Vi è mai capitato di parlare di autonomie con qualcuno o con qualche movimento e sentire frasi del tipo “noi vogliamo l’autonomia, ma senza mettere in discussione l’unità nazionale”?
Ovviamente ho assoluto rispetto di chi lo dice, ma è bene notare che chi sostiene una posizione del genere non vuole una vera autonomia, ma un semplice decentramento.
La ragione è semplice e richiede un po’ di filosofia e di teoria politica (e poi dite che la odio o che non posso capirla perché non ho fatto il liceo… 😉 ) applicata all’Italia.
Se si ritiene l’unità nazionale bene supremo e indiscutibile ciò che si otterrà, specie in Italia, è un decentramento a beneficio dello Stato centrale. Un decentramento che può essere assolutamente significativo, sia chiaro, ma che resta una scelta – revocabile! – del governo centrale.
L’esempio più palese è la sanità: le Regioni sono state essenzialmente istituite negli anni ’70 per permettere la creazione di un sistema sanitario Beveridge, visto che Roma si rese conto di non poter gestire tutto da sola.
Ma cosa succederebbe se qualcuno a Roma non avesse imparato questa lezione e volesse giocare con la sanità come fanno i bambini grandi?
Basterebbe una legge ordinaria per modificare le leggi in materia. Certo, la Costituzione parla di “tutela della salute” come materia concorrente, ma a meno di interpretazioni molto creative (e quasi esegetiche) della Corte Costituzionale, lo spazio di manovra c’è e eccome: anche l’istruzione – per capirci – è materia concorrente e le Regioni, perdonate il francese, non contano un cazzo.
Chiaramente, manca la volontà politica, anche perché nessuno vorrebbe vedere uno scenario Donbass in Emilia-Romagna, conseguenza naturale di una decisione del genere, ma c’è la possibilità.
In generale, ritenendo comunque che il potere derivi da Roma, sarà sempre lei a dire come e quanto, e lo farà a suo beneficio, così come ci sarà sempre la tendenza a fare questa delega in blocco, trovando un compromesso tra le varie entità: anche tra chi nella politica mainstream italiana si definisce federalista spesso ritiene che sia necessario che lo Stato abbia un certo controllo sulle azioni degli enti locali, che gestisca determinati settori o che possa intervenire se necessario: un esempio palese è Calenda che – al congresso di Azione – ha espresso posizioni in linea con quelle che ho appena esposto.
Chi la pensa così, però, non è federalista: è devoluzionista. Ritiene che lo Stato sia più efficiente se passa alcune funzioni agli enti locali. Un modello che, in Stati piccoli o poco popolati, etnicamente e socialmente uniformi e con un’economia stabile funziona: Scandinavia, Paesi Bassi, Cechia ne sono ottimi esempi.
Tuttavia l’Italia non è sorta come gli Stati citati, né è piccola, né è granché uniforme: è stata infatti creata da vari Stati con culture, tradizioni, storie e sistemi legali differenti. Però, nei fatti, l’unità d’Italia è stata una serie di annessioni al Regno di Sardegna, con completo adeguamento delle norme e dei sistemi ad esso, creando le basi per l’inefficienza che ancora oggi, a colpi di Regio Decreto, attanaglia l’Italia,
Proviamo per un attimo a mettere in discussione l’unità nazionale: se il potere non derivasse da Roma ma, al contrario, dagli enti locali che si uniscono per formare l’Italia e che cedono una parte del proprio potere ad un governo centrale?
Sarebbe un’inversione del sistema: non sarebbe il decentramento ad essere negli interessi di Roma, ma l’accentramento ad essere negli interessi delle entità costitutive, il governo centrale non potrebbe togliere arbitrariamente potere né ridisegnare i confini delle entità a sua volontà.
Questo sistema si chiama federalismo ed era ciò che volevano per la futura Italia molti dei patrioti che l’hanno fatta, il più conosciuto Carlo Cattaneo. Non passare dal rendere conto a Vienna o al Re assoluto a Roma e ai Savoia, ma rendere conto principalmente a sé stessi e cedere alcuni poteri ad un governo centrale così da poter essere più stabili, sicuri ed influenti nel mondo.
Un sistema che funziona in Svizzera, in Germania, in Austria, noto per portare prosperità, stabilità, pace e sicurezza.
Ma come lo si può ottenere se si crede nell’unità nazionale, ossia nell’idea di Roma Doma da cui tutto deriva? No.
Per questo, se si vuole una vera autonomia, ossia un’unità federale, si deve per forza mettere in discussione il come si è unita l’Italia e invertire completamente il paradigma.
E, se temete che discutere l’unità d’Italia voglia dire metterla in pericolo, ricordatevi che uno Stato fallito è ben più prono a sfaldarsi di uno Stato federale funzionante.
Penso sia ben chiaro che lo Stato italiano unitario, tra debito, malagestione, populismo e partitocrazia, sia destinato al declino.