FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

Come le Regioni stanno battendo Roma sull’istruzione

In teoria l’istruzione è materia concorrente tra Stato e Regione ma, a differenza ad esempio della sanità dove il ruolo di Roma e delle Regioni è praticamente paritetico, il governo centrale mantiene una dura morsa sulla scuola.

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: nonostante Roma persegua una politica strettamente gerarchica (e se non mi credete, guardate quanto spazio dedica il MIUR ai licei e quanto agli istituti tecnici e professionali) e centralizzante, le differenze tra Regioni sono enormi, i licei fanno ridere (abbiamo NOVE licei con QUINDICI indirizzi, roba da pazzi), gli istituti tecnici vengono via via smantellati e trasformati in licei per chi non vuole studiare le Materie Che Ti Rendono Uomo E Cittadino (che comunque, grazie alla disoccupazione, stanno per essere messe, si veda filosofia) e gli istituti professionali (liberi dalle ire dei gentiliani) sono probabilmente le scuole che si salveranno dal declino, dandoti le competenze per un mestiere insegnandoti nel mentre roba utile per campare, come la storia, la matematica e il diritto.

Ma anche loro non sono immuni dal grande difetto dell’Italia e, soprattutto, del governo centrale: la burocrazia. Col tempo – escludendo ovviamente i sacri licei che possono avere tutte le divisioni che vogliono – il governo ha puntato all’uniformazione: così una buona decina di istituti tecnici son diventati DUE macro-aree: economica e tecnologica. Anche gli istituti professionali, che un tempo erano numerosi, come d’altronde lo sono le professioni stesse, oggi hanno undici indirizzi fissi.

Tuttavia, la Costituzione lascia una competenza importante in mano alle Regioni: l’istruzione professionale. Quando andavo a scuola io gli istituti professionali statali erano visti come scuole anche serie ma genericamente con frequentazione… meno che ottimale, mentre l’istruzione regionale era nota proprio per valer poco, tant’è che se qualcuno prendeva un votaccio all’interrogazione partivano, dal fondo della classe, i nomi dei più noti istituti regionali.

Tuttavia, oggi, le cose son cambiate! Queste scuole, oggi dette “IeFP” (Istruzione e Formazione Professionale) sono sempre più serie, formative e sempre più spesso i loro diplomati sono in grado di entrare nella scuola statale per il quinto anno, così da avere il classico diploma che permette l’accesso all’università.

Ma com’è possibile?

Prima di tutto, per la formazione professionale, c’è molta più libertà d’iniziativa: molto spesso sono aziende o organizzazioni imprenditoriali a costruirle. Ciò permette di formare le persone per le competenze che richiede il mercato del lavoro, senza il tramite dell’interpretazione di qualche burocrate al MIUR che ritiene che per gli elettrotecnici la filosofia sia più importante… dell’elettrotecnica.

Giusto per capirci, a Milano ci sono tre enti principali che si occupano di IeFP:

  1. CAPAC: fondato dall’Unione Commercianti della Provincia di Milano, con la collaborazione di varie entità commerciali e industriali
  2. ENAIP: fondato dalle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani
  3. AFOL: fondata dalla Città Metropolitana in collaborazione coi comuni

In sostanza abbiamo un sistema scolastico molto più partecipativo, dove sia gli enti pubblici locali che le associazioni di lavoratori che le associazioni dell’impresa possono aprire scuole e dare la propria visione di come dev’essere l’istruzione professionale.

Paragonate ciò all’istruzione statale dove l’attore è uno e incontrastato, lo Stato, e il settore privato rappresenta una minuzia.

Poi, un’altra cosa importante è il programma: nelle scuole pubbliche, statali o meno, è calato dall’alto, quello che dice il Ministero è quello che si insegna. Se domani il Ministero dice che tutte le scuole devono avere latino tutte le scuole hanno latino.

Nell’IeFP, invece, il programma viene definito essenzialmente dalla scuola, nel rispetto di alcuni obiettivi programmatici. La composizione dell’orario può essere flessibile, si possono unire alcune materie, si può definire – entro un monte ore – quanto favorire alcune competenze rispetto ad altre.

Se andate a dire a una scuola che forma idraulici che devono insegnare latino perché è la base della civiltà europea, filosofia perché insegna a pensare e storia dell’arte perché l’Italia ha più patrimoni UNESCO di tutti non diranno “sì” lodando la vostra scelta perché finalmente formeranno cittadini e non lavoratori, ma troveranno usi alternativi (e illegali) per la pinza serratubi.

Altra cosa importante, il sistema della docenza è completamente scorrelato da quello romano: in alcune Regioni non son nemmeno considerati insegnanti ma “formatori”: così, invece di essere l’ennesimo parcheggio in attesa di una cattedra spesso chi insegna in queste scuole proviene dal mondo del lavoro e, spesso, dalle stesse scuole IeFP: d’altronde, se uno studente è brillante e si è fatto qualche anno nel mondo del lavoro perché dovrebbe farsi anni a fare il Flipper per il concorsone quando si può… assumerlo?

Da un punto di vista lavorativo è facile capire perché queste scuole possano tirare: per chi dà lavoro vuol dire non dover sperare che arrivi qualcosa di decente dallo Stato ma avere garanzie che il programma copra ciò che serve, mentre per chi lo cerca vuol dire esser messo in azienda praticamente da subito e avere un lavoro praticamente appena uscito.

Detta tra noi: lo Stato italiano nemmeno si vergogna del peggioramento delle proprie scuole, pensate solo al fatto che un tempo gli Istituti Tecnici ti rendevano perito, poi per un po’ ti han permesso di diventarlo mentre dall’anno venturo servirà per forza la laurea triennale…

Quindi, da informatico, devo dirlo: l’idea di una scuola apposita, gestita da noi e non da un qualche burocrate, con corsi altamente specializzati (sicurezza e pentesting, gestione di reti informatiche, sviluppo web ecc.) che mi dà subito un professionista valido invece di dover sperare che quell’anno l’Istituto Tecnico abbia sacrificato filosofia per studiare sistemi e reti e non l’inverso, mi intriga non poco e immagino che varie altre discipline possano pensarla allo stesso modo.

Ovviamente resta il nodo non indifferente dell’università, per la quale servono competenze non necessarie per lavorare: molti lavori si possono fare con competenze essenziali di matematica, mentre per le lauree nei settori scientifici come minimo un integrale devi sapere cos’è.

Ma, in estrema franchezza, se domani lo Stato e le Regioni si accordassero dicendo “può andare in un’università di settore chi fa un quinto anno arrivando a livello X di matematica, Y di scienze e Z di italiano”, magari equivalente al livello minimo (possibilmente escludendo il classico) presente nelle scuole pubbliche, in quanto tempo si depopolerebbero gli istituti tecnici e professionali di Stato, burocratizzati, categorizzati come fa comodo allo Stato e non al mondo del lavoro, utilizzati come ammortizzatore sociale e piattaforme per il voto di scambio in favore di queste scuole sviluppate da chi nel mondo del lavoro è e organizza dunque la propria attività non per la prossima elezione ma per la prossima assunzione?

Chiaramente, non è cosa facile: non è nel dibattito politico l’accesso all’università – anche parziale – per i diplomati IeFP, probabilmente c’è più gente “dove conta” che vorrebbe tornare al liceo classico come unica scuola che ti fa andar dappertutto e, soprattutto, se entrasse nel dibattito pubblico, ci si renderebbe conto che può finire così e si metterebbe qualche regolamentazione per impedirlo (numero chiuso, concorsoni pure lì, limitazioni paralizzanti alle lauree, di idee se ne trovano…)

Ma da questi semplici fatti esposti, con qualche nota d’opinione possiamo dire ben due cose.

La prima: chi parla di accentrare questo, quello o quell’altro vive fuori dal mondo. Persino in un settore dove lo spazio regionale è minuscolo, come l’istruzione, le Regioni riescono a far meglio di Roma.

La seconda: se si vuole fare una riforma della scuola si dovrebbe cercare di esportare questo modello anche alle scuole più tradizionali: aprire, con un modello a voucher, a scuole gestite direttamente da consorzi, aziende, gruppi, entità sociali e enti locali e ridurre la burocrazia, abolendo i concorsoni, definendo degli obiettivi didattici senza imporre precisamente programma e orario e aprendo ad una collaborazione col mondo del lavoro, così che non sia il mondo del lavoro a doversi adattare ai diplomati ma vi sia un rapporto di collaborazione,

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Informatico di giorno, spietato liberista che brama la secessione del Nord di notte. Con la libera circolazione, dato che amo la pizza.

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