FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

De obsolescente philosophia

Nella mia dettagliata analisi sulle posizioni di Carlo Calenda sulla riforma dell’istruzione espresse nel suo nuovo libro “La libertà che non libera” ho detto che:

in Italia la formazione tecnica e professionale è perfettamente capace di tirare fuori persone capaci di partecipare alla vita pubblica.

Per di più, su una nota polemica, la formazione scientifica, alla base di quella tecnica, è necessaria a partecipare alla vita pubblica.

È dalla rivoluzione industriale che fare politica non è più sul “convincere il mio monarca assoluto che se farà questa o quella riforma le cose andranno meglio” ma è relativa soprattutto a numeri e (direbbe qualcuno, pseudo)concetti matematici, tecnici e scientifici.

Nel dibattito sulle sue dichiarazioni, in effetti, ho letto molti dire che, magari non concordi con la radicale proposta del segretario di Azione, hanno comunque concordato nelle premesse, dicendo che certi temi – leggasi filosofia, cultura classica e simili – dovrebbero essere studiati ovunque (“un po’ di liceo dappertutto”), perché necessari per essere cittadini consapevoli, e lo Stato ha il dovere di istruire cittadini capaci di vivere nella democrazia.

Questa cosa me la diceva anche un amico elvetico, ma c’è anche da dire che lì la scuola prende seriamente la cosa: nelle scuole svizzere c’è educazione civica (seria) ad ogni livello, nei licei diritto ed economia è obbligatoria praticamente sempre (in Italia solo in tre licei, contando le due divisioni delle scienze umane) mentre la filosofia spesso è facoltativa (dipende da Cantone a Cantone e da Liceo a Liceo, in quello di Lugano è obbligatoria, ad esempio) e anche nelle scuole professionali c’è un’adeguata formazione tecnologica, scientifica, politica e giuridica.

Insomma, in Svizzera, dove il neodiciottenne che esce dalla scuola andrà a votare nei referendum e dovrà capire come la sua scelta influenzerà il Paese leggendo la documentazione in materia, si forma il cittadino con qualcosa di utile: storia, scienza, matematica, educazione civica, diritto…

In Italia, invece, siamo convinti che a formare il cittadino siano materie come la filosofia, le lettere classiche e la storia dell’arte, insomma, quelle che oggi sono chiamate humanities.

Nel caso delle ultime due, onestamente, non trovo la logica che renderebbe materie formative per la cittadinanza.

La storia dell’arte può anche essere interessante, ma assume minimo rilievo nel campo delle decisioni pubbliche, come la stragrande maggioranza delle discipline storiche di una materia: la storia dell’informatica è interessante (tant’è che il giorno dopo ho pubblicato la descrizione di un vecchio calcolatore), ma i pochi eventi davvero importanti sono finiti nella storia regolare, gli altri… non sono così rilevanti per la storia dell’umanità.

Idem per i classici: l’idea per cui la storia di Roma sia così importante da doverla studiare tutti, addirittura leggendone i classici, deriva dalla solita malsana idea dell’Italia figlia di Roma, quando in realtà il retaggio romano è solo uno dei molti retaggi dei vari popoli italici e romanzi: molti principi che oggi diamo per scontati, nel bene e nel male, non derivano da Roma ma da qualche popolazione germanica, bizantina, araba o dalla dottrina cristiana.

D’altronde, c’è anche una ragione razionale per cui si sente più vicina Roma rispetto ad altri: la lingua. L’italiano, ma anche il lombardo, il piemontese, il siciliano e via discorrendo derivano dal latino. Anche se penso che, onestamente, la spinta principale derivi dall’idea, quantomeno questionabile, di collegare la gloria dell’Impero Romano al successivo Stato unitario italiano.

Poi, per carità, chi studia in determinati settori deve anche studiare quelle cose. Vogliamo professionisti dei beni culturali che conoscano la storia e la cultura romana così da poter rispondere a chi visita un museo facendo domande approfondite o gente che impara a memoria cosa dire e appena riceve una domanda un pelo complicata fa “beh”?

Ma arriviamo al succo, alla disciplina menzionata nel titolo dell’articolo: la filosofia. Sono serenamente convinto che la filosofia non serva a nulla per diventare “uomo e cittadino”.

Ho letto discorsi del genere “è impensabile votare senza conoscere il pensiero di Marx e Kant” e mi chiedo, in tutta onestà, a cosa serva sapere il pensiero di Marx quando abbiamo davanti prova, controprova e prova della controprova che, se applicato, finisce male, ma anche – per quanto probabilmente più sensato – a cosa serva sapere il pensiero di un tedesco del ‘700 per votare nel 2022.

Qualcuno mi dirà che anche la filosofia, per come viene intesa in Italia, è una disciplina storica, quindi si applica il ragionamento fatto sopra. Il che è vero, ma dato che essa prova in tutti i modi a non vendersi come tale, usiamo tranquillamente un’altra via per dimostrare il ragionamento.

La filosofia è obsoleta

Come già dicevo in un altro articolo, la filosofia ha iniziato a perdere di utilità nel 1600, con l’arrivo del metodo scientifico. Tuttavia il mondo della filosofia ha avuto una certa rilevanza nella politica pubblica sino alla rivoluzione industriale.

D’altronde, se la scienza ha fatto passi da gigante nel capire il mondo in quel periodo, l’impatto sulla popolazione media non era enorme: potremmo dire che la tecnica non andava di pari passo con la scienza e raramente una scoperta scientifica andava ad impattare la vita di tutti i giorni del cittadino.

Per di più, all’epoca, il potere era concentrato nelle mani di pochi in quasi tutti i Paesi, il filosofo quindi, portando avanti determinate idee e motivandole bene, poteva effettivamente cambiare le cose.

Con la rivoluzione industriale è cambiato tutto.

In termini scientifici, i risultati delle scoperte non sono più restati nei circoli, ma sono stati resi sempre più disponibili a tutti, a velocità impressionanti. Pensateci, dall’anno 0 al 1700 l’uomo ha comunicato quasi sempre allo stesso modo, dal 1800 al 2000 siamo passati dal telegrafo ottico all’email. Il progresso scientifico negli ultimi due secoli è stato essenzialmente impareggiabile.

In termini di politiche pubbliche, la maggiore informazione, formazione, capacità di lavoro e di comunicare ha portato le persone a voler decidere del futuro della comunità: anni di dibattito filosofico sono stati largamente superati e quella che chiamiamo democrazia liberale si è imposta, con vari… diciamo ostacoli.

Chiaramente, è restato spazio per un dibattito che potremmo definire filosofico su molti temi, ma è decisamente discutibile la necessità dello studio della storia della filosofia per potervici partecipare: in molti, ma diciamo anche tutti, i casi è sufficiente avere una testa pensante che si può allenare in molti modi.

Alle volte, per di più, chi ha una formazione filosofica ritiene assolutamente necessario fondare il proprio pensiero su quello dei predecessori, spegnendo quasi del tutto il proprio senso critico. Ricordo quando volevo rispondere all’articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano sull’insegnamento della filosofia negli istituti tecnici e mi aspettavo una degna sfida intellettuale salvo trovarmi davanti ad una sequela di citazioni, di “come disse il grande filosofo Taldeitali”, evenienza non rara quando si discute con filosofi e assimilati.

Provate a leggere 50 temi scritti da studenti del liceo e 50 scritti da studenti di un istituto tecnico e probabilmente noterete questa tendenza: la maggioranza dei testi scritti da liceali saranno fortemente citazionisti, tireranno in ballo il pensiero di questo o quel filosofo, mentre quelli scritti dai tecnici proveranno più ad utilizzare la logica per dimostrare la propria argomentazione. Il citazionismo è una vera e propria malattia delle scuole liceali italiane, da affrontare prima di qualsiasi supposta carenza delle scuole tecniche.

In ogni caso, ben venga, lo studio della storia della filosofia nelle scuole umanistiche: toglierla sarebbe come togliere lo studio dell’architettura degli elaboratori nelle scuole informatiche perché, tanto, oggi usiamo tutti Von Neumann, ossia una follia.

Ma oggi vincono scienza, tecnica e numeri per creare cittadini consapevoli

Votare, oggi, è sempre più spesso un esercizio di tecnica, scienza e matematica, più che di storia o filosofia.

Qualche anno fa Matteo Salvini dichiarò candidamente di non capirci niente delle disequazioni presenti sul compito del figlio Federico, portando il compianto movimento per la scienza W la Fisica a rispondere con un post, oggi scomparso, parecchio peperino.

A discolpa del nostro food blogger preferito, ai suoi tempi il programma del classico non le prevedeva, mentre oggi la quasi totalità dei docenti si addentrano in queste lande oscure anche nella scuola di punta, probabilmente compromettendo lo standing superiore di chi esce da codesti istituti.

Mi ricordo di aver discusso con studenti tecnici (pochi eh, ma pur sempre cara vecchia sindrome di Stoccolma…) che ritenevano che la posizione del movimento del Butta fosse sbagliata e che i politici dovessero conoscere invece le lettere, la filosofia, l’arte e così via.

Ma oggi la politica non è quella roba lì. Proprio qualche settimana fa abbiamo visto un esempio palese, quello dei termovalorizzatori, con il Movimento 5 Stelle che si oppone perché… boh, col PD che invece si incazza perché vuole farne uno a Roma.

Lo stesso PD che, a pochi metri in Parlamento, si oppone al nucleare perché… anche lì, boh.

Sicuramente, nella costruzione di un termovalorizzatore o di una centrale nucleare c’è un fattore economico che va valutato, così come uno politico, ma la parte scientifica è chiara: il nucleare è sicuro, molto pulito e non ha senso avere paura.

Votare senza sapere nulla di filosofia, in casi del genere, è assolutamente possibile. Non mi viene in mente alcuna situazione, nell’odierno dibattito politico, che richieda una conoscenza della filosofia per votare in modo informato.

Me ne vengono in mente a decine, invece, dove bisogna votare conoscendo la scienza, la tecnica, il diritto e l’economia, tutte cose ignorate dalle scuole che “formano l’uomo e il cittadino“, anche nel cosiddetto liceo scientifico, dove i programmi spesso son più incentrati sul “capire il collegamento tra il pensiero filosofico e quello scientifico” che sull’andare in laboratorio a vedere le applicazioni pratiche di ciò che si impara.

Se da un lato è evidente che farsi il mazzo studiando matematica aiuta all’università, mi piace scherzare dicendo che chi esce da quelle scuole senza andare oltre è un ottimo contabile della natura, sarà sicuramente bravo a calcolare questo o quel numero, senza però essere in grado di utilizzarlo per qualsiasi scopo reale.

Concludendo, chi, nel 2022, sostiene ancora che latino, filosofia e simili formino l’uomo vive in un’altra epoca: per decidere oggi, in modo informato, serve tanta scienza, applicata e con una visione tecnica della realtà. Se servono materie umanistiche, per quanto sia controverso definirle tali, sono il diritto e l’economia. Filosofia? Latino? Interessanti, sicuramente, utili in determinati settori, ma universali? Proprio no…

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Informatico di giorno, spietato liberista che brama la secessione del Nord di notte. Con la libera circolazione, dato che amo la pizza.

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