Il ministro Valditara annuncia un nuovo piano per l’istruzione, che prevede salari più elevati e un piano casa. E qui il piano mostra come voglia reggersi sull’ormai secolare visione che la pubblica amministrazione adotta, ossia del Meridione come vivaio di tutta la burocrazia, con la necessità dunque che queste persone vadano nei vari territori dove debbono lavorare…
Di per sé, ovviamente, non c’è nulla di male nell’avere docenti del Sud: il territorio d’origine non è certamente una qualificazione né una cosa negativa. Ricordo benissimo docenti meridionali bravissimi nella mia carriera scolastica, come ne ricordo di pessimi, e la stessa cosa vale per i docenti del Nord. L’istruzione ha bisogno di docenti competenti (ed è legittimo dubitare che ci riesca) e la competenza non si misura in base alla città di nascita.
Tuttavia è ben chiaro che il fatto che se vi è un così grave squilibrio tra territori, con quelli più sono più popolati che danno pochissimi insegnanti, vi possano essere problemi e ci sono! Docenti che rimangono qui giusto il tempo necessario per poter avere la possibilità di trasferirsi (con buona pace della continuità didattica), affitti folli per loro che ovviamente portano ad un aumento degli affitti generale, difficoltà di integrazione nel tessuto sociale con docenti che vengono mandati da una scuola all’altra come dei pacchi e, diciamocelo chiaramente, c’è anche qualcuno che fa il furbo.
Ma, come già dicevo tempo fa sul blog dell’Istituto Liberale i docenti sono nei fatti vittime, per quanto con una sindrome di Stoccolma molto accentuata, dato che tanti nemmeno riescono a immaginare un’alternativa: non riesco a definire decente un sistema che ti obbliga ad anni di peregrinazioni per una cattedra, magari saltando di affitto in nero in affitto in nero giusto per avere una casa vagamente vicina al luogo di lavoro del momento.
I meridionalisti amano dire che senza il Sud il Nord non avrebbe una classe di dipendenti pubblici, come se nel Canton Ticino, che alla fine è un angolo di Lombardia sotto governo illuminato e federale, ci fosse una costante penuria di qualsiasi funzione pubblica: ci sono difficoltà, alle volte, ma argomenterei che qualsiasi servizio pubblico elvetico sia generalmente meglio di quello italiano. La realtà è che il sistema attuale è fondamentalmente pensato con il Meridione come centro di reclutamento e ciò è un problema!
Pensare che una soluzione sia semplicemente un piano casa vuol dire non analizzare il problema ma voler sistemare solo una delle sue conseguenze, è come offrire una pillola per ridurre il colesterolo ad una persona che mangia il doppio dei grassi consigliati.
Bisogna lavorare sul problema, ossia fare in modo che più docenti possibile arrivino dal territorio o, se si spostano, la vedano come una scelta di vita e non come una necessità per poi poter andare da un’altra parte. I concorsi regionalizzati possono aiutare ma, a mio parere, sono solo un palliativo, dovremmo chiederci una cosa: come mai un residente in Lombardia, Veneto o Emilia-Romagna è molto meno interessato ad andare nella scuola?
E la risposta è ovvia: al Nord la scuola compete con l’economia privata che, pur imperfetta, offre decisamente meglio rispetto allo Stato, mentre al Sud, con un’economia più depressa, un’istruzione peggiore e una cultura influenzata da decenni (se non più) di statalismo l’offerta dello Stato pare molto più allettante.
Come possiamo dunque rendere l’istruzione più bilanciata, in modo che anche un cittadino di una regione più ricca sia interessato a divenirne parte? Qualcuno propone i concorsi regionalizzati, parte della temibile autonomia differenziata, ma essi rischiano di essere solo un palliativo, evitando sì alcuni dei casi più estremi ma senza risolvere alla radice il problema, rendendo più banalmente necessario scegliere in quale regione tentare la fortuna.
A mio parere bisogna prima di tutto riconoscere una cosa: la scuola italiana è serva di più padroni, e nessuno di essi è gli studenti o le famiglie, ma sono politici, sindacati, concorsisti e chi ci lavora. Occorre scardinare questo sistema in toto, e ciò si fa vedendo la scuola come un’azienda, che assume (in base a criteri!) come un’azienda, con salari differenziati, così che l’economia meridionale abbia spazio per crescere e che un lavoro da insegnante in una grande città non sia visto come una patata bollente da lasciare il prima possibile, possibilmente introducendo il voucher scuola, così che la concorrenza spinga il pubblico a fare meglio.
Se il percorso per divenire insegnanti non è un labirinto per appassionati o disperati, l’insegnamento sarà un lavoro per tutti. E chi vuole cambiare ugualmente regione? Ben venga, perché in un sistema del genere è una risorsa, non un peso!