FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

A chi fa paura “ascoltare la vita”? Ce lo spiegano le prime femministe

Ci sono una bioeticista, una neonatologa, la presidente di un’associazione che aiuta le donne in difficoltà e la testimonianza di una donna che, nonostante le difficoltà di un figlio malato di cuore, ha deciso di tenerlo: non è l’inizio di una barzelletta di cattivo gusto ma il convegno che è stato interrotto un paio di settimane fa dai soliti collettivi rossi all’Università degli Studi di Milano in base alla gravissima accusa, vero e proprio peccato mortale laico e di cui ovviamente si rendono procura, giudice ed esecutore della pena, di antiabortismo.

Eppure, cavolo, chi più qualificato a parlare nemmeno di aborto, ma di donne che scelgono di non farlo e di come supportarle (più “pro choice” di così…) di una neonatologa esperta in cure palliative, la presidente di un’associazione come il CAV Mangiagalli che gode del supporto – contemporaneo – di associazioni benefiche come il Rotary, civili e ecclesiastiche proprio perché tutti pensano che faccia un buon lavoro (e in una giornata probabilmente sia la neonatologa sia il CAV aiutano più persone di quante i membri dei collettivi ne aiuteranno in tutta la loro vita) e un’esperta di bioetica? Per di più, se secondo un noto meme: “se non hai l’utero non puoi parlare di aborto”, dalle foto pare che questo convegno largamente rosa sia stato in larga parte interrotto da fallomuniti.

I più grandi di voi ricorderanno, specie se seguivano le notizie internazionali, come fino a qualche anno fa l’uso della violenza fosse tipica dei movimenti antiabortisti. E per violenza intendo proprio che mettevano le bombe, non che interrompevano convegni.

Ora pare che la situazione si sia invertita, sia in Italia che nel mondo: se gli “antiabortisti” si limitano a parlare in convegni con medici, bioeticisti ed esponenti del terzo settore un gruppo di scappati di casa così fuoricorso da dover occupare una palazzina per non svenarsi si permette di urlare “Obiettore ti uccidiamo senza fare rumore”. Questo è l’amore per la “libertà di scelta”, minacciare di uccidere, fatemi controllare, il 70% o giù di lì dei ginecologi italiani solo perché esercitano la propria libertà di scelta prevista nella stessa legge che dà la libertà di scelta alla donna. Michele Salvemini riuscirebbe a tirarci fuori una nuova citazione, e in tutto ciò quel 70% di ginecologi lavorano quotidianamente, insieme al 30% dei loro colleghi non obiettori, per la salute delle donne e dei loro figli. Se qualcuno riesce a trovare qualsiasi utilità sociale ai membri dei collettivi mi mandi un’email.

Se c’è una condanna unanime dell’azione, purtroppo mai preceduta dalla polizia in tenuta antisommossa che entra e interrompe gli oppositori (e su Internet ho letto qualcuno dire, con una nota di sarcasmo, che li interrompa pure con gli stessi metodi dell’interruzione di cui si parlava al convegno), delle istituzioni, non si scusano, anzi, ritengono la loro azione doverosa, poiché vi era un “intento antiabortista” e addirittura uno dei conferenzieri era “contro la 194 tout court”.

Ora, la 194 a me piace, ma è una semplice legge dello Stato. Non è la terza tavola della legge, non è diritto internazionale, non è la costituzione: è una legge ordinaria. Potrebbe essere abrogata dopodomani, tant’è che, come ricorderete, è stata anche sottoposta a referendum. Si può essere contrari alla 194 come a qualsiasi altra legge ordinaria e avere spazio nel dibattito pubblico, argomentando la propria posizione.

Per di più, dato che come già dicevo mesi fa i più strenui difensori della 194 non si sono mai degnati di leggerla, sembra che siano loro i primi ad avere qualche problema con essa:

“Contestiamo la vergognosa iniziativa di Obiettivo Studenti all’indomani della giornata del 25 novembre, una chiara provocazione reazionaria e antiabortista che si nasconde dietro la ‘libera scelta’. Ma oggi non c’è nessuna libera scelta, per le fasce popolari di questo Paese. La legge sull’aborto, già vaga e lacunosa, è stata svuotata da tagli alla sanità, fatti da destra e da sinistra; da anni di tagli ai consultori pubblici, dai medici obiettori, dallo sdoganamento delle associazioni pro vita”

Nasconde dietro la libera scelta? Perché, il sostegno alla maternità è nascondersi? Mi piace sempre ricordare che, nel nome della 194, l’IVG è una subordinata alla “tutela sociale della maternità”. La 194 lacunosa e vaga? Ma state scherzando? L’avete mai letta? Certo, è in burocratese e dai collettivi non mi aspetto molto in quanto a comprensione del testo, ma è tutto fuorché lacunosa e vaga.

Svuotata dai tagli? Trovatemi voi un’altra prestazione che il SSN fornisce gratuitamente, senza nemmeno richiedere il pagamento del ticket, in una decina di giorni e spostandosi al massimo di una settantina di chilometri. Ci sono malati oncologici e cardiopatici del Sud che pagherebbero per questa comodità. Dai medici obiettori? Ma se sono previsti dalla stessa legge! C’è differenza tra una legge che consente e una legge che istituisce un diritto, e la 194 è la prima.

Ma poi continuano, lamentandosi che proprio nel periodo della giornata contro la violenza sulle donne si attacca il diritto all’aborto libero e gratuito!

Questa mania della gratuità dell’aborto come diritto mi farà sempre sorridere, quando in mezza Europa che lo permette, spesso più generosamente dell’Italia, è a pagamento, e per di più da nessuna parte è “libero” (anzi, ci sono ancora paesi dove, se prova ad abortire fuori dai termini, la donna va in galera: in Italia c’è solo una sanzione amministrativa, i guai veri li passa chi lo pratica). Ma c’è molto di più da dire. Perché le prime femministe, quelle che hanno vissuto l’essere ritenute oggetti e non soggetti, in un’università moderna sarebbero durate cinque minuti, dato che erano strenuamente pro vita!

La loro posizione era che la gravidanza forzata e l’aborto fossero tra i peggiori crimini che l’uomo potesse imporre alla donna e che la soluzione non fosse trattare il feto come veniva trattata la donna, ma che l’emancipazione femminile avrebbe portato col tempo alla sua scomparsa.

Visti i numeri, ci hanno quasi preso: l’emancipazione della donna ha ovviamente portato ad una riduzione degli aborti, tra una maggiore consapevolezza, un maggiore accesso alla contraccezione e una maggiore accettazione di un concetto oggi banale come il consenso. Quello che le femministe, mentre stavano facendo un’incredibile rivoluzione pacifica, non potevano immaginarsi era che anche nel sesso poteva svilupparsi un sistema di costi e benefici.

Ne parleremo meglio in un articolo venturo sul tema Trump, ma l’apertura della legge all’aborto ha ovviamente ridotto il costo della sessualità. Se prima della contraccezione diffusa ogni atto poteva renderti genitore, con l’aborto addirittura hai la sostanziale certezza che non accadrà. Uno studio americano dei primi anni 2000, un’epoca puritana in confronto ad oggi, stimava come fino a 1/3 dei nuovi casi di malattie sessualmente trasmissibili derivasse dalla riduzione dei costi della sessualità data da Roe v. Wade.

L’aborto possiamo ritenerlo un diritto, un male necessario o un qualcosa da vietare, ma non possiamo negare i fatti: mentre permetteva a centinaia di migliaia di donne di decidere per la prima volta se avere una gravidanza invece di farlo decidere all’uomo di turno che aveva questo o quel “diritto” su di lei ha anche posto le basi per una sessualità completamente disordinata e promiscua che produce solo risultati negativi in qualsiasi indice vogliamo vederla.

Una sessualità dalla quale, tra l’altro, traggono vantaggio soprattutto gli uomini, rendendo ancora attuali le parole delle femministe della prima ora. Gli uomini parlino pure di aborto, ma abbiano la decenza di tacere se hanno rapporti sessuali al di fuori di una relazione adatta a crescere figli o in cui nessuna delle parti ne vuole. Talk is cheap, show me your chastity, troppo comodo lasciare poi la patata bollente in mano alla donna magari pontificando dei massimi sistemi.

Nel caso in esame, la scelta della vita potrebbe voler dire rovinare la vita a molti uomini, o forse meglio dire ragazzini un po’ cresciuti, che vivono la classica sessualità da universitari, poco meno ordinata della loro vita accademica: coiti a destra e a manca, più o meno protetti, senza riguardo per nulla.

Se capita che l’ultima preda (perché questo, nei fatti, è per loro) rimasta incinta torna dal consultorio convinta dai volontari dell’associazione di turno a scegliere la vita, magari nonostante le pressioni del ragazzo sul tema, costui in poche ore passa da universitario spensierato con tanto tempo da perdere a padre che deve mantenere un figlio. Uniche vie d’uscita? O un femminicidio (con procurato aborto in omaggio) o un infanticidio (sarà contento Tooley).

Dietro troppi aborti ci sono uomini che vivono una sessualità senza limiti a spese delle donne. E questi uomini temono anche al solo pensiero che si possa avere un’alternativa all’aborto, perché se la scegliesse una delle loro partner sarebbero rovinati, da cui la loro rabbia irrazionale invece della propensione al dialogo che dovrebbe caratterizzare qualsiasi dibattito sul tema. L’aborto sempre più, con il tempo, diventa un’oggettificazione del feto in modo da permettere agli uomini di oggettificare la donna, in una società in cui quasi viene stigmatizzata se decide di non essere sessualmente al servizio dell’uomo.

Tornando ai fatti che possono piacere o meno in base a come la pensiamo sul tema: limitare l’accesso all’aborto, aumentando i costi dell’attività sessuale, porta tipicamente ad una riduzione di essa e a una sua pratica più consapevole. E a “pagarne le conseguenze” sono tipicamente coloro che, se ci fosse la probabilità per quanto remota di gravidanza ad ogni coito, nessuno vorrebbe come madre o padre dei propri figli, e che dunque si troverebbero esclusi dall’attività sessuale. Il che spiega in un sol colpo rabbia, violenza e scarsa propensione al dialogo.

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Informatico di giorno, spietato liberista che brama la secessione del Nord di notte. Con la libera circolazione, dato che amo la pizza.

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