FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

Tassa sulle merendine? Meglio ridare la scuola ai comuni

È una delle proposte del nuovo governo giallorosso, soprattutto del ministro Fioramonti, quella di tassare le merendine per finanziare di più la scuola, per circa un miliardo di euro l’anno.

E se vi parlassi di una manovra da 20 miliardi per migliorare l’istruzione italiana? Mi dareste del solito buffone che fa le cose coi soldi degli altri.

Ma, attenzione, la mia manovra è particolare: Non costa, ma fa risparmiare 20 miliardi. Sono pazzo?

No, è che noi italiani abbiamo la sindrome del camino: Siamo dell’idea che una cosa funzioni solo mettendoci soldi su soldi. Ma ciò funziona solo, appunto, nel camino. Giusto per esempio, Israele, che ha una delle migliori sanità al mondo, spende meno della media. Ma spende bene.

In Italia, purtroppo, i soldi spesi in istruzione sono malspesi: Le scuole pubbliche ogni tanto cadono a pezzi, la qualità cala di anno in anno, escono statistiche sempre più preoccupanti sulle abilità essenziali degli studenti e, nonostante l’alto costo, le scuole sono permanentemente con l’acqua alla gola e devono contare, fino talvolta a estorcerli, sui contributi volontari degli alunni.

In tutto questo allo Stato ogni studente costa circa 8’000 euro l’anno. E si potrebbe dire che, essendo un investimento sul futuro, si può accettare. Ma il problema è che un istituto privato può fornire la medesima istruzione con, al più, 5000€! In sostanza sprechiamo, ogni anno, circa 20 miliardi che potremmo investire in molto altro. Si potrebbe investire in tecnologie digitali per l’istruzione, nel miglioramento del sistema culturale e museale, invece li usiamo per il concorsone clientelare e per mantenere migliaia di bidelli e docenti in sovrannumero.

La riforma che serve

È da alcuni anni che ritengo necessaria una riforma che tolga allo Stato la gestione della scuola e istituisca un voucher di 5000€ l’anno per finanziare l’istruzione. Gli studenti, poi, potranno scegliere la propria scuola e che potrà essere una scuola comunale o di altra autonomia, no profit o privata. Descrivo questo sistema in questo articolo e, più sbrigativamente, qui.

Non è, chiaramente, una cosa che mi sono sognato la notte ma un sistema proposto da grandi economisti come Milton Friedman o Giovanni Adamo II del Liechtenstein, sperimentato con buoni risultati in alcune applicazioni , purtroppo parziali, in giro per il mondo.

Se quindi vuoi sapere perché e come dovremmo implementare un sistema del genere le letture indicate sono quelle linkate, mi limiterò dunque ad un breve riassunto.

I monopoli, sfavorendo la concorrenza, portano all’aumento dei prezzi e ad un calo della qualità. E, la scuola pubblica italiana, è un quasi-monopolio, per questo ha questi problemi. Quindi è necessario, se vogliamo risolverli e rendere la nostra istruzione un qualcosa di cui andare fieri sottoporre la scuola alle medesime logiche di mercato che ci permettono, ad esempio, di fare un pasto completo al giapponese mangiando fino a sazietà per 13€.

Non parlerò in questo momento di scuole no profit e private, ma solo di quelle delle autonomie locali. Infatti penso che per un sito come il nostro sia più interessante una visione autonomistica del fenomeno rispetto a quella meramente privatistica.

Perché scuole comunali?

Il comune ha due importanti caratteristiche: È l’ente più vicino al cittadino ed è l’ente più simile alle logiche aziendali che ci sia, in sostanza non può seguire il cammino che ha rovinato la scuola di Stato spendendo i soldi che avrebbero dovuto istruire i giovani per assumere migliaia di persone in cambio di voti.

E, inoltre, il cittadino nella cabina elettorale, può davvero influenzare l’andamento della propria scuola pubblica comunale, che sarebbe veramente una scuola di tutti.

Ma non sarebbe una dittatura della maggioranza: Chi non si trova bene con la scuola comunale può tranquillamente portare il proprio voucher altrove, che sia da un privato o da un altro comune.

Inoltre, la legge dovrebbe prevedere, pur rispettando la centralità dei comuni, la concorrenza di altri enti come province, frazioni, municipi e, in alcuni casi, regioni.

Chi ci guadagna?

Principalmente gli studenti. Non vedremmo mai più situazioni dove il figlio del benestante con problemi (di qualsiasi genere) può continuare la sua istruzione grazie all’ausilio delle scuole private mentre il figlio dell’operaio nella medesima situazione non potrà andare avanti. Fossi di sinistra direi che la scuola pubblica è un sistema classista che serve a impedire che i figli degli operai abbiano una buona istruzione, ma in realtà è solo un sistema clientelare in mano ai politici.

Ma anche gli alunni medi possono beneficiare dagli effetti della concorrenza. Migliori ausili didattici, orari diversificati, comunicazione migliore, più servizi non andrebbero a beneficio esclusivo di qualcuno ma di tutti.

I professori beneficerebbero molto da un sistema come questo. Non sarebbero più un numero in una graduatoria ma persone, assunte in base alle proprie capacità e competenze senza rischio di doversi spostare da una parte all’altra d’Italia sotto minaccia di perdere posizioni nella lista.

Comuni: ne beneficerebbero tutti

Avere la possibilità di intervenire nella scuola comunale vuol dire poter affrontare questioni giovanili importanti come la dispersione scolastica, il bullismo o l’uso di stupefacenti in modo più efficace rispetto ad oggi.

Non sarebbe più necessario aspettare che un burocrate da Roma, essenzialmente ignaro della situazione locale, venga a dire il da farsi, perché la scuola sarebbe amministrata dai comuni! E chi non si trova, ribadiamo, non subisce passivamente ma può cambiare istituto. Si garantisce, in sostanza, la massima libertà possibile a tutti.

Un possibile beneficio economico?

C’è, tra l’altro, una cosa non da poco da valutare: 5000€ sono tanti. Nel senso, un’istruzione buona si può fornire anche con una cifra minore, se gli amministratori sono abili.

Un comune ben organizzato potrebbe istruire i richiedenti, che non essendo un costo potrebbero essere anche di altri comuni, con 4000€, che è un costo standard per le scuole cattoliche.

Prendiamo un esempio a caso: Nell’anno scolastico 2017/2018, ultimo per il quale il Comune di Milano ha fornito i dati, il Municipio 7 di Milano aveva 4441 alunni nelle scuole medie statali. In sostanza, allo Stato, quella zona di Milano è costata 35’000’000 di Euro. Solo di scuole medie.

Cosa sarebbe successo se il Comune, o il Municipio, fosse riuscito a istruire gli alunni delle scuole medie con, stiamo larghi, 4200 Euro?

Lo Stato avrebbe risparmiato potenzialmente 13 milioni di Euro. Ma, nel mentre, listruzione avrebbe avuto un profitto di 3 milioni e mezzo di Euro. Solo parlando delle scuole medie di un municipio di Milano abbiamo ottenuto una cifra che permetterebbe di chiedere circa 20 euro di tasse in meno l’anno ad ogni abitante del municipio.

L’idea che l’istruzione venga offerta non per pura benevolenza ma per avere un profitto può far storcere qualche naso. Ma, per citare l’immenso Adam Smith “non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio e del panettiere che ci aspettiamo la nostra cena, ma della cura che essi hanno dei propri interessi”. La stessa cosa, ovviamente, vale per l’istruzione.

Quindi, in sintesi, i comuni avrebbero un grande incentivo a offrire un’istruzione poiché non sarebbe più un servizio in perdita ma, anzi, un possibile guadagno!

C’è chiaramente il rischio che un’amministrazione particolarmente scriteriata provi a tagliare le spese per l’istruzione oltre il limite per incassare. Ma, escludendo probabili obblighi di trasparenza per le scuole comunali, nei paesi le voci girano, e chi scopre che la scuola del proprio figlio verrà drammaticamente sottofinanziata farà una cosa molto semplice: Cambierà scuola.

Che sia una scuola di un altro comune, di un privato, di una no profit o addirittura una scuola creata appositamente dai genitori – nulla lo vieterebbe – in un sistema del genere intercettare la domanda che esce da una scuola malfunzionante è abbastanza semplice. In sostanza il malefico programma del comune si rivelerebbe un fallimento non appena gli alunni cambiano scuola.

Manovra politica?

Questa riforma è una di quelle che ritengo apolitiche: Dare di più agli studenti, ridurre le spese, migliorare non solo l’istruzione ma in generale la comunità, avvicinare le decisioni ai cittadini non è destra o sinistra, ma è buonsenso.

Anche volendola vedere in un senso di “scomposizione” potremmo dire che è una manovra di destra (questa, non quella) perché riduce la spesa e aumenta la libertà di scelta individuale, ma è anche una manovra di sinistra perché favorisce la mobilità sociale, la partecipazione popolare e l’umanizzazione di studenti e docenti.

Quindi, alla fine, è una manovra apolitica.

Ok. Ma io che posso fare?

Parlarne. Tantissime persone non hanno nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea che possa esistere un’alternativa alla scuola di Stato. È normale credere che l’unico modo per avere un’istruzione universale sia l’attuale assetto istituzionale, che però ha tutti i difetti esposti.

Se sei un amministratore locale, poi, sei prezioso per questa causa, e se desideri più informazioni non aver problemi a scriverci su Facebook. Purtroppo una riforma del genere non dipende né da me né da te ma da Roma. Ma, come diceva Mises, “i governi non diventano liberali se non costretti dai propri cittadini”, e per cambiare le cose bisogna diffondere la conoscenza.

Dalla posizione di amministratore locale, ovviamente senza abusare della posizione istituzionale, è ben possibile far arrivare il messaggio di come una riforma dell’istruzione possa dare grandi benefici sia economici che sociali al proprio territorio, piantando molti semi che sbocceranno in qualcosa di più.

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Informatico di giorno, spietato liberista che brama la secessione del Nord di notte. Con la libera circolazione, dato che amo la pizza.

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