peso dello Stato centrale a circa 1/4 di quant’è ora e lo finanzierebbe solo tramite imposte indirette.
  • Per seconda cosa bisogna porre fine a qualsiasi velleità protezionistica: La chiave della prosperità è il commercio col mondo e se il prezzo è perdere la rarissima susina di Assiano, beh, conviene pagarlo.
  • Terza cosa bisogna stabilire una competizione libera tra comunità locali, ognuna lasciata libera di svilupparsi come meglio crede. Basta con le favole dell’uguaglianza forzata, facciamo in modo che le differenze siano la nostra forza

Non è tutto, chiaramente. Sarebbe sicuramente interessante un libro “Come diventare un paradiso fiscale – manuale pratico per governanti”, ma non è l’obiettivo dell’articolo. Volevo solo fare notare come la narrativa mainstream per cui i paradisi fiscali devono la propria ricchezza al rubare a qualcuno è semplicemente un modo di negare il proprio fallimento e che, con le giuste azioni, qualunque Stato potrebbe diventare migliore.

E nemmeno così, però, avremmo miriadi di paradisi fiscali. La teoria per cui la concorrenza fiscale porti all’asta al ribasso delle tasse e dei servizi si basa sul presupposto – errato – che l’unico esito interessante per le persone sia quello del pagare poche tasse.

Ma non è così: Anche una comunità che ha tasse mediamente alte ma in cambio offre tanto ha molto da offrire al mercato. Pensateci: Preferireste vivere in una comunità dove pagate il 5% di imposte sul reddito per rifare ogni tanto le strade o in una comunità dove pagate il 25% e in cambio avete una scuola rinomata, spazi d’aggregazione, trasporti pubblici accessibili e altri servizi utili? Qualcuno preferirà vivere nella prima, qualcun altro nella seconda. Entrambe hanno spazio di mercato.

La cosa bellissima di un sistema del genere – e in Liechtenstein può accadere – è che due comunità vicine possono essere completamente diverse e seguire queste logiche. E magari un’altra comunità ancora deciderà di essere la comunità pro anziani e chiederà tasse alte sulle pensioni in cambio di servizi eccellenti per la terza età, mentre la comunità accanto a sceglierà di essere la comunità di chi vuole mettere su famiglia mentre in un’altra comunità ancora ci si concentrerà a creare servizi eccellenti per una lingua locale della zona puntando al fatto che le spese verranno superate dagli introiti portati da chi ne farà uso.

Un enorme potenziale umano che oggi vediamo applicato – con limitazioni “in nome dell’uguaglianza” – solo su ampie basi che si libererebbe anche su territori più piccoli, in pratica.

Ma chiaramente un tipo di comunità perderebbe: Quella che chiede tanto ma offre poco. Chi vorrebbe vivere in una comunità del genere quando sarebbe sufficiente spostarsi di poco per avere più servizi pagando uguale o avere gli stessi servizi pagando meno?

E alla fine, gran parte degli stati odierni non sono forse comunità – molto in grande – di questo tipo?

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Informatico di giorno, spietato liberista che brama la secessione del Nord di notte. Con la libera circolazione, dato che amo la pizza.

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