Come sapete sono a favore della legalità dell’aborto, ho anche proposto soluzioni assicurative per renderlo più accettabile qualora sorgesse un movimento del tipo “io non voglio mica pagare l’aborto a chi tromba in discoteca, neh!”.
Abbiamo tutti letto della decisione della Corte Suprema americana sul tema ma devo dire che, se certe reazioni di gioia di alcuni politici mi hanno urtato (o fatto cadere le palle, alcune erano davvero imbarazzanti), la decisione della Corte è per me assolutamente comprensibile.
D’altronde, il lavoro di un tribunale è quello di interpretare la legge, non crearla. Questo, almeno, in un sistema di diritto continentale come il nostro, ma anche in un sistema di diritto anglosassone ci sono delle limitazioni, tra queste la Costituzione.
“La Costituzione americana garantisce un diritto all’aborto”? Questa è la domanda fondamentale. Non se sia giusto che ci sia tale diritto o se non averlo porta a conseguenze peggiori che ad avercelo.
Se sì, c’è poco da fare, tale diritto resta. Se no, saranno gli Stati, o il Congresso, a decidere.
E il no ha argomenti validi, non è un capriccio trumpiano. D’altronde, la Costituzione americana è stata scritta più di 200 anni fa, è difficile dire che contenga inequivocabilmente un diritto all’aborto. Infatti, gli autori di Roe v. Wade, l’hanno visto come parte di un più ottenibile diritto alla privacy, introducendo un criterio basato sui trimestri, sostituito con la possibilità del feto di vivere fuori dall’utero con Casey v. Planned Parenthood.
E già questo è un problema: più si va avanti, più la medicina permette di far vivere un feto fuori dall’utero. È ciò che ha essenzialmente detto il giudice capo Roberts nella sua concurrence: non ribaltare Roe v. Wade, ma dichiarare costituzionale la legge del Mississippi incriminata per questo criterio.
Ci si può sempre porre la domanda dell’opportunità, l’ha fatto Roberts stesso: specie in un sistema dove la giurisprudenza conta è molto importante il valore del precedente e che resti tale, quindi – a meno che un qualcosa sia palesemente contrario allo spirito della Costituzione (esempi: le sentenze contro i Testimoni di Geova che non giuravano fedeltà alla bandiera) alle volte è meglio accettare un cattivo precedente che rifare tutto da capo.
Ma se la Corte ritiene sinceramente che la precedente decisione fosse sbagliata, ha fatto bene a rovesciarla. Perché, appunto, il compito della magistratura non è applicare la legge per come sarebbe bella, ma per come è. Le leggi le fa il potere legislativo, un potere legislativo che per anni ha evitato di fare una legge federale per tutelare l’aborto. Una scelta derivante probabilmente da convenienze politiche che ora si paga, e carissimo.
Ma leggere attacchi ad una decisione del genere, per quanto impopolare, fa un po’ male alla democrazia. Perché vuol dire che qualcuno preferisce quei tribunali che non applicano la legge, ma che la creano in base alla popolarità, abbandonando l’obiettività necessaria all’arbitro della separazione dei poteri.
Certo, sembra bello quando legalizzano l’aborto, ma non è tanto bello quando vorrebbero dire, a caso, che bruciare la bandiera americana non è coperto dal primo emendamento (tema sul quale Scalia aveva qualcosa da dire) o, per fare un esempio assolutamente a caso in Europa, che fare prima un decreto amministrativo e poi legittimarlo (anche male) con un decreto legge per chiuderci in casa anche col divieto di fare sport è costituzionale “per la situazione”.
Alle volte i tribunali devono anche dare una svegliata al legislativo, sia chiaro. Ma il fatto che per quasi 50 anni la politica di uno Stato, una superpotenza per di più, sull’aborto sia stata delineata non dai rappresentanti eletti dal Popolo ma dalla magistratura non indica che il problema sia la Corte Suprema, ma che sia la classe politica.
Una classe politica che, essenzialmente per paraculismo, non ha mai voluto mettere nero su bianco questo diritto, utilizzando l’esistenza di Roe v. Wade come scusante. Poi, quando cambia la dottrina giuridica, si scopre che, guarda caso, il legislatore poteva – e doveva – far qualcosa…