FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

La Lombardia ai tempi del Coronavirus

Per molti non è ancora definibile una pandemia ma, senza ombra di dubbio, il contagio da Coronavirus ha messo in ginocchio più la Lombardia che altri territori nei suoi aspetti sociali ed economici.
Era dalla terza decade del 1600 che la nostra bella e laboriosa Regione non era vittima di una condizione da paralisi per motivi sanitari da epidemia. Allora il contagio fu portato dalle truppe tedesche al comando di Albrecht von Wallenstein, il più spietato generale cattolico della Guerra dei Trent’anni.
Ne abbiamo avuto un’ampia descrizione nei manzoniani «Promessi Sposi» nel quale è stato descritto il passaggio dei lanzichenecchi, nelle cui fila il morbo covava in forma endemica, che seminò una scia di terribili saccheggi, devastazioni, caccia agli untori, monatti e morti. Solo a Milano nel 1630 ci sono stati almeno 60 mila morti, il 46% della popolazione dell’epoca. Da allora la conformazione politica ed amministrativa del nostro territorio è notevolmente cambiata. E’ svanito il Sacro Romano Impero ed abbiamo raggiunto nel 1866 la totale unificazione lombarda all’interno del neo stato italiano partendo: a Milano e nella parte occidentale lombarda da una dominazione spagnola e poi degli Asburgo d’Austria a seguito della guerra di successione spagnola con la successiva annessione del Ducato di Mantova, mentre nella parte orientale dal dominio veneziano, passando per l’unificazione lombarda bonapartiana nel 1797 con le Repubbliche Cisalpina e Transpadana e poi il Regno d’Italia napoleonico con capitale Milano.

Da un punto di vista economico la Lombardia rappresenta oggi un pilastro dell’intero Stato ma, senza timore di smentita alcuna, produce annualmente un tesoretto che poi permette il normale sostentamento di altre Regioni componenti lo Stato italiano. Una Regione che ha sempre dimostrato solidarietà nazionale rispetto a cataclismi, terremoti ed alle piccole e grandi problematiche, economiche, sociali, ambientali, ed anche sanitarie a favore dei vicini di latitudine.

Oggi un’infezione che deriva da un altro continente, tuttavia, ha portato alla dimostrazione della disunità d’Italia, alla discriminazione nei confronti dei settentrionali per lo più ingiustificata se non fosse indice che l’Italia non esista, come da alcune parti viene sottolineato. Abbiamo assistito, infatti, alla signora ischitana che ha insultato turisti, provenienti da regioni del Nord non colpite da casi di contagio, per essere sbarcati quali untori nella sua bella isola dopo che l’ordinanza del sindaco che vietava l’ingresso ai polentoni è stata sospesa. Abbiamo letto di provvedimenti di pseudo statisti borbonici che ne vietavano l’ingresso, pena l’arresto (come se i sindaci avessero potestà legislativa o poteri di polizia), o cartelli con dichiarazioni di non disponibilità ad affittare case ai settentrionali. Che dire del governatore della Basilicata che qualche giorno fa aveva trattato i polentoni quasi come appestati: 14 giorni di quarantena per tutti, anche per chi viene dalla città dove non c’è traccia dell’infezione. O delle parole del Presidente siciliano Musumeci: “I turisti arrivano dal Nord sarebbe bene che non arrivassero”.

Nello Musumeci (Regione Sicilia)

Ancor più preoccupante è la considerazione come stiamo attraversando la prima epidemia dell’epoca dei social media e questo non può che amplificare l’effetto delle notizie, provocando effetti economici e sociali devastanti. 

Orbene, il Governo italiano, ancor più di qualche presunto statista neoborbonico, sa benissimo che se l’emergenza coronavirus dovesse diffondersi senza freni in Lombardia e nel resto del settentrione d’Italia, creando ulteriore panico e durasse qualche mese, è più che probabile la paralisi di buona parte dell’economia nazionale. Lombardia e Veneto contano il 31% del PIL italiano e l’Ufficio studi della Cgia di Mestre sottolinea come nel Nord d’Italia viene «generata» la metà del Pil nazionale e del gettito fiscale che finisce nelle casse dell’erario; vi lavorano oltre 9 milioni di addetti occupati nelle imprese private (pari al 53 per cento del totale nazionale); da questi territori partono per l’estero i 2/3 delle esportazioni italiane e si concentra il 53 per cento circa degli investimenti fissi lordi.

La stima del REF Ricerche è chiara: Aritmeticamente, una contrazione del PIL10% in sole queste due regioni significa una diminuzione del 3% di quello per l’intero Paese. Quindi, gli effetti economici, pur legati all’evoluzione dell’epidemia con conseguente incertezza sulle prospettive, secondo le valutazioni di questa società di analisi, l’epidemia e soprattutto le misure governative adottate per contenerla causano nel breve termine un minor Pil compreso tra i 9 e i 27 miliardi, a seconda delle ipotesi adottate sull’entità delle perdite (e dei guadagni) nei diversi settori.

La Giunta lombarda ha criticato il decreto governativo con le prime misure sull’emergenza economiche. Sarebbero insufficienti gli interventi di contrasto per la “Zona rossa” (i dieci comuni del lodigiano considerati focolaio) e, ancor più, nel decreto non c’è nulla per i lavoratori e per le aziende esterne a tale zona, ossia tutto il territorio lombardo.

«Il danno economico di questo Coronavirus sarà di gran lunga superiore a quello sanitario – ha detto all’Adnkronos il presidente di Confindustria Lombardia, Marco Bonometti – Non si rendono conto dell’enormità del problema». Ed ancora: «Le misure sono solo palliativi che non risolvono i problemi. Il governo deve estendere le misure a tutta le aziende della Lombardia>>. Il problema è soprattutto di immagine: «Nessuno è in grado di calcolare il danno di immagine che stiamo vivendo. Oggi l’Italia si è isolata da sola: i clienti stanno chiamando le aziende per chiedere se sono in grado di lavorare, di fornire prodotti. Questo mette a repentaglio gli ordini futuri».

Attilio Fontana (Regione Lombardia)

Il danno di immagine, quindi, è evidente; il Presidente del Consiglio italiano, onnipresente sui mass media per scongiurare l’allarmismo e vergognosamente ad attaccare i sanitari, con il Ministero della salute i cui decreti, emessi in concerto con la Regione Lombardia, superficiali e pertanto non compresi, nonché i portatori istituzionali di mascherine, urbi et orbi, sui social a dimostrare una regione lazzaretto, dovrebbero mettersi d’impegno per ricostruire l’immagine e la credibilità della Lombardia e dell’Italia. Non sarà facile e non ci vorranno tempi brevi. Il problema è che nel medio periodo questo arrecherà gravi danni all’economia non solo lombarda ma nazionale.

Il rischio è che da Roma, con la scusa del Coronavirus, vogliano mettere mano al titolo V della Costituzione e limitare le competenze regionali, magari accentrando la sanità. Da qui le ingiuste ed ingiustificate critiche al servizio sanitario lombardo ed ai suoi operatori.

Diamo fiato alla Lombardia, per alcuni sarebbe necessario rifinanziare Cigo e Cigs (cassa integrazione ordinaria e straordinaria), ridare credito alle Pmi e far sì che la Pubblica amministrazione paghi i suoi debiti in tempi ristretti. Oltre alle misure urgenti che interessano le attività e i contribuenti che rientrano nei Comuni nella cosiddetta zona rossa è altresì necessario che l’esecutivo metta a punto una misura strutturale che interessi tutta l’economia della zona “Gialla”, ossia il resto della Lombardia. Oppure basterebbe che questo Stato lasciasse fare i lombardi che hanno sempre dimostrato di non aver bisogno di nulla se non di avere la propria libertà.

Cedrik Pasetti
Avvocato e fiero di esserlo. Raro esemplare di nizzardo-lombardo. Ho conseguito specializzazioni in Politica Amministrativa e Management presso la SDA Bocconi di Milano nonché in diritto societario e dell'arbitrato interno ed internazionale presso l'Università di Pavia. Convinto liberale ed autonomista nel DNA. Indipendentista per necessità. Sono stato fondatore e Presidente dell’associazione culturale Terre di Lombardia. Tra gli ultimi consiglieri provinciali ancora eletti dai cittadini sono attualmente vicesindaco dell’ombelico del mondo, il bellissimo paese di San Martino dall’Argine.

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