La scuola italiana, diciamocelo, fa ca… fa acqua da tutte le parti.
Così lo Stato, nella speranza di liberarsi di un po’ di gente, ogni anno paga alle scuole paritarie un tot, meno di quello che spenderebbe per educarli ma comunque un significativo incentivo per chi vuole mandare i figli fuori dal sistema statale.
Ovviamente, come qualsiasi incentivo statale, fallisce miseramente ed è più usato nelle regioni dove tutto sommato la pubblica istruzione raggiunge la decenza e non dove davvero servirebbe, come nel Meridione, ma questo è stato argomento per un altro post.
Questo versamento, che è una frazione di quello che spenderebbe per istruirli in proprio, fa arrabbiare una componente del mondo docente che scrive cose come queste.
Ma poi escono quelle cose che chi venera la scuola pubblica statale ha in particolare odio: i dati.
In sostanza, nonostante il fatto che quest’anno la didattica è stata quello che è, boom di 100 e lode, il 10% ha preso il massimo.
Ovviamente, in certe regioni più che in altre.
Chiariamo una cosa: l’esame è stato una farsa in tutta Italia, erano le indicazioni del MIUR e il boom di voti alti lo dimostra, con gente che normalmente avrebbe preso 60 e una pacca sulla spalla che riesce a prendere 70 e oltre grazie alle modalità favorevoli e alla commissione interna.
Ma sappiamo bene come il trend “territoriale” non sia una cosa recente e come, soprattutto, sia in totale contrasto con i dati statistici dei test INVALSI e PISA, che mostrano quasi sempre una situazione disastrosa nel Meridione.
In sostanza sentiamo a maggio “disastro al Sud: 1/3 degli studenti non sa l’italiano” e poi a luglio “boom al Sud di 100 e lode”, così circa ogni anno.
La scusa è la solita: le INVALSI non capiscono il valore dell’alunno e quando devono mettersi alla prova per qualcosa di reale, il diploma, lo fanno bene.
Ma, in realtà, le INVALSI non servono a dirci se Mario Rossi è bravo e Luigi Bianchi cattivo ma sono una valutazione statistica generale dei sistemi scolastici. Quindi sì, magari Mario Rossi è davvero bravo e l’ha meritato il suo 100, ma gli altri?
La verità è, purtroppo, meno prosaica: al Nord un voto alto conta meno che al Sud perché al Nord il lavoro privato conta molto più che al Sud.
Qui al massimo trovi l’azienda con un dipartimento di risorse umane scarse che usa quello come unico indice ma in molti casi c’è così tanta concorrenza che ciò non crea un problema e, una volta lavorato per altri, solitamente conta poco il voto da solo.
Nel lavoro pubblico, invece, ben più bramato al Sud, il voto è un indice più importante e più è alto più aiuta ad entrare il prima possibile nel lavoro statale.
C’è quindi una sorta di scambio malato ma vantaggioso: chiudiamo un occhio sui risultati e in cambio ti garantiamo un semplice accesso al mondo del lavoro pubblico e ai sussidi universitari. Perché sì, sono molte le università che prevedono sconti sulla retta a chi ha 100 come voto.
E alla fine a perderci siamo tutti noi: quando il nostro diploma viene deriso nel mondo perché privo di ogni credibilità, quando paghiamo più tasse per far studiare gratis all’università qualcuno che magari non sa usare il congiuntivo o quando vengono assunti dieci volte i dipendenti pubblici che servono perché altrimenti il giochetto non regge.
Se avere un diploma con un dato voto non per il proprio merito ma come scambio non è la definizione di diplomificio non so quale sia.