Nel programma del centrosinistra e del terzo polo c’è un punto comune sulla scuola: l’obbligo sino a 18 anni.
Se ne parla tanto per ideologia, tra favorevoli e contrari, e come al solito si è perso il filo razionale: l’obbligo a 18 anni è contemporaneamente inutile, per la stragrande maggioranza degli studenti, quando dannoso, per una piccola ma importante minoranza.
Il tema l’ho già trattato parlando delle peculiari idee di Calenda sulla scuola, ma è bene ritrattarlo: in Italia l’obbligo scolastico è a sedici anni. Un’età che dice poco, infatti non è la fine di un ciclo scolastico ordinario: non è come dire “obbligo di terza media” o “obbligo di diploma”, sembra quasi arbitrario.
E, per chi frequenta una scuola “normale”, ossia un istituto tecnico, un professionale o un liceo così è! Nei fatti lui a scuola deve andarci fino ai 18 (o 19!) anni per avere un diploma. Per questa ragione, a mio parere, l’obbligo a 18 anni, per loro, è fondamentalmente inutile: c’è già de facto!
Per di più, conoscendo l’eccellente (citazione necessaria) scuola italiana il fatto che fino ai diciotto uno non può mollare temo che possa tradursi in più pedate nel culo all’esame di Stato, con conseguente svalutazione del diploma (che già, dopo gli eventi Covid, vale appena appena poco più della carta su cui è stampato).
Ma non tutti frequentano un tecnico, un professionale o un liceo: esistono infatti gli IeFP, scuole di formazione professionale di cui ho già parlato qualche mese fa, che durano tre anni. Se si esce dalle medie a tredici anni, come il sottoscritto, si esce dallo IeFP a… sedici anni! Perfetto con l’attuale sistema.
Introdurre l’obbligo fino ai 18 anni vorrebbe dire obbligare tutti gli studenti a fare il quarto anno, passando da qualifica a diploma, che in alcune regioni fondamentalmente non esiste. Ancora peggio, per chi arriva al diploma diciassettenne bisogna arrivare al quinto anno, che fondamentalmente esiste solo in Lombardia nelle regioni a statuto ordinario, negli altri casi si va nei professionali di Stato, che spesso hanno programmi parecchio diversi e nemmeno esistono per tutti gli indirizzi, dato che ci sono 11 professionali e 29 diplomi IeFP, almeno in Lombardia.
Soprattutto, è anche questionabile l’utilità del quarto anno per tutti: in molti casi la differenza è più burocratica che altro: ad esempio il tecnico dell’acconciatura (quattro anni) difficilmente sarà un miglior parrucchiere di un operatore dell’acconciatura (tre anni), ma avrà migliori competenze gestionali tali da permettergli di gestire una bottega. L’operatore, comunque, sarà già pronto a lavorare e a contribuire all’economia del Paese.
In tutta onestà, con metà Paese che nemmeno ha il quarto anno oggi penso proprio che la priorità sia fare in modo che tutti possano completare la propria formazione, non imporla a chi non ne ha bisogno.
Ma togliamo per un attimo gli IeFP dall’equazione, non è certamente impossibile immaginare una normativa ad hoc che li esclude: sarebbe utile estendere l’obbligo scolastico?
Beh, no! Perché, come già dicevo nel mio precedente articolo:
l’obbligo scolastico non può essere obbligo di andare bene a scuola, per cui per una persona che non si trova nell’ambiente scolastico l’obbligo di restarvici non implica che otterrà effettivamente un diploma.
Dunque, è fallace l’idea di obbligo scolastico più alto equivalga a minore abbandono scolastico: se uno non si trova nell’ambiente, invece di vegetarci per due o tre anni tra bocciature, promozioni a calci nel didietro e frequenza “il minimo per non essere chiamato dal preside”, lo farà per quattro o cinque anni. Non so se è ciò che capita nei licei frequentati dalla classe dirigente di oggi, ma è ciò che si vede negli istituti tecnici e professionali di periferia.
Al contempo, è anche chiaro che l’attuale sistema non sia ottimale: avere gente che è lì, giusto perché è obbligata e attende l’ora X per potersene andare è sia uno spreco di risorse per lo Stato sia uno spreco di tempo per il ragazzo.
Che fare, dunque? Invece di cambiare un numero e assolversi, bisogna fare almeno tre cose: la prima è investire in ogni forma di istruzione e dar loro eguale dignità, così che la scelta di un tipo di scuola derivi da una decisione completa e non da pregiudizi o timori di inadeguatezza.
La seconda è fare in modo che l’istruzione e formazione professionale funzioni ovunque e che, soprattutto, non sia una “condanna” a tre anni e poi lavori ma preveda specializzazioni e, eventualmente, il ritorno nella scuola “maturitaria”.
Nei fatti, tale forma di istruzione è molto utile specie per le persone più a rischio abbandono, cosa che ho visto personalmente: permettere di avere un titolo valido professionalmente in tre anni facendo molta pratica e meno studio teorico “palloso” è una prospettiva allettante e, considerando che il lavoro si trova, può anche svoltare la vita a un giovane con qualche difficoltà sociale. Sicuramente meglio della situazione descritta pochi paragrafi fa.
Non tutti, però, vogliono concludere così i propri studi: qualcuno ritrova la voglia di studiare, per questo è importante che esistano percorsi che permettano di tornare nell’istruzione “tradizionale”, così anche da incentivare una scelta IeFP: sai che se sei un po’ svogliato hai un’opzione che in tre anni ti permette di vivere ma se ritrovi la voglia e vuoi andare avanti puoi.
E, infine, bisogna fare orientamento bene: oggi, molto spesso, ci si limita a dire “bravi al liceo, bravini al tecnico, capre al professionale e caproni al CFP”, una roba da lazzaroni che indirizza male la gente solo in base ai voti, senza valutare le naturali inclinazioni, le passioni e la voglia di studiare.
Così, forse, si riuscirà a ridurre l’abbandono scolastico, per quanto è sicuramente necessario intervenire anche oltre la scuola, visto che spesso l’abbandono deriva da questioni sociali. Non basta decisamente, è anzi inutile, alzare un numeretto.